Quali sono gli scenari attesi a livello mondiale e quale impatto avranno sulla crescita e sull’inflazione?
L’Economist Intelligence Unit (EIU) ha pubblicato due rapporti di notevole interesse. Nel “Risk Outlook 2022” sono indicati gli scenari attesi e l’impatto prevedibile sulla crescita e sull’inflazione a livello mondiale. La ripresa post-pandemica potrebbe continuare nel 2022 con un ritmo di incremento del Pil globale del 4,1%. Tuttavia, questa stima nasconde andamenti molto differenziati tra le varie aree geografiche e, soprattutto, una serie di varianti, che minacciano di far deragliare il convoglio della risalita.
Quali sono i principali pericoli che potrebbe incontrare la ripresa mondiale?
I principali pericoli di questa fase sono riassunti dall’EIU in dieci punti, con un’accentuazione eccessiva degli aspetti negativi: ulteriore complicazione del disaccoppiamento USA-Cina, stretta monetaria precipitosa (con un cedimento dei mercati azionari), crollo del mercato immobiliare cinese, inasprimento delle condizioni finanziarie (specialmente a danno dei Paesi emergenti), diffusione di nuove forme di Covid-19, aggravamento del disordine sociale, definitivo conflitto tra Cina e Taiwan, deterioramento delle relazioni UE-Cina, comparsa di siccità e carestie, guerra cibernetica (con il blocco di infrastrutture essenziali). Volendo escludere un’apocalisse, che – parafrasando Jacques Derrida – non lascerebbe spazio né alla sopravvivenza né alla sostituzione di un sistema, basterebbe che alcune di queste incognite si avverassero per precipitare in una crisi dagli esiti imponderabili. Il documento, però, quando passa a calcolare la probabilità e l’incidenza di questi rischi sulle imprese, fornisce un quadro meno inquietante, evidenziando come i problemi di maggiore portata riguardino gli aspetti finanziari e la sospensione dei rapporti economici tra occidente e oriente. Nel “Clarity in an uncertain world”, poi, sono richiamate le analisi dell’EIU degli ultimi vent’anni, per lo svolgimento di temi come il mutamento climatico e la lunga pandemia in una prospettiva futura.
Come sarà il mondo al 2050? Quali le potenze egemoni?
Lo studio citato delinea un cambiamento radicale nella graduatoria delle potenze del G20 al 2050, vedendo imporsi la Cina nettamente al primo posto, seguita dagli Stati Uniti (con un aumento comunque consistente) e dall’India. Mentre l’Europa, con l’avvio di nuove divergenze interne, e il Giappone perderebbero posizioni nella scala della produzione mondiale. Queste previsioni di larga massima non tengono conto delle vigorose politiche europee appena iniziate e delle capacità inaspettate del nostro continente di risollevarsi da situazioni estremamente critiche, come nel dopoguerra. Anziché cogliere solo la parte più allarmante di queste valutazioni, bisogna guardare con realismo ai rischi e alle opportunità di una lunga fase di transizione, ancora in corso, che può avere sviluppi del tutto inaspettati.
Le politiche economiche e monetarie che influenza potranno avere?
Come ha notato Harold James in un articolo dal titolo “Tornare all’austerità?”, la politica economica e monetaria tende a muoversi come un pendolo. Un eccesso di euforia per il potenziale di intervento dei governi e per l’utilizzo della spesa pubblica può procurare seri danni, riproponendo disillusioni strategiche e restrizioni finanziarie, che ricaccerebbero indietro le occasioni concrete di sviluppo. Infatti, dopo la recessione energetica e la crisi dei titoli sovrani dei decenni scorsi, le misure espansive sono state interrotte ed è prevalsa l’ortodossia della riduzione del disavanzo, dei limiti del debito e dei vincoli fiscali. I colpi del Covid-19 hanno reso necessaria una svolta, soprattutto per i vaccini e gli investimenti produttivi, che mostra risultati efficaci. Altra cosa è l’abbandono a forme di assistenzialismo, che costringerebbero a dilatare a dismisura la spesa pubblica, dimenticando ogni preoccupazione per il quadro macroeconomico, i cicli dell’economia e la differenza tra Pil effettivo e potenziale.
Ma in questo contesto quali sono i rischi d’inflazione e quanto pesano le strozzature dal lato dell’offerta?
I colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento globale e l’intensificazione dell’inflazione non sono avvertimenti da trascurare. Alcuni studiosi, come Barry Eichengreen, paventano le conseguenze di un “ballo con il tetto del debito” e di nuove contrazioni finanziarie, che provocherebbero scosse sui mercati, a cominciare da quelli statunitensi. Allo stesso tempo, non vanno sottovalutati gli ammonimenti di Adam Tooze, che nel suo ultimo libro descrive compiutamente il “rinoceronte grigio”, un evento prevedibile e non un “cigno nero”, di una metamorfosi epocale, complicata dalla pandemia.
Si profila una nuova austerità?
Certo è che, guardando ai precedenti, la ricaduta in una nuova austerità porterebbe la ripresa economica e l’indispensabile innovazione industriale a un punto morto. Perciò, al di là del dibattito tra economisti e storici sul passato, occorre saper impiegare le enormi risorse disponibili, facendo in modo che il debito non diventi insolvibile, con comportamenti improntati all’oculatezza e alla crescita, perché, purtroppo, oggi non è più vero che tutto quello che possiamo fare concretamente possiamo permettercelo.
Per l’Italia, per il successo del PNRR conterà di più la capacità di spesa delle risorse messe a disposizione dalla UE o l’effettiva realizzazione delle riforme promesse?
Sono due aspetti di una stessa prospettiva di soluzione dei problemi preesistenti, aggravati dalla pandemia. L’Italia deve dare dimostrazione di una effettiva comprensione della simmetria dei due principali propositi del Next Generation EU, riforme e investimenti, dei quali il PNRR è lo strumento di attuazione nazionale. In una realtà come la nostra, non si può pensare che le riforme siano un orpello, sganciato dalla necessità di accelerare le iniziative di ripresa e sviluppo economico. Senza una profonda e rapida trasformazione degli apparati pubblici e della capacità realizzativa delle amministrazioni dello Stato, è impossibile concretizzare gli ambiziosi obiettivi di rilancio dell’economia italiana, attraendo capitali privati. Questo vale per il Mezzogiorno in modo particolare, dato il suo persistente ritardo, nonostante i cambiamenti economici e sociali che l’hanno interessato. Riuscire a spendere nei tempi fissati e bene, con una qualità ed efficacia inusitata degli interventi previsti, le risorse messe a disposizione a livello comunitario è condizione indispensabile per risollevare il Paese. Data la mole di finanziamenti riservati all’Italia, dipende soprattutto dai risultati della nostra azione il successo del Piano europeo. A questa responsabilità deve corrispondere la consapevolezza che ce la potremo fare solo se si continuerà a dare fiducia e sostegno pieno all’azione riformista e di governo di Mario Draghi.
Lascia un commento