L’11 aprile, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza 2023 (DEF). Il DEF fa parte degli “strumenti” che la legge prevede ― con la Nota del suo aggiornamento (NADEF), la Legge di stabilità, il Bilancio dello Stato e le leggi collegate alla manovra di finanza pubblica ― per il governo complessivo della finanza pubblica del nostro Paese. Espone gli obiettivi di politica economica che il Governo intende perseguire ― almeno nel triennio successivo ― tenendo conto del quadro macroeconomico previsionale di finanza pubblica. Gli obiettivi sono definiti in coerenza con le linee di politica economica dettate dall’ordinamento europeo. Il DEF ― approvato dal Consiglio dei Ministri ― è stato trasmesso al Parlamento per il dibattito e l’approvazione.
Nel quadro macroeconomico di finanza pubblica, il debito pubblico nostrano occupa, per le notevoli dimensioni, una posizione di primo rilievo. È quindi naturale che il DEF ne parli. Però, in generale, il debito pubblico è una realtà fastidiosa per tutti gli Stati. Cosìcché ― e questo avviene anche nel DEF ― la si rende fumosa descrivendola con linguaggi ermetici, ancorché ammessi e giustificati (dimostrare la sostenibilità del debito del Paese). Quindi, anziché indicarne l’importo reale, il debito pubblico si esprime rapportandolo al Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè alla ricchezza complessiva (valore totale dei beni e servizi realizzati) prodotta dal Paese in un periodo di tempo (di norma, un anno). Il debito pubblico è un “per cento” del PIL.
Si mette cioè in relazione la massa monetaria certa e definita del debito pubblico (monete sonanti) con una grandezza macroeconomica: il PIL, grandezza dalle incerte dimensioni. In più, composta da valori generalmente sconosciuti ai cittadini. Ne consegue che, verosimilmente, costoro continueranno a ignorare l’importo reale del debito pubblico del loro Paese. D’altro canto, per l’incertezza, è sufficiente ricordare che il PIL, per disposizione comunitaria, comprende anche la cosiddetta “economia non osservata” composta dal lavoro in nero e da altre attività illegali quali la prostituzione e il commercio di stupefacenti, oggi stimata dall’ISTAT ― con forti dubbi sulla veridicità tenuto conto delle componenti ― in 200 miliardi di euro.
Il DEF dedica molte pagine all’analisi di questi complessi rapporti tra debito e PIL. E, stimando un possibile tasso di crescita del Paese, cioè che il PIL aumenti, in definitiva che si produca una maggiore ricchezza, prevede che il rapporto debito/PIL sia nel 2023 del 142,1%, nel 2024 del 141,4% e nel 2025 del 140,9% (DEF-2023-Programma-di-Stabilita.pdf (mef.gov.it). Certamente, le intricate descrizioni usate per dimostrare queste evoluzioni non palesano la reale entità del debito pubblico.
Notizie di immediata comprensione del debito pubblico vengono dalla Banca d’Italia che, trimestralmente, ne pubblica l’importo reale. E così, nel Bollettino n. 2 del 7 aprile 2023, informa che, al 31dicembre 2022, il debito pubblico italiano ammontava a 2.757 miliardi di euro (www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bollettino-economico/2023-2/boleco-2-2023-appendice.pdf,) importo poi aggiornato, con successivi comunicati, a 2.762,5 miliardi di euro ancora a fine 2022, e a 2.772 miliardi a fine febbraio 2023.
Anche il DEF, nelle ultime pagine dedicate al debito pubblico, ne dà qualche indicazione monetaria (pag. 90). Questa è l’evoluzione indicata: 2023, 2.869,5 miliardi di euro (142,1%del PIL); 2024, 2.976,3 miliardi di euro (141,4% del PIL); 2025, 3.065,8 miliardi di euro (140,9% del PIL); 2026, 3.151,0 (140,4% del PIL).
L’Unione Europea sta ora rivedendo le regole contabili stabilite per rendere uniformi le gestioni finanziarie dei Paesi che la compongono. Una di queste regole era rappresentata dal cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita. Prevedeva che il debito pubblico del Paese non dovesse superare il 60% del PIL. Molte regole del Patto di Stabilità potrebbero cambiare. Sembra però che resterà vincolante quella che fissa al 60% il rapporto tra debito pubblico e PIL, con obblighi di riduzione da parte dei Paesi che lo superino.
Tornando ai fatti di casa nostra, il PIL dell’Italia viene calcolato dall’ISTAT. Per il 2022, l’ISTAT ha calcolato ilPIL in 1.909,1 miliardi di euro (Pil e indebitamento delle AP – Anno 2022 (istat.it). Dunque, applicando le regole europee, il nostro debito pubblico non dovrebbe superare i 1.145/1.150 miliardi di euro. Non solo i valori forniti dalla Banca d’Italia ma anche quelli stimati nel DEF e i rapporti percentuali debito/PIL vanno ben oltre la soglia del 60%. È quindi inevitabile che, per l’Italia, il/i Governo/i debbano impegnarsi non poco per una riduzione del debito pubblico.
Nel DEF 2023, il Governo in carica fa caute promesse confermando un “percorso di graduale aggiustamento per continuare a ridurre l’elevato debito pubblico”. Ma, appena dopo, si corregge. Afferma di essere “cosciente che un risanamento troppo repentino potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita”. È del tutto evidente che la seconda affermazione segue una logica prevalentemente politica per tranquillizzare l’elettore. Questi non va spaventato minacciando, per ridurre il debito, tagli drastici nella spesa pubblica o pesanti aumenti di tasse! Ne va di mezzo il consenso dell’elettore.
Certamente, pandemia Covid e turbolenze internazionali nei costi non facilitano una riduzione del debito pubblico nostrano. S’aggiunga che, nella gestione dello Stato e di tutte le persone, distinguere tra “debito buono” e “debito cattivo” può essere una divagazione intellettuale, ma non serve se si sta coi piedi per terra. Il debito ― pubblico o non ― è sempre e comunque costituito da denari che vanno restituiti e per i quali si devono pagare interessi ai creditori. E il Bilancio dello Stato valuta gli interessi sul debito pubblico tra i 75 e i 90 miliardi annuali di euro nel triennio 2023/2025. Ma variazioni nei tassi ― ed è anche un timore del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ― potrebbero portare a dover pagare oltre 100 miliardi all’anno di interessi. Tutti denari che vengono sottratti a investimenti o ad altri interventi per la crescita.
Né serve rendere fumoso il debito con tortuosi rapporti percentuali tra debito e PIL. Come ha sottolineato anche il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana Antonio Patuelli, si devono sempre tenere presenti i valori assoluti del debito. “Il debito pubblico costa non per le percentuali, ma per la sua quantità e quindi ritengo un po’ superficiale il dibattito che si sviluppa sull’andamento del debito pubblico solo in rapporto alle percentuali sul PIL. Gli interessi si pagano non sulle percentuali rispetto al PIL ma sulle cifre assolute” (SERAFINI L., Patuelli: il debito non può crescere all’infinito, Il Sole 24 Ore, 14.04.2023).
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