E’ andata come doveva andare. La coalizione di centrodestra unita e più omogena in termini di “approccio al programma” ha stravinto nei confronti di una coalizione di centrosinistra rabberciata e rinsecchita. Tengono in maniera sorprendente i grillini, specialmente al Sud dove il “tutto gratis” ha avuto un grande appeal e marca lo spazio elettorale il “terzo polo”.
Se rimane il sistema elettorale maggioritario, per di più senza possibilità di voto disgiunto, e se nel voto amministrativo prevale l’elezione attraverso le coalizioni (ex ante o ex post, implicite od esplicite) la capacità del centrodestra di unirsi potrebbe spazzare via da tutti i livelli istituzionali la presenza, un tempo quasi inamovibile, del centrosinistra.
Due sono le prospettive. Che certamente saranno presenti nel dibattito del PD nei prossimi mesi. Che ci sia o no un Congresso formale.
La prima è la costruzione della “cosa rossa”. Ricostruiamo la sinistra come asse portante di una eventuale coalizione di centrosinistra eventualmente da riprendere in un secondo tempo. Sommando Pd, grillini e varie formazioni di sinistra si arriva intorno al 35%. Una quota certamente incapace di porsi come competitore nazionale del centrodestra ma più o meno equivalente a quello che può essere definito l’elettorato di destra in Italia. Si tratterebbe della costruzione di due aree fortemente identitarie, con forti atteggiamenti di tipo populista, pronte, nelle competizioni elettorali, ad alleanze con partiti e movimenti di centro liberale che potrebbero arrivare a rappresentare il 20% dell’elettorato. E in questo caso la “cosa nera” e la “cosa rossa” dovrebbero lavorare di egemonia e di capacità di dialogo per cercare di allargare il proprio raggio di azione e proporsi a governare il paese.
La seconda prospettiva è invece quella di contrapporre alla coalizione di centrodestra, nella sua formazione attuale che presenta non poche disomogeneità di programma e anche ideologica fra i partiti che la compongono, un’area di centrosinistra che, sommando i dati di questa elezione, sarebbe altamente competitiva in termini strettamente numerici. Anche se sappiamo bene che le coalizioni non si pesano sommando matematicamente i voti presi da ciascun partito in maniera separata. Ma tant’è.
Questa seconda prospettiva può apparire allettante in un momento in cui il centrosinistra risulta battuto in maniera travolgente dal centrodestra anche in quelle che un tempo apparivano come le roccaforti “rosse”, Toscana e Emilia Romagna con Umbria e Marche oramai da tempo lontane da quella configurazione storica, ma appare davvero di difficile attuazione. Le differenze fra il mondo “riformista” del centrosinistra e il mondo della “sinistra radicale” e della nuova “sinistra populista” appaiono oggi incolmabili. Toccano non solo i principi ideologici, che possono essere superati in una alleanza elettorale, ma in maniera più forte gli approcci di governo e l’idea stessa di rappresentanza politica. Per un riformista l’immagine di Conte che inneggia al “tutto gratis” nelle piazze d’Italia è un qualcosa di inaccettabile e di indigeribile. Ed è altrettanto indigeribile l’atteggiamento pauperista della sinistra radicale affascinata dallo slogan “anche i ricchi piangono”. Anche solo in una alleanza elettorale un centrosinistra unito appare una chimera.
L’oggettività delle cose spinge il PD a scegliere la prima prospettiva. E’ più semplice e richiede meno sforzo. Deve cambiare il manovratore, può essere che qualche pezzo di partito abbandoni la nave, ma il percorso è fattibile.
In questo caso è compito del terzo polo e più in generale del centro liberale che si trova schierato sia nel centrosinistra che nel centrodestra cercare di costruire un’area vasta che sia in grado di portare certi valori, certi approcci e certe policy nell’Agenda dei Governi nazionali, regionali e locali.
Ma non sempre in politica, dove il ruolo dell’uomo è rilevante, l’oggettività delle cose vince. C’è sicuramente anche lo spazio per una soggettività capace di costruire qualcosa oltre le difficoltà. E allora la domanda potrebbe essere questa: è plausibile trovare nel mondo del centrosinistra un qualche costruttore di ponti fra soggetti che oggi difficilmente riescono a parlarsi? Figuriamoci ad allearsi. Ci vorrebbe una personalità, con intorno un gruppo di saggi, capace di cercare l’unità laddove è diversità. Di cercare la volontà di dialogo laddove è solo disprezzo politico e spesso anche umano. Di cercare la costruzione laddove c’è oramai solo distruzione. Non è facile pensare ad un soggetto del genere. E non è facile che possa emergere da sistemi di selezione dei gruppi dirigenti quasi completamente legati a pratiche oramai logore di cooptazione. Staremo a vedere.
E il centrodestra? Ha vinto, che governi. L’attività di governo in un momento così delicato è di particolare difficoltà. Pur non avendo una grande stima per Meloni e per le sue proverbiali esternazioni devo dire che, nell’attuale centrodestra, è il “meglio” che ci poteva capitare. Se penso a Salvini e a Berlusconi rabbrividisco. Penso che il successo del Governo Meloni è legato alla capacità del centrodestra di “uscire” dal proprio “orto”. Si tratta di trovare nella cultura liberale, socialista e democratica più in generale punti di riferimento più sostanziosi di quello di cui oggi il centrodestra italiano dispone per tradizione e congiuntura politica. Un certo avvicinamento fra Meloni e Draghi, se rispondente al vero, mi sembrerebbe un buon “primo passo”. Vedremo quelli successivi. Senza pregiudizi e pronti a salutare con piacere le buone novità che il Governo Meloni saprà introdurre nella politica italiana.
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