Il profilo di Firenze e le molte tensioni che la percorrono vengono presentati in modi molto diversi tra loro, tutti costruiti su spezzoni di realtà ma incapaci di proporre una visione unitaria e di indicare una direzione. L’impasse è alimentata dalle ricostruzioni dei cambiamenti degli ultimi venti anni: puntuali e impietose nel sottolineare le ombre, prima fra tutte l’overtourism, quanto avare e carenti nel leggere i tanti passi avanti che condivide con molte città europee della stessa dimensione. Ci sono state iniezioni di management in musei troppo a lungo chiusi su sé stessi; la rete, non ancora completata, di trasporti appare più fluida e moderna; sono state estese le ZTL e ci sono stati numerosi recuperi di aree urbane e di vecchi edifici dismessi; si assiste ad una maggiore vivacità del mondo universitario che oggi abbraccia saldamente discipline come il design, le accademie e i conservatori. Sono segni di discontinuità che, rimessi insieme, disegnano un mosaico nuovo, frutto di tanti movimenti dal basso solo in parte ascrivibili alla regia politica, alla concertazione dei corpi intermedi o, più in generale, alle spinte delle élite cittadine.
Ampliando l’orizzonte non si può non prendere atto, in positivo, che anche il tessuto economico si è rafforzato e si presenta decisamente più articolato per settori e architetture organizzative. I riflettori giustamente hanno messo in luce come, grazie agli investimenti dei grandi brand, Firenze sia diventata protagonista assoluto di un sistema moda integrato che abbraccia moderni hub produttivi, alto artigianato, scuole, servizi dedicati e le punte di diamante delle società fieristiche. Cambiamenti altrettanto, se non più consistenti hanno segnato la crescita di settori come la meccanica (impianti energia), il farmaceutico e l’elettronica (Leonardo). Una vera e propria metamorfosi organizzativa imprenditoriale ha investito anche attività tradizionalmente più refrattari alle innovazioni come il vinicolo e alcuni segmenti dell’horeca ma, soprattutto, ha dato spinte inaspettate ai servizi per le imprese, all’ITC e alla logistica. Firenze, comunque la si guardi, in questi venti anni ha oltrepassato il fossato che la divideva dalle città più dinamiche del nord Italia.
I caratteri distintivi di questa metamorfosi di inizio millennio sono due: la coralità e le esternalità negative. Enti pubblici, istituzioni, fondazioni, musei, università, imprese, professional e privati cittadini si sono mossi, ognuno per conto suo, nella stessa direzione. Questa volta la forza collettiva e le spinte dal basso hanno prevalso sul ricorso alle eccellenze dei vari David o dell’Opificio Pietre Dure. Non di meno, la fiumana di spinte e di risorse attivate, pubbliche e private, ha prodotto anche ingombranti esternalità negative, prima fra tutte lo svilimento del cuore della città, e non sono mancati incidenti di percorso (teatro, stadio, rifiuti, …). Ora è tempo di mettere un po’ di ordine, senza pretese dirigistiche, tra tante spinte e controspinte, possibilmente coinvolgendo attivamente i corpi intermedi e la vita culturale fiorentina alla quale certo non difetta spirito dialettico.
Due temi si stagliano su tutti. Il più intricato richiama le infrastrutture, spesso considerate a ragione prerequisito per qualsiasi progetto di sviluppo. Accantonata l’euforia PNRR, bisognerà fermarsi un attimo per ancorare gli investimenti non alla necessità di spendere i fondi europei ma ad una visione organica della città. Se la sfida centrale è quella dell’esplosione del turismo in città, fenomeno per cui ancora non si intravedono soluzioni, perché reclamare infrastrutture che facilitano l’ingresso verso Firenze? Questo ragionamento per inciso non riguarda il sotto attraversamento per l’AV che non impatta sui flussi turistici diretti verso la città mentre fluidifica le tracce ferroviarie regionali; è, in positivo, esattamente l’opposto, per esempio, di progetti come la Darsena a Livorno che certamente porterà qualche vantaggio alla logistica delle imprese toscane ma, in proporzione, aumenterà di più la pressione dei mezzi in transito sui segmenti regionali delle autostrade e delle ferrovie.
Tornando ai flussi turistici al momento, a Firenze come a Venezia, mancano idee percorribili su come disinnestarli e, ancora di più, di come indirizzarli verso obbiettivi ESG e di emissioni “0” di CO2 entro il 2030 o 2050. Firenze ha oggi un grande bisogno di spazi fisici e culturali e di possibilità combinatorie di nuovi driver da affiancare a quelli che hanno lastricato il rafforzamento degli ultimi anni. Penso alla sofferente sensibilità per l’arte contemporanea di Prato o l’effervescente vivaismo di Pistoia. L’allargamento del perimetro territoriale di riferimento si propone come il vero pilastro sul quale impostare la prossima Firenze. Non è da escludere, comunque, che il troppo successo finisca tra non molto con l’avvitarsi su sé stesso o che le stesse mega piattaforme digitali corrano in soccorso alle città assediate. Nel frattempo il confronto pubbliche sul futuro a breve termine di Firenze, con le periferie, la mobilità, la sanità, la sicurezza o il verde in città potrebbe ripartire proprio dall’uso che si fa e si può fare delle risorse della tassa di soggiorno.
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