Nelle relazioni internazionali ci sono dichiarazioni di statisti che sono ricche di significato e segnano il cammino che un determinato Paese percorrerà nel futuro prossimo; ce ne sono altre che invece sono solo flatus vocis, affermazioni prive di autentico contenuto, destinate a essere dimenticate nel giro di pochi giorni.
Per restare a ciò che è accaduto nella settimana appena trascorsa, appartengono al primo genere le dichiarazioni del ministro degli Esteri di Israele Yair Lapid che, nel suo incontro a Roma con il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato, a proposito dei rapporti israelo-americani, che negli ultimi anni (cioè quelli della presidenza Trump) “sono stati commessi errori. La posizione bipartisan di Israele è stata colpita. Ripareremo insieme a questi errori”. Le parole di Lapid intendevano sottolineare che d’ora in avanti Israele intende ritornare alla tradizionale politica di equidistanza da entrambi i due grandi partiti americani e che, pur riconoscendo i meriti storici di Trump nello sciogliere alcuni nodi della politica mediorientale, non intende identificarsi con il Presidente o con il partito al potere negli USA in un determinato momento. Un atteggiamento che ha trovato conferma nelle dichiarazioni dello stesso Lapid in occasione dell’inaugurazione dell’Ambasciata israeliana negli Emirati Arabi Uniti, riconoscendo e sottolineando i meriti storici di Trump e di Netanyahu ma aprendo la strada ad ulteriori sviluppi nelle relazioni con i Paesi arabi.
Appartengono al primo genere anche le dichiarazioni dello stesso Segretario di Stato Blixen che, sempre a Roma, nel corso dell’incontro con Lapid e poi in un’intervista concessa a Maurizio Molinari, ha sottolineato la necessità di allargare l’Accordo di Abramo ad altri Paesi arabi.
Appartengono infine al primo genere anche le dichiarazioni del Presidente Joe Biden che, nel corso di un incontro con il Presidente uscente di Israele Reuven Rivlin ha affermato che “l’Iran non avrà mai l’arma nucleare davanti ai miei occhi”.
Appartengono invece al secondo genere, che si potrebbe definire delle chiacchiere inutili, la velleitaria dichiarazione congiunta italo-spagnola relativa all’auspicio della ripresa delle trattative per la pace in Medio Oriente all’insegna del famoso “quartetto” composto da ONU, Unione Europea, Stati Uniti e Russia. Nato nel 2002 per iniziativa spagnola nella speranza di ripetere l’esito dell’incontro di Madrid che nel 1991 portò due anni dopo agli accordi di Oslo, in quasi venti anni non ha condotto ad alcun risultato concreto né si intravede come adesso lo scenario potrebbe cambiare. Che questa strada non porti da alcuna parte appare evidente sia dalla composizione del quartetto stesso, dove due degli attori (ONU e Unione Europea) sono privi di autentica forza politica, sia dall’assurda pretesa di condurre trattative in assenza di chi rappresenta realmente gli interessi in gioco e cioè lo Stato d’Israele e una effettiva rappresentanza palestinese. Non è un caso che solo la screditata Autorità Nazionale Palestinese abbia accolto con favore l’iniziativa e si capisce perché: l’unica cosa che interessa a Ramallah è continuare a ricevere i finanziamenti dell’ONU e dell’Unione Europea.
C’è da dubitare che da parte italiana l’iniziativa sia stata presa dal Presidente Draghi; appare piuttosto probabile che essa esprima il velleitarismo del ministro degli Esteri Di Maio che cerca in ogni modo di ritagliarsi un proprio spazio. Ma ciò può avvenire se si hanno delle idee, non riproponendo formule che il tempo ha dimostrato essere inservibili. Come tutti (o quasi) hanno capito, fermo restando il legame tra Hamas e Iran, solo un radicale rinnovamento della leadership dell’ANP che prenda realmente atto dell’irreversibilità della presenza di Israele potrebbe rimettere in moto un processo di pace; ma di questo rinnovamento non si vede traccia.
(questo articolo con il consenso dell’autore è preso da La Voce Repubblicana del 05/0//21)
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