Si discute in questi giorni sul dilemma che si sta vivendo nelle terapie intensive ovvero se in caso di carenza di strumenti di supporto alla respirazione il medico debba decidere a chi dare l’aiuto e a chi negarlo.
Come sempre ci sono voci incontrollate, direi bisbigliate nei corridoi tra medico e medico.
Alcune sono arrivate anche a me da fonti diverse di cui non dubito l’onestà intellettuale ma che non posso verificare: le riporto come le ho avute.
Sono comunque questioni rilanciate giorni addietro in televisione da qualche gionalista ma prontamente negate (o meglio, glissate) dall’intervistato.
Nel corso di una trasmisisone televisiva una virologa del Sacco che dapprima sottostimò sul suo sito facebook l’epidemia ha, di fronte a questa domanda, citato la medicina delle catastrofi escludendo , direi con poca preveggenza, che il sistema potesse arrivarci.
Ad oggi nessuno sa dire se ciò sia vero se non gli operatori sanitari sul campo.
Il fatto è che chi, da malato, entra in quel girone infernale che sono le terapie intensive non è accompagnato da alcun parente o amico e viene ‘riconsegnato’ alla fine del trattamento: o guarito o deceduto e che il personale sanitario, mi si dice, ha l’obbligo del silenzio.
Non fu molto diverso per chi accompagnò il marito o il figlio al treno che portava al fronte; anche lì l’uomo veniva consegnato alla macchina militare dello Stato e alla sorte.
Ma lì avevamo una guerra dichiarata (secondo le procedure costituzionali vigenti) da uno Stato contro un’altro Stato.
Qui la questione è invece il dovere assistenziale che il SSN (su base regionale) eroga ai cittadini: cioè a tutti senza discriminazione di età, razza o censo.
L’età, appunto.
La questione ci pone davanti a considerazioni fondamentali che non credevamo di dover fare di nuovo.
Tanto vale porle da subito.
Perchè i segreti non resteranno tali a lungo e perchè i sanitari sono già sotto pressione e hanno diritto di operare tranquilli e perchè infine si deve evitare il cinismo per cui ‘ogni buona azione non resterà impunita’ dato che chi soccomberà si chiederà (chi per lui , s’intende) perchè ‘io si e lui no’.
E’ un problema etico dal rilievo giuridico enorme e dalle implicazioni pericolose.
In parole povere e crude: si può ‘ stubare’ un anziano per ‘intubare’ un giovane se si ha a disposizione solo una macchina?
Che conseguenze subirà il team che prende quella decisione (siccome per intubare un malato serve un medico e tre infermieri ) ?
Ho cercato sul sito della medicina delle catastrofi https://www.aimcnet.it/content/: la dice lunga il fatto che non sia aggiornato.
Sul sito, più coraggioso, dell’associazone dei rianimatori e anestesisti ( http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx) sono indicate alcune raccomandazioni
La SIAARTI muove dall’esigenza di «offrire un supporto professionale e scientifico autorevole a chi è costretto dagli eventi quotidiani a prendere decisioni a volte difficili e dolorose» e segnatamente ai medici anestesisti e ai rianimatori chiamati a operare scelte dettate dalla citata «medicina delle catastrofi».
Innanzitutto, come sottolineato da acuto commentatore: “le Raccomandazioni della SIAARTI non sono «pareri» di Comitati etici, né hanno valore giuridico normativo: quindi non fanno da scudo legale”
Sono incentrate sui seguenti punti:
- Il medico sarebbe tenuto a valutare i pazienti da sottoporre a trattamenti intensivi sulla base della possibilità di ripresa.
- Il medico sarebbe tenuto a privilegiare i pazienti con maggiori speranze di vita.
- Il medico sarebbe tenuto a considerare i limiti di età, favorendo chi ha (o potrebbe avere) più anni di vita salvata.
- Il medico dovrebbe considerare la volontà del paziente (eventualmente) espressa nei documenti previsti dalle DAT (Disposizioni anticipate di trattamento) o espressa nella circostanza concreta (autodeterminazione della persona assistita).
- Il medico sarebbe tenuto a motivare perché è stato ritenuto «non appropriato» l’accesso alla terapia intensiva e a comunicare e a documentare la decisione.
- L’esclusione dalla terapia intensiva non deve escludere il paziente da cure inferiori ( e quali ? sic!)
Sono linee guida che contrastano col principio che tutti hanno diritto ad essere curati e che espongono a conseguenze penali ( non scriminate dall’art 54 del Codice Penale) e non augurabili a nessuno tantomeno a chi, con coraggio e abnegazione, lavora per la nostra salute.
L’appello al Ministro della Giustizia e dell’Interno e alla Presidenza del Consiglio è che un comitato etico di alto livello si attivi subito per determinare cosa si può fare e cosa non si può fare imponendo dei protocolli chiari agli operatori sanitari.
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