La notizia è che dal 2012 – anno della riforma Fornero – al 2021 i procedimenti giudiziali in materia di lavoro si sono dimezzati: meno 47,4 per cento. E che a questo dimezzamento ha contribuito soprattutto la riduzione delle cause in tema di contratto a termine, meno 91,2, e in tema di licenziamento per motivo economico, meno 66,4.
Nell’arco del decennio la quota di rapporti a termine sul totale è leggermente aumentata, come in tutti i Paesi sviluppati, ma rimanendo comunque intorno a un sesto del totale dei lavoratori dipendenti. Ed è rimasto sostanzialmente invariato il rischio di essere licenziati, per i lavoratori italiani, per i quali la legge prevede ora un indennizzo massimo di 36 mensilità, a fronte delle 24 spagnole, delle 20 francesi e delle 18 tedesche. I lavoratori italiani continuano, dunque, a essere fra i più protetti in Europa. Se il contenzioso giudiziale è crollato, ciò è dovuto al fatto che le riforme attuate nella XVI e nella XVII legislatura hanno sostituito l’obbligo della “causale” per il contratto a termine, fonte di grande incertezza sull’esito del controllo giudiziale, con un limite temporale rigido e un altrettanto rigido limite riferito alla quota di personale a termine rispetto al totale; e hanno predeterminato nel minimo e nel massimo l’indennità dovuta al lavoratore licenziato nel caso di insufficienza del motivo addotto dall’imprenditore, riducendo così drasticamente l’alea circa il possibile esito del giudizio in proposito: ora le parti si accordano molto più facilmente senza bisogno dell’intervento del giudice.
Con la legge Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015, dunque, si è sgonfiata l’enorme ipertrofia del contenzioso giudiziale in materia di lavoro che aveva costituito per decenni un’anomalia italiana rispetto agli altri Paesi della UE: ben possiamo presentare a Bruxelles questa come una riforma strutturale molto incisiva. E si è smentita l’idea che la protezione di chi lavora non sia veramente tale se non passa per le aule dei tribunali.
(articolo ripreso, con il consenso dell’autore, dal sito www.pietroichino.it)
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