Sarà che per seguire la campagna elettorale non ho fatto le ferie, solo tre o quattro giorni, che mi sento per così dire “spompato”. Ma non è un fatto fisico. E’ una sensazione psicologico-sociale. Mi sento “battagliero”, vorrei trovare insieme “agli altri”, meglio se hanno una qualche competenza, esperienza, idea, passione, aspettativa, una via di uscita da questa “crisi sorniona”. Ma sento che c’è una difficoltà a muoversi. Mia sicuramente. Ma la sento, nell’intera società italiana. Insomma il Covid, l’esperienza che abbiamo vissuto e che ancora non può dirsi finita, ci ha fiaccato. Ha lasciato evidenti segni nel nostro tessuto psicologico individuale e collettivo che certamente verranno superati allorquando si potrà tornare alla normalità ma che per il momento stanno lì con noi. Non ci lasciano andare oltre e procedere con speditezza verso un qualche obiettivo.
Cosa c’è che non va? In primo luogo, l’ho già detto, questa crisi sorniona che sembra ogni giorno dietro le spalle ma che ancora non ci lascia. Si può reagire negandola, come fanno alcuni. La minoranza direi. Si può reagire con la paura, come fanno altri. Direi un’altra minoranza. Oppure si può stare “sul chi vive” come fa la grande maggioranza degli italiani. E se questa è la situazione l’economia non può che stentare. Sia per mancanza di consumi, esteri certo ma anche interni, sia per mancanza di investimenti privati che, come diceva Keynes, dipendono dalle aspettative ed è quindi tutto detto, sia per l’abbassamento degli scambi internazionali e sia infine per una stasi degli investimenti pubblici che sembrano sempre sul punto del “partiam, partiamo” ma che non partono mai. Con una Pubblica Amministrazione in lockdown continuo, diffuso e imperturbabile. Non tutta, fortunatamente, ma molta.
In secondo luogo non va il “racconto della crisi” e quindi “dell’uscita dalla crisi”. Un racconto centrato tutto sull’uomo solo al comando. Che ha accollato su di sé tutti gli strumenti di gestione della crisi, con gli italiani che stavano chiusi in casa a cantare e a sventolare bandiere, e ora con un ritorno alla normalità che è sempre più vissuto come “rivincita” verso quella chiusura tutta “eterodiretta”. E oggi si crea così, con il continuo entrare e uscire dalla emergenza sanitaria, una rottura politica, sociale e settoriale nel tessuto connettivo della comunità nazionale foriero di tutto fuori che di una ripresa e di un rilancio del paese.
Su questa criticità si inserisce poi, sempre più violenta e a volte completamente immotivata, la rottura fra le forze politiche che siedono in Parlamento. Una rottura che risponde più all’esigenza del consenso immediato, magari utile a dare più carte quando si tratterà di eleggere il Presidente della Repubblica, che a riportare il paese fuori dalla crisi. Si potrebbero citare tante cose. Ma il dibattito sul Mes fra le forze politiche appare completamente fuori da ogni logica di contenuto. Restando ancorato soltanto alla dislocazione politica sul panorama del populismo e sovranismo imperanti che sembra dettare per molti partiti la via maestra del consenso popolare. Ma non di solo Mes si pasce la rottura politica fra i partiti italiani che risulta completamente lontana dalla necessaria discussione sul futuro del paese. E sulle strade da intraprendere oggi. Tante altre sono le occasioni di bagarre, ma sempre avulse dalla discussione vera sulla prospettiva futura del paese. Insomma si discute e si litiga per arrivare ad un punto in più nei sondaggi e non per approfondire e migliorare il contenuto delle proposte avanzate.
Ed intanto, dulcis in fundo, il debito del paese cresce a dismisura mentre il pil, anche quello potenziale, decresce. Come dire che le prospettive non appaiono rosee dal punto di vista della struttura del paese. Con una demografia colpevolmente decrescente (su quali politiche poteva invece fondarsi la eventuale ricrescita?) e una immigrazione, necessaria nei numeri, ma sempre fuori controllo nella gestione degli arrivi e priva di processi ordinati e programmati di integrazione.
E come ne usciamo? Ci vuole certamente qualcosa che dia, a tutti noi italiani, il senso di una svolta. Ma non politica. Penso che Salvini e Meloni con Berlusconi, a cui auguro una pronta e completa guarigione, non farebbero meglio della maggioranza giallorossa. Ci vuole altro. Una svolta di autorevolezza. Ci vuole qualcuno che punti a ricreare, almeno per i prossimi cinque anni, un tessuto di “concordia nazionale” puntando sui valori più interni e profondi del popolo italiano sapendo di poter contare su una maggioranza estesa, se non unanime, del Parlamento. E che possa pensare da “buon padre di famiglia” a rimettere il paese a posto e a riconsegnarlo fra un po’ di anni più innovativo, più onesto e più efficiente. E con il senso di una storia collettiva da scrivere.
Certo il nome di Draghi, fatto più volte e da più parti, viene quasi “per acclamazione”. Ma vorrei andare oltre e chiedermi: ma è possibile che in Italia, oggi, all’infuori di Draghi, e della sua non certa disponibilità a fare da guida morale e competente del paese, non ci sia nessuno in grado di farsi carico di questo processo? Che l’Italia sia così malridotta da non avere più padri della Patria? Io non ci credo. Penso invece che di fronte all’apatia del paese, alla mancanza di prospettive e al pericolo di una involuzione e di una decrescita inarrestabile, le forze politiche in Parlamento dovrebbero smettere con i litigi di posizionamento e dovrebbero pensare a fare un lavoro di “scouting” per trovare le migliori risorse umane da utilizzare in questo momento di bisogno. Ne saranno almeno coscienti? Lo spero, non tanto per il mio futuro. Ma per quello dei miei figli e della fascia più debole del paese. Il disastro economico e sociale non conviene a nessuno. Poi, cari leader dei partiti, tornerete a competere e a lottare giustamente, come prevede la Costituzione, per l’egemonia nel paese. Ma ora ci vuole altro. Non si governa sulle macerie di un paese.
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