Anna Maria Bigon ha votato contro, nel Consiglio regionale del Veneto, a un disegno di legge sul fine vita. Il suo voto è stato determinante per fare bocciare la proposta. Anna Maria è cattolica e ha in ogni caso su tale questione, una posizione di contrarietà. A seguito della sua scelta c’è stata nel PD del Veneto una valanga di proteste e il segretario della federazione di Verona, dove Anna Maria risiede ed è iscritta, contro la valutazione del regionale e del centro del partito, le ha revocato, con il plauso della direzione provinciale, l’incarico di vicesegretaria. In realtà non tutti nel gruppo dirigente nazionale sono stati contrari alla defenestrazione di Anna Maria Bigon: Alessandro Zan, deputato, responsabile nella segreteria nazionale dei Diritti, aveva dato una mezza benedizione alla decisione presa poi a Verona. Ci sarebbe da chiedersi se un orientamento preso a livello nazionale e regionale su una questione così delicata possa essere cestinato da una federazione provinciale e se questo sia il segno inequivocabile di una sana autonomia politica oppure manifesti il deficit dei partiti nell’Italia di oggi, prigionieri taluni di logiche autoritarie o addirittura proprietarie, altri come il PD di competenze, locali e nazionali, parallele, che si ignorano e rischiano di annullarsi a vicenda, dando origine a polifonie di voci tra loro in contrasto, che tutto esprimono fuorché un indirizzo uniforme, necessario su temi di portata generale. È un aspetto chiave, al quale, in questa occasione, mi limito a dedicare solo un accenno.
Piuttosto sono due i problemi, grandi non banali, che questa vicenda ci pone: il primo riguarda le istituzioni democratiche, l’altro il mio partito, il PD.
Può essere affidata la responsabilità di legiferare su temi come il fine vita a una Regione? Diventa più moderno, autonomista e regionalista, uno Stato al cui interno ci saranno Regioni che consentono il fine vita, altre che lo negano, altre ancora che neanche si pongono il problema? In Italia ci sono state grandi conquiste sul piano delle libertà civili: penso al divorzio o all’interruzione della gravidanza. Sarebbero state tali se si fossero avute in Veneto ma non in Piemonte, in Emilia-Romagna ma non nel Lazio, in Campania ma non in Sicilia?
In questa vicenda del Veneto abbiamo un’anticipazione di quello che sarà l’Italia di domani, se verrà approvato l’attuale disegno di legge della destra sull’autonomia differenziata. Oltre al colpo che riceverà la coesione sociale degli italiani, all’inadempienza costituzionale rispetto al finanziamento, prima di ogni ulteriore decentramento di funzioni, dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), giganteggia l’avere previsto l’affidamento alle Regioni non di accresciute competenze amministrative bensì di poteri decisionali e legislativi su materie di esclusiva potestà statale. Intendiamoci: il nuovo Titolo V della Costituzione secondo me deve essere comunque rivisitato alla luce dei cambiamenti nella società, della costruzione -questa sì una vera priorità- della democrazia federale europea, di epidemie come il covid. Davvero qualcuno ritiene serio e praticabile che una Regione -lo dice un regionalista convinto- possa governare le reti nazionali di energia, le grandi infrastrutture materiali e immateriali, le impostazioni guida su istruzione, ricerca scientifica, università, o sulla sanità? Possa avere nelle sue mani la politica estera? Il Veneto ha già dichiarato che chiederebbe le competenze dello Stato su tutte e 23 le materie! Chi oggi si stupisce della possibilità di avere leggi regionali sul fine vita, abbia chiaro che domani potrebbe essere non un’eccezione maldestra, e che avrebbe dovuto subito essere bollata come tale, ma la regola, la normalità di un disordine istituzionale reso legittimo.
E veniamo al caso Anna Maria Bigon-PD. Nello statuto del partito è stabilito il diritto alla libertà di coscienza sui temi etici, sulle normative costituzionali ed elettorali. Questo diritto deve essere garantito nelle istituzioni e ovviamente nel partito. La rimozione dalla vicesegreteria della federazione di Anna Maria Bigon ha non soltanto violato un principio cardine ma al tempo stesso recato un danno politico a chi guarda a noi, cattolico, di altra fede religiosa o semplicemente, credente o meno, non condivida soluzioni di maggioranza sui temi tanto delicati, senza garanzie di pluralismo per le minoranze. Attenzione perché queste impostazioni non hanno solo un risvolto interno: la democrazia esige che uno Stato sappia garantire l’attuazione delle leggi ma anche il rispetto della libertà di coscienza per gli operatori, non solo per i cittadini. È questa la laicità!
Vi è un’ultima considerazione, sulla quale vale la pena di soffermarsi. Riguarda l’approdo verso cui si sono dirette le forze socialdemocratiche europee e prima di tutto il partito democratico degli Stati Uniti. Sul finire del secolo passato vi è stato un concentrarsi sulle sole libertà civili, la disattenzione o addirittura l’abbandono di quelle economico-sociali, un’identità ridisegnata esclusivamente su aborto, fine vita, maternità surrogata. Negli Stati Uniti ciò ha provocato la nascita dell’esperienza dei cristianoconservatori, il loro divenire rilevanti, l’alleanza di fatto con il primatismo bianco: il risultato è stato il loro contributo significativo alle vittorie di Bush junior e più di recente di Trump. Anche in Europa il rigurgito di una destra reazionaria, dalla Polonia all’Ungheria, dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia, si alimenta di questi vuoti di attenzione delle sinistre, che fanno talvolta del giacobinismo il criterio per misurarsi con le sfide etiche, vecchie e nuove. Le convinzioni, le paure, le fragilità, non solo economiche ma esistenziali, non costituiscono vissuti da irridere con atteggiamenti di superiorità intellettuale, ma situazioni e stati d’animo da ascoltare, con cui confrontarsi, da conquistare con proposte sul presente e progetti di futuro, credibili, concreti, graduali, sostenuti, non sostituiti, da visioni ideali.
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