In Sanremo, a pochi passi da Villa Nobel, c’è Villa Adriana, che un tempo si chiamava Villa Natalia e apparteneva alla famiglia Sadovskie. Su una lapide in marmo, posta di fianco all’ingresso del parco, si legge che in questa abitazione, per due anni dal 1901 al 1903, fu ospite la poetessa Lesja Ukraïnka.
In realtà il vero nome della scrittrice era Larysa Petrivna Kosač ma lei, come molti altri, adottò uno pseudonimo che manifestasse il suo essere ucraina e non russa. L’espressione “come molti altri” non è una esagerazione, tanto che lo storico Jaroslav Hrytsak (Storia dell’Ucraina) ha contato, oltre a Lesja, suo zio Mychajlo Drahomanov e Mykola Gogol’, altre venticinque personalità della cultura e della politica che decisero di firmare i loro testi come Ukraïnka o, al maschile, Ukraïnec.
Lesja proveniva da una famiglia colta e impegnata che contribuì in maniera notevole alla causa del “Risveglio ucraino”. Il padre, Petro Kosač, seppur discendente da un’antica casata bosniaca, sosteneva, anche finanziariamente, le iniziative editoriali in lingua ucraina. La mamma Olha Drahomanova, editrice e scrittrice nota con lo pseudonimo Olena Pčhilka, dato che in allora insegnamento e circolazione delle opere in lingua ucraina erano vietati dal 1876 in base all’ukase di Ems dello zar Alessandro II, si occupò personalmente dell’istruzione dei figli e fece il possibile per trasmettere loro l’amore per la lingua madre. Inoltre, insieme alla giornalista Natalija Kobryns’ka, fu una delle pioniere del movimento femminista ucraino che vide sorgere la sua prima associazione in Galizia nel 1884. Ma il riferimento più importante per la giovane fu lo zio materno Mychajlo, “il più influente pensatore politico ucraino del XIX secolo” (Plokhy S., Le porte d’Europa). Questi, docente di storia all’Università di Kyïv, autentico intellettuale cosmopolita, democratico, socialista e indipendentista, fautore di una federazione degli stati europei che includesse l’Ucraina e costretto all’esilio dal 1876, divenne il riferimento politico culturale di un’intera generazione. Ispirandosi a lui Lesja, nella sua pur breve esistenza, non solo si dimostrò degna erede e prosecutrice della tradizione familiare ma si conquistò un posto accanto a Taras Ševčenko e Ivan Franko nel panheon della poesia civile ucraina.
Nel 1880, a soli nove anni, scrisse la sua prima poesia Nadija (Speranza), dedicata ad una zia esiliata, e l’anno successivo si ammalò di tubercolosi ossea. Due eventi che rivelano la cifra di tutta la sua esistenza e della sua poetica: la lotta contro l’impero russo per l’indipendenza e la libertà del suo popolo, per le libertà individuali, con particolare riguardo alla condizione femminile, e la resilienza contro il dolore e la malattia senza mai rinunciare alla speranza: Non ho il destino né la libertà / mi resta solo un po’ di speranza (il testo completo è riportato su pensalibero.it, nell’articolo di Enrico Martelloni in Ucraina. Una poesia alla settimana: Lesja Ukrainka).
Col fratello Mykhalo creò un circolo letterario, Pleyada, teso alla promozione e alla valorizzazione della propria lingua, che portò alla traduzione in ucraino di molti classici della letteratura mondiale. Si trattava di gesti rivoluzionari ma ancor più dirompente fu la sua produzione letteraria in cui, convinta della necessità di intraprendere la lotta armata, utilizzò temi della storia e del mito, in particolare nelle opere La cattività babilonese, Nelle catacombe e Cassandra, per denunciare le condizioni del suo popolo sottoposto al dominio zarista e per scuoterlo dal torpore e dalla passività. Con queste rivisitazioni e reinterpretazioni letterarie e col suo attivismo politico e sociale, che la malattia e le carceri dello zar non riuscirono a piegare, ha dimostrato non solo l’innegabile appartenenza della cultura ucraina alla civiltà europea ma ha trasformato il grido di dolore per la sua terra e la sua gente in un appello universale contro ogni tirannia e per la dignità di ogni singola persona.
Oggi Lesja dorme il sonno dei giusti nel cimitero Baikove a Kyïv dopo una breve vita passata a lottare contro i Putin, i Medvedev e i Kirill di allora che altri non erano se non gli Zar, i Valuev e gli Uvarov di oggi.
Gli ideali di Lesja la sua generosità e il suo impegno si riconoscono nell’attività della comunità ucraina del ponente ligure, non un’associazione ufficiale ma un insieme di persone che da quel 24 febbraio del 2022 si sono immediatamente attivate e hanno organizzato a Sanremo il primo presidio manifestazione appena tre giorni dopo. Quindi, nei primi giorni di marzo sono fiorite diverse iniziative nei centri principali tra cui l’invito alla preghiera comune nell’Oratorio di San Costanzo, una delle più antiche chiese della città dei fiori affidata già dal settembre 2021 ad un sacerdote della chiesa greco cattolica ucraina; una fiaccolata per le vittime dell’aggressione e, il 10 aprile sempre a Sanremo, la manifestazione Ucraina in fiamme contestualmente alla raccolta di firme con il Gruppo Radicale Adele Faccio per il deferimento di Putin alla Corte Penale Internazionale dell’Aia e per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea con procedura accelerata.
Contemporaneamente partivano le iniziative di solidarietà: dalla collaborazione alla raccolta fondi e aiuti da parte di varie associazioni solidali, parrocchie e gruppi spontane di cittadini, a attività di mediazione culturale nei confronti dei connazionali appena arrivati dalle zone di guerra.
Non sono mancate attività di informazione e denuncia come la presentazione del libro L’Italia e l’Europa alla canna del gas di Igor Boni seguita da una manifestazione in una piazza centrale di Sanremo nei giorni del Festival della canzone del 2023 che ha visto l’adesione di Energia Democratica (gruppo del PD che fa riferimento a Anna Ascani), Più Europa, Gruppo Radicale Adele Faccio, Azione e Italia Viva, forze che non hanno mai fatto mancare il loro appoggio alle varie iniziative.
Non meno importanti gli incontri, soprattutto musicali, che si sono trasformati in una finestra sulla cultura, sulle tradizioni e sulla socialità ucraine, ospitati a Sanremo dal Circolo Acli di San Martino, dalla chiesa Luterana e dalla parrocchia di Nostra Signora della Mercede e a Imperia dalla Chiesa di Cristo Re.
Scioccanti e significative sono state le proiezioni, nei locali della Federazione Operaia di Sanremo, del film 20 days in Mariupol (24/02/24), premiato quest’anno con l’Oscar come miglior documentario, e del film-inchiesta di Navalny Palazzo per Putin (17/03/24), con la presenza di esponenti della Comunità dei russi liberi giunti a Sanremo dopo aver partecipato a Genova al Mezzogiorno contro Putin formando una coda davanti al Consolato generale di Russia per ricordare Navalny e denunciare le elezioni farsa orchestrate dal Cremlino.
Anche tutto questo si chiama Resistenza e si scrive con la “R” maiuscola.
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