La mossa di creare al Senato un intergruppo fra PD, LeU e Cinque Stelle è una scelta chiara e che è resa ancora più chiara, e soprattutto percorribile, dall’espulsione dal MoVimento di coloro che hanno votato contro il governo Draghi (quando ci si riferisce ai grillini bisogna scrivere correttamente la parola MoVimento perché quella V maiuscola al centro sta a ricordarne la genesi che è quella del Vaffa).
Il tentativo che sta facendo Zingaretti, e dietro di lui D’Alema e Bettini che sono i veri registi dell’operazione, non è solo quello di tenere insieme, per una sorta di revanscismo, la vecchia maggioranza, con l’esclusione ovviamente di Italia Viva, ma di fare di questa il nucleo centrale di una posizione di sinistra che riporti l’alleanza, in termini politici e numerici, all’epoca pre-Renzi quando ad esempio, nel 2013, la coalizione Italia, Bene Comune prese alle politiche il 29,55% dei consensi. Leader del nuovo schieramento Giuseppe Conte che sarebbe ovviamente solo ed esclusivamente la figura di riferimento per quanto riguarda il profilo mediatico. Il MoVimento, depurato dall’ala più radicale, è più che pronto a questo tipo di sbocco. Nella stessa direzione va il tentativo di dare a Conte il collegio di Siena lasciato libero da Padoan e l’ipotesi di fare candidature comuni per il rinnovo delle amministrazioni locali nelle ormai prossime elezioni amministrative.
Dal punto di vista numerico il tentativo ha una sua logica. Senza l’elettorato dei Cinque Stelle il PD non è allo stato competitivo contro un centrodestra che, nonostante tutte le sue divisioni, riesce sempre e comunque a marciare unito. Ma qual è il prezzo politico implicito in una simile strategia? Molto semplicemente l’abbandono di fatto del progetto originario del PD come la casa del riformismo. Molti nel Partito Democratico contestano questa interpretazione e vedono solo nella nuova alleanza a guida Conte la cancellazione del periodo e delle scelte della segreteria Renzi. Per gli orfani del PCI il periodo Renzi fu vissuto come un’usurpazione (come non ricordare i brindisi dopo la sconfitta referendaria?). Non si rendono conto che quel periodo e quelle scelte sono una parte essenziale di un percorso riformista che certo può essere migliorato ed affinato ma non può essere negato. O forse se ne rendono perfettamente conto proprio perché questo è il risultato che vogliono perseguire. In pratica il PD, alleato di LeU e Cinque Stelle, sull’asse dell’evoluzione dal PCI al PD, torna, quasi, al punto di partenza.
Nonostante questo ritorno al passato la strategia dalemian-bettiniana potrebbe avere un senso se rispondesse all’esigenze del Paese in questo momento storico e se, sulla base di questo, avesse una qualche possibilità di successo elettorale.
Ma così non è. Il ricorso a Draghi e alla sua squadra, quella tecnica non quella rappresentata dalla foglia di fico degli esponenti politici, e soprattutto il programma del nuovo governo (solo i grillini possono sostenere, magari anche credendoci, che quel programma è il proseguimento di quello del Conte II) sono lì a dimostrare che nel mondo di oggi i problemi possono essere risolti solo sulla base di linee politiche chiaramente riformiste capaci di modellarsi e adeguarsi a condizioni economiche e sociali che non sono più quelle di una volta.
Nel 2013, solo otto anni fa anche se sembra un secolo, la coalizione Italia, Bene Comune vinse alla Camera per una manciata di voti ed ottenne la maggioranza relativa al Senato. Oggi l’alleanza PD, LeU, Cinque Stelle sarebbe spazzata via da un centro-destra che, capita l’antifona, si presenterà alle prossime elezioni avendo abbandonato, nel suo partito più forte, le posizioni più sovraniste ed antieuropee. Non solo. L’effetto sarebbe ancora più perverso perché lo spostarsi a sinistra del PD regalerebbe al centrodestra la componente riformista e liberaldemocratica, proprio quella che invece il PD avrebbe dovuto attirare a sé per creare nel Paese un polo alternativo a Lega e Fratelli d’Italia.
Se il PD andrà avanti sulla strada intrapresa per rifomisti e liberaldemocratici la strada si fa in salita. “Noi di Italia Viva – ha scritto Renzi – dovremo essere i promotori – non da soli – di quella che in Italia sarà la casa del buon senso, dei riformisti, di un mondo liberal-democratico che in Francia ha Emmanuel Macron, in Danimarca Margrethe Vestager, in Belgio Charles Michel, in Lussemburgo Xavier Bettel e tanti altri riferimenti nel mondo”.
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