Ammontano a 1.424,0 miliardi i crediti dello Stato per tasse, multe e canoni vari non pagati relativi al periodo 2000 ― 2020. L’importo lo indica la Corte dei conti nella “Sintesi della Relazione sul Rendiconto generale dello Stato, es. 2020”, presentata il 23 giugno 2021 (Dettaglio documenti (corteconti.it). Sul punto, la Corte traccia un quadro disastroso. Emettendo gli appositi ruoli, lo Stato ha cercato di riscuotere crediti dalla massa di 1.068,8 miliardi esistente alla fine del 2019. Ha riscosso 139,5 miliardi (13,1%). Sono rimasti da incassare circa 930 miliardi.
Corte dei conti e Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate hanno esposto le ragioni del fallimento. Si tratta di debitori deceduti, falliti o nullatenenti. Tuttavia, riassumendo quanto osservato dagli organismi pubblici coinvolti nella vicenda, è lo stesso Stato che ritiene che oltre l’80% di questi crediti sia inesigibile. Infatti, la situazione si ripete per l’intero ventennio considerato.
Inutile sottolineare come questa enorme massa di denaro “ballerina” si rifletta, negativamente, sui conti pubblici. Le regole contabili ne impongono l’indicazione totale tra le somme da riscuotere benché se ne riconosca, fin dall’origine, la parziale inesigibilità. Contabilizzando importi non rispondenti alle reali consistenze economiche del bilancio, se ne alterano i saldi.
In merito ai crediti non riscossi, è stato messo in evidenza, recentemente, un altro profilo. La Corte Costituzionale, nella sentenza 120 del 2021 (Corte costituzionale – Decisioni), parlando dell’aggio esattoriale― la somma che si versa al momento del pagamento delle tasse per remunerare il costo della riscossione ― sottolinea come, in presenza delle enormi masse di tasse non pagate, l’aggio degenera nel “paradosso di addossare su una ridotta platea dei contribuenti individuati in ragione della loro solvenza […] il peso di una solidarietà né proporzionata né ragionevole perché originata, in realtà, dall’ingente costo della «sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti» nei confronti dei contribuenti insolventi”. E conclude: “Si deve ora ribadire che un’adeguata riscossione è essenziale non solo per la tutela dei diritti sociali, ma anche di gran parte di quelli civili”.
Da quanto detto, emerge la gravissima patologia presente nella gestione di un’area non trascurabile della finanza pubblica. E in tema, nella prospettazione di una paradisiaca “pace fiscale”, risultano piuttosto come cure palliative le cosiddette “rottamazioni delle cartelle esattoriali” (ultima, DL 41/2021), cioè l’annullamento d’ufficio dei crediti dello Stato; o il “saldo a stralcio”, cioè il pagamento di una somma minore dovuta allo Stato da parte di contribuenti in grave difficoltà economica. Operazioni di questa natura non soltanto non curano il male, ma sottolineano anche la perdurante incapacità dello Stato di riscuotere i propri crediti. A fronte dei modesti risultati ottenuti con questi istituti, la cura della patologia non può che consistere in una riforma globale del sistema della riscossione.
La stessa Corte dei conti ― che ha rimesso il dito nella piaga della mancata riscossione dei crediti dello Stato esaminandone il Rendiconto 2020 ― aveva già affrontato la questione nel suo corposo “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” (RCFP 2021 (corteconti.it) sottolineando la necessità di “un’ampia e organica revisione dell’intero sistema della riscossione per individuare soluzioni idonee a potenziare l’efficienza della struttura amministrativa e tutelare adeguatamente l’interesse dello Stato”. La Corte fornisce quindi al riguardo alcuni “contributi di riflessione”. Ne indichiamo alcuni.
Per qualsiasi disegno organico di riforma della materia, il punto di partenza non può che essere lo “smaltimento degli ingenti carichi pregressi”, specie se i crediti si ritengono inesigibili. Al riguardo, si devono prevedere misure straordinarie di prescrizione, ovvero trattamenti speciali tenendo conto dello stato della procedura di riscossione: decesso del contribuente, cessazione dell’attività, fallimento e simili.
Per gli aspetti organizzativi, nella logica di una riorganizzazione complessiva della riscossione pubblica, la Corte suggerisce l’istituzione di un’Agenzia generale della riscossione, con partecipazione anche dell’INPS tenuto ad avvalersi di essa per le riscossioni di sua spettanza. Enti locali e altre istituzioni pubbliche potrebbero avvalersi dei servizi dell’Agenzia attraverso convenzioni. Per gestire un sistema di queste dimensioni, sono indispensabili una programmazione rigorosa e la disponibilità di personale sufficiente e professionalmente preparato.
L’informatica dovrebbe snellire e facilitare tutti i processi. Tra questi, l’interminabile serie di notificazioni che dilatano i tempi della riscossione mettendo a dura prova le capacità organizzative della struttura.
La Corte fa anche presente come l’attuale normativa procedimentale sia inidonea ad assicurare un’adeguata tutela dell’interesse pubblico. Per effetto di diversi interventi legislativi, il creditore pubblico non beneficia delle possibilità operative. del creditore privato. La parte pubblica non deve subire limitazioni nella pignorabilità di somme, nell’espropriazione mobiliare, nella possibilità di pignoramento anche sull’abitazione principale, nella vendita coattiva immobiliare. Infine, l’Amministrazione finanziaria deve poter accertare, per il contribuente infedele, l’esistenza di un conto corrente bancario e conoscerne la consistenza. Superfluo dire che, segnatamente sull’ultimo punto, il dibattito è già vivace. Si parta di “conti correnti senza lucchetto”.
Se, tuttavia, si tiene presente che le spese annuali dello Stato sono di circa di 1.000 miliardi, e per 300/400 miliardi sono sostenute facendo debiti, correggere i sistemi della riscossione diventa non più procrastinabile. Incassare tutti i crediti dei debitori anche del passato sarebbe un vero toccasana per il risanamento dei conti pubblici.
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