La prima. Fight Impunity non è propriamente una lobby, ma una ONG, nata con il fine di combattere ”contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità, avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale”. La missione delle lobby è un’altra e non è di per sé indecente: stanno “nei dintorni” del Parlamento europeo e di tutti i Parlamenti nazionali, a rappresentare dei legittimi interessi industriali, commerciali, culturali, che possono essere oggetto di legislazione a favore/contro e/o destinatari di fondi. Dal punto di vista delle istituzioni e delle rappresentanze europee è bene che questi interessi si rendano visibili e trasparenti, perché, come sottolinea Pia Locatelli, già deputata europea bergamasca del PSE, il legislatore può farsi delle idee più realistiche circa la materia di cui si occupa e può calibrare i vari interessi, spesso in competizione tra loro e in conflitto potenziale con l’interesse generale, in un equilibrio favorevole agli interessi universali dei cittadini elettori. La presa diretta sugli interessi è un fatto positivo. Ovviamente, se non si finisce per “essere presi”.
La seconda. Se la ONG di Panzeri non è una lobby riconosciuta dal Parlamento europeo, è stata però usata come tale e generosamente ricompensata da un paio di Stati extra-europei.
Christian Chesnot e Georges Malbrunot hanno denunciato nel 2019 nei loro “Qatar Papers” la politica di infiltrazione del Qatar verso tutti i Paesi europei, fatta di finanziamenti copiosi al radicalismo islamico. In verità non solo dal Qatar. Anche dalla Turchia e dall’Iran (Il caso del Marocco è diverso: qui il motore dei soldi non è il fondamentalismo islamico, ma le ambizioni territoriali verso il Saharawi e il lungo conflitto con il Polisario) arrivano palate di denaro per moschee, centri culturali, madrasse, al fine non solo di garantire la costruzione di spazi fisici per il legittimo esercizio delle libertà religiosa e per la conservazione delle identità culturali di origine, ma anche per combattere i principi di civiltà e gli assetti giuridico-istituzionali, sui quali sono fondate le democrazie europee. E come? Finanziando, appunto, i nuclei di radicalismo e di fondamentalismo islamico in tutta Europa. E’ una lotta per l’egemonia culturale nell’Europa futura, che l’Europa laico-liberale ha gravemente sottovalutato e che è incominciata da anni, al fine di rinforzare la resilienza integralista islamica rispetto ai tentativi di integrazione degli immigrati operati dalle società democratiche europee. Chiunque abbia cercato di aprire gli occhi europei, è stato accusato di islamofobia.
La vicenda Panzeri mette a nudo le fragilità culturali delle democrazie nazionali europee e della democrazia europea. Democrazie che si prestano ad essere aggirate e ad essere colte di sorpresa. Fragilità culturale e vulnerabilità istituzionale. La democrazia UE è una democrazia a metà: perché di democratico c’è solo il Parlamento, eletto direttamente dai cittadini, ancorché su scala nazionale e perciò a frammenti. Ma il Governo europeo non c’è: l’Inter-governo europeo è un assemblaggio disordinato di Governi nazionali, che non riceve la fiducia dal Parlamento europeo e che è spesso paralizzato dagli interessi divergenti dei singoli Stati. Il paradosso invece è che la UE è considerata dall’esterno uno Stato unico. Nessuna meraviglia, dunque, che Stati autocratici e pieni del denaro, che gli Europei riversano nelle loro casse in cambio di petrolio e gas, possano con relativa facilità infiltrarsi, usando la porta democratica del Parlamento europeo per penetrare legalmente negli Stati nazionali. La società civile europea e la politica che la rappresenta hanno preso alla leggera le minacce ai valori della democrazia liberale, che arrivano da Paesi, dove si condanna a morte “per inimicizia contro la religione”, dove le donne vivono in condizioni di sottomissione totale ai maschi, dove i diritti umani, civili e sociali sono calpestati. Gli Stati-nazione europei hanno chiuso gli occhi in nome degli interessi economici più immediati, vendendo l’anima in cambio di gas e di petrolio. Una parte consistente dell’opinione pubblica europea ha perduto la consapevolezza che la posta in gioco del confronto politico-ideologico globale è pur sempre, nelle nuove condizioni storiche, la tavola cristiano-liberale dei valori, il cui nucleo è il valore assoluto della libertà/dignità della persona. Le tiepidezze sugli aiuti militari all’Ucraina sono una controprova della bassa consapevolezza. Il fatto che in nome dello “scontro di civiltà” si siano talora giustificati interessi e politiche di potenza, spesso poco degni della nostra civiltà, non significa che uno scontro di civiltà non sia in atto. E proprio perciò non basteranno i servizi segreti e la magistratura a difendere la nostra tavola di valori, se gli Europei per primi non sono consapevoli della posta in gioco.
La terza notazione. Ci fu un tempo in cui la Sinistra credeva di avere il monopolio dell’etica pubblica. Che non era certo fondata su quella tavola, ma sulla presunzione di stare dal lato ontologico buono della storia, quello dell’emancipazione e della liberazione umana. Di qui l’idea di essere eticamente un passo avanti rispetto alla Destra, anzi al di sopra. Se però il fondamento dell’etica cessa di essere la collocazione, all’avanguardia o in coda, nel flusso della storia, ma il rispetto della persona umana e delle sue libertà, giuridicamente tradotte in diritti umani, civile e sociali, allora non esiste più una morale della Sinistra e una morale della Destra. In particolare, in questo universo etico non ci sono più uomini nuovi e demiurghi dell’avvenire, cui accreditare il privilegio di stare al di sopra delle leggi ordinarie, nel nome di un Bene superiore. Il collasso di questa ideologia ha lasciato molti militanti della sinistra senza protezione di fronte alle “pompe del demonio”, come le chiama la liturgia battesimale. Così resta il singolo individuo, che fa i conti con le proprie passioni, le proprie fragilità, le proprie colpe, delle quali si deve assumere tutto il peso, “avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale”, non solo “ dell’architettura della giustizia internazionale” – vedi allo Statuto di Fight Impunity – ma anche della propria architettura interiore.
(Articolo ripreso da www.santalessandro.org, con il consenso della rivista)
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