Sussurri, mezze frasi, ammiccamenti. Poi finalmente il grido: «Il M5S è diverso dalla Lega. Insieme possiamo difendere certi valori». Parole e musica, pubblicate sul Corsera, di Dario Franceschini, ovvero un luminare delle giravoltole: ex popolare, prima prodiano, poi dalemiano, poi veltroniano, poi fedelissimo di Bersani, poi lettiano, poi renziano e infine perdutamente zingarettiano. Fantapolica? Che l’inciucio, sia nell’aria, in pochi lo dubitano. E chi, meglio di un poltronista di primissimo livello, potrebbe autorevolmente impersonificarlo? Franceschini è stato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei Governi D’Alema e Amato; ministro nei Governi Letta, Renzi e Gentiloni. Oltre ad essere stato Vice e Segretario del Pd. Per capire meglio il personaggio Franceschini, basta scorrere la sua storia ed osservare i suoi atteggiamenti. Per esempio, quando era il leader dei democratici, si oppose strenuamente all’ingresso del Pd nel Pse: «non entreremo – disse – nel Pse. Cercheremo un luogo e un gruppo per le forze progressiste». Il tempo fu evidentemente maturo quando fu Renzi, da segretario, a scegliere senza esitare di far entrare il Pd nel Pse. Franceschini, scelse il silenzio e tantomeno ritenne di dover sottoscrivere il manifesto dei suoi: «il Pd non era nato per essere solo la sinistra». Ora però non si parla di alleanze internazionali, ma di progettare nuove possibilità di governare l’Italia. E anche in questo nuovo assalto al Palazzo, Franceschini non lesina certe le energie. Anzi ci lavora da tempo, proponendo di: «un rassemblement di quelli che «dicono sì all’Europa: da Calenda a Lorenzin fino ad Errani». E dichiarando: È stato un errore «non aver evitato la scissione»; un altro di «aver evitato la saldatura Lega-M5S; un altro ancora «non aver candidato Gentiloni il 4 marzo». Insomma una bocciatura in grande stile a Matteo Renzi. In brutale sintesi, la notizia, per gli appassionati di tormenti Pd, sarebbe questa: Dario Franceschini, ha abbandonato definitivamente Renzi al suo destino, ha scelto un nuovo cavallo da corsa: Nicola Zingaretti. In questa ennesima giravolta del globetrotter del centrosinistra italiano c’è però una vecchia abitudine di questa area politica: le divisioni. Lo sanno anche i sassi che una proposta simile rappresenti un attacco a Matteo Renzi, che è pronto a stoppare ogni tentazione di alleanza tra Pd e M5s. Eppure l’idea torna di attualità, nonostante la pessima performance del partito di Di Maio al governo, che fa il paio con gli scarsi (eufemismo) risultati dei grillini nelle amministrazioni comunali, dal Brennero alla Sicilia. La caustica dichiarazione del “renziano” Faraone chiarisce il clima: “vogliono far fuori i renziani per rassicurare Di Maio”. L’elezione di Faraone, a Segretario regionale del Pd in Sicilia, è stata annullata, perché la commissione nazionale di garanzia ha accolto il ricorso di Teresa Piccione, appartenente alla mozione Zingaretti. Eppure, nonostante il pressing, proprio Di Maio in un video fa una dichiarazione al vetriolo contro il Pd: “Con il partito di Bibbiano non voglio aver niente a che fare. Con il partito che in Emilia Romagna toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli non voglio avere nulla che fare. E sono quello che in quest’ultimo anno ha attaccato il Pd più di quanto non abbiamo fatto gli altri partiti”. A Bibbiano sono accaduti fatti da accertare, in cui il Pd non risulta coinvolto, ed infatti il partito di Zingaretti, dimostrando inusitata prontezza, ha reagito con forza: “Sono dichiarazioni demenziali che confermano il livello di disperazione di un personaggio che ha fallito il suo obiettivo e scarica la sua bile sugli avversari politici – si legge in una nota diffusa dai dem – Di Maio strumentalizza e utilizza una vicenda drammatica che abbiamo denunciato fin da subito. Il Pd – è la conclusione – ha dato mandato ai propri legali di sporgere querela per diffamazione e richiesta di risarcimento danni in sede civile”. Eh sì, Di Maio ha trattato il Pd con il tipico metodo del Movimento: attaccare gli avversari politici senza lesinare l’insulto”. Eppure Franceschini, ma anche Fassino ed altri autorevoli esponenti nel nuovo Pd zingarettiano non vacillano neppure un po’! In compenso Renzi non le manda a dire: “Mi piacerebbe che chi come Dario è in politica da decenni avesse l’onestà intellettuale di fare un’analisi meno rozza”, scrive su Fb. “Aggiungo che chi, come Franceschini, ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto per chi il collegio lo ha vinto e continua a governare i propri territori”. Insomma, uno scontro con accuse durissime. La replica di Franceschini è all’insegna dell’ironia: “A prima vista sono rimasto colpito dalla raffinatezza dell’analisi politica ma devo rileggere più volte il post per cogliere meglio alcune sofisticate sfumature”. Sandro Gozi chiede polemicamente a Franceschini: “Ci mettiamo tutti il gilet giallo?”. Anche il governatore della Toscana Enrico Rossi, boccia l’idea: “sarebbe esiziale”. Carlo Calenda ci va duro: “Se facciamo un’alleanza con M5S io me ne vado subito”, dice dal palco della Festa dell’Unità a Roma. “Io non intendo fare la scissione – aggiunge – voglio allargare e non spaccare nel Pd. Ma se non si esclude in modo definitivo da qui alle elezioni un governo con M5S cambia tutto. Il problema di fare una cosa diversa per me c’è, se il nodo non viene sciolto”. Sui social la base renziana si è subito mobilitata con l’hashtag “senza di me”, contestando Franceschini. Com’è noto Matteo Renzi è totalmente contrario a un simile accordo, peraltro di difficile soluzione, posto che larga parte dei gruppi parlamentari faccia ancora riferimento a lui. Scrivono su Twitter “I renziani in rete”: “Per qualcuno nel #Pd, #Lega e #M5S sono diversi. Per i riformisti no. Lega e M5S sono facce diverse della stessa medaglia populista. Per questo MAI saremo loro alleati.
Insomma, la giravolta di Franceschini non tiene conto che, nonostante la schiacciante affermazione di Zingaretti, dal parere di Renzi difficilmente il partito dovrebbe prescindere. E dunque, parafrasando Manzoni: “Questo matrimonio non s’ha da fare, nè domani nè mai!”.P
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