Dalla tragedia degli schiavi africani e della discriminazione razziale, ora, però, si sta passando alla commedia della decapitazione delle statue di personaggi storici che furono coinvolti, direttamente o indirettamente, in quel passato. E la furia iconoclosta, sviluppatasi nelle grandi città degli States, si è estesa La morte per soffocamento di George Floyd ha giustamente provocato le proteste sul territorio americano e un’ondata planetaria di indignazione per il comportamento crudele dei poliziotti di Minneapolis.
Non è la prima volta che la polizia americana uccide un cittadino di colore durante un arresto, e senza la motivazione della legittima difesa; a testimonianza del fatto che la questione razziale in quel Paese non è affatto risolta, nonostante siano passati cinquant’anni dall’assasinio di Martin Luther King e dalle prime grandi manifestazioni per i diritti civili.
Le proteste degli afroamericani sono poi degenerate, come già accaduto in passato, in vere e proprie rivolte, incendi e violenze di ogni genere. La violenza, si sa, chiama altra violenza.
Ma l’origine di tutto ciò è sempre da ricercarsi nell’antica pratica dello schiavismo, che in Nord America prese forma all’inizio del Seicento nelle colonie inglesi, si diffuse poi soprattutto negli Stati del Sud e fu abolita solo nel 1865, in seguito a una guerra civile che costò oltre mezzo milione di morti.
Lo schiavismo è una delle pagine più tragiche della storia dell’umanità; e, purtroppo, la cultura che lo sosteneva, il razzismo, non è stata ancora estirpata in tutti gli Stati Uniti. L’uccisione del povero Floyd ne è un’ennesima dimostrazioneall’Europa, come è sempre successo con le mode e le ideologie: a partire dalle proteste degli studenti di Berkeley nel ’68 e in seguito con gli hyppies negli anni Settanta, il pacifismo, il femminismo, il rock, la New Age etc.
Il movimento, politically correct, che in America vorrebbe abbattere, oltre a quelle dei generali sudisti, persino la statua di Cristoforo Colombo, ingiustamente considerato il primo schiavista della storia moderna, ha dunque attraversato l’Oceano. Ed è arrivato in Inghilterra, dove i suoi militanti (per lo più bianchi) hanno buttato giù la statua di Edward Colston, noto commerciante di schiavi ma anche filantropo, tanto che nella sua città natale, Bristol, gli avevano eretto un monumento in bronzo.
Ma siccome, quando si scatenano gli iconoclasti, il senso del limite resta solitamente oscurato, è stata presa di mira e imbrattata anche la statua di Winston Churchill, il grande statista del secolo scorso, che si rifiutò di arrendersi a Hitler mentre l’intero continente era già caduto sotto la dominazione nazista; praticamente un campione della democrazia e della libertà.
E, com’era facile prevedere, il Black Lives Matter si sta ora diffondendo in Italia, dove alcuni parlamentari capeggiati dalla immancabile Laura Boldrini si sono messi in ginocchio a Montecitorio, ad imitazione dei poliziotti di Minneapolis. Si capisce perfettamente che i poliziotti americani vogliano chiedere scusa inginocchiandosi; ma perché i nostri parlamentari?; che c’entrano loro con le violenze perpetrate dalla polizia americana? Boh!
Sempre in Italia, poi, un gruppo di laici e antifascisti (ovviamente), che si autodefiniscono “i Sentinelli”, scrivono al sindaco di Milano Beppe Sala chiedendo la rimozione della statua di Indro Montanelli dai giardini pubblici; perché durante la guerra d’Etiopia, quando era poco più che ventenne, lui si fidanzò con una ragazzina africana in modo temporaneo, secondo la pratica allora vigente tra le truppe italiane del “madamato”. Era una bel costume? No di certo. Ma non aveva niente a che fare con lo schiavismo.
Indro Montanelli, che fu fascista solo per un breve periodo della sua giovinezza, non era un razzista. Presto diventò uno dei più autorevoli giornalisti italiani del Novecento, un vero e proprio maestro di giornalismo, come ha ricordato Beppe Servegnini sul Corriere della Sera qualche giorno fa.
Vallo a spiegare ai Sentinelli e ai talebani del politically correct…
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