Al gran procuratore Nicola Gratteri, signore della pubblica accusa a Napoli e dintorni, capita spesso di spararle ad minchiam. Ovvero out of the chamberpot, come direbbero a Buckingham Palace.
Non gli piace il test cosiddetto psico-attitudinale per gli aspiranti magistrati e, come in un bar sport qualunque, sospetta che, gratta gratta, nasconda andazzi autoritari. Perciò dichiara impavido a Repubblica, la gazzetta squinternata del PD: “Allora anche i politici e chi governa, compresi narco e alcol test”.
Purtroppo un paio di dettagli sfuggono all’eccellenza, celebre assai per le maxi-inchieste molto strombazzate, che poi immancabilmente si inaridiscono e si sgonfiano come volgari bolle immobiliari, lasciando macerie umane e giudiziarie.
Dettaglio numero uno: ai magistrati la costituzione richiede espressamente equilibrio e imparzialità. Politici e governanti sono invece di parte per definizione e la loro personalità passa periodicamente per l’esame del voto.
Dettaglio numero due. Il test è obbligatorio per numerose attività particolari. Tra le tante: chi chiede il porto d’armi, i piloti di aerei, i concorsi bancari, gli istituti finanziari, i corpi armati dello stato e degli enti locali.
Perciò non si capisce cosa ci sia di strano o di sospetto se la norma è applicata anche a chi, per lavoro, usa il codice penale. Il quale, in mancanza delle opportune doti di equilibrio e imparzialità, può fare più danni di una mitragliatrice.
Si può discutere del contenuto dei test e della loro effettiva efficacia, ma non, caro Gratteri, che siano uno strumento dispotico per mettere il bavaglio alle procure.
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