In tempi segnati dalle terribili immagini della guerra di aggressione che la Russia ha mosso all’Ucraina, causando distruzioni, morti e dolori infiniti, in una aggressione che vuol colpire al cuore l’Europa libera e democratica e mostrare la decadenza irreversibile delle liberaldemocrazie occidentali, sui quotidiani nazionali il senatore Emanuele Fiano sta combattendo la sua battaglia di Nikolajewka, non so se a nome dell’intero gruppo del Senato e del gruppo dirigente nazionale.
Il casus belli è stata l’approvazione da parte del Senato il 5 di aprile 2022(la Camera già l’aveva approvata il 25 giugno 2019) della legge che istituisce la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, individuandola nella data del 26 gennaio di ciascun anno, con189 voti a favore e 1 astenuto su 190 votanti: relatore era stato il sen. PD Vattuone, mentre il Sen. Vincenzo D’Arienzo ha annunciato il voto favorevole a nome del gruppo PD
Scopo del provvedimento è quello di tenere vivo il ricordo della battaglia di Nikolajewka, combattuta dagli alpini il 26 gennaio del 1943 e di promuovere “i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano” (art.1).
E’ assai duro, il Senatore Fiano, che parla di una clamorosa svista, “… cade a ridosso del Giorno della Memoria per le vittime della Shoah. La memoria è una roba fragile, va trattata con cura, se tutto diventa uguale a tutto, poi non ricordiamo più niente. E poi perché è stata scelta la battaglia di Nikolajewka, combattuta nell’ambito di una guerra di aggressione voluta dal regime fascista, alleato dei nazisti”.
Tralasciando la questione delle date che non pare in sé una motivazione sufficiente a contestare la scelta, resta la motivazione politica: non si onora una battaglia perché combattuta in una guerra di aggressione , e secondo logica nemmeno i caduti tra gli aggressori.
Ricordare questa data costituisce prova evidente connivenza con gli aggressori nazifascisti.
Allora il PD deve decidersi: o sta con Emanuele Fiano o sta con il Presidente Carlo Azeglio Ciampi che, per il 60° anniversario della battaglia, inviò all’allora Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, Carlo Pazzini, questo messaggio
“Il 26 gennaio 2003 ricorre il sessantesimo anniversario della battaglia di Nikolajewka.
“All’Associazione Nazionale Alpini, che si appresta a commemorare quel tragico evento, giunga il mio saluto, unito al vivo apprezzamento per tutte le meritorie iniziative tese a perpetuare il ricordo di quella gioventù che sessant’anni fa si immolò in terra di Russia.
“A Nikolajewka fu scritta una pagina di eroismo e di umanità. Gli Alpini, uomini forti perché educati alla montagna, nel gelo dell’inverno russo seppero operare con tenacia e generosità, mostrando, anche nei momenti più tragici, cameratismo e compassione per quanti, feriti o vittime del congelamento, anche combattenti della parte avversa, dovessero essere aiutati. Questo avveniva, nonostante le sofferenze imposte dalle marce, dal gelo, dalla mancanza di ogni risorsa.
“Con gli Alpini operarono Fanti, Granatieri, Artiglieri, Cavalieri, Genieri, Intendenze e Carabinieri. “Partirono in 229.005; 84.300 di loro non fecero ritorno.
“Concluso il sanguinoso conflitto, le nazioni europee diedero avvio alla costruzione della pace, animate dalla volontà di scongiurare il ripetersi di eventi tanto tragici e luttuosi e nella consapevolezza che non potesse esserci prosperità senza civile coesistenza e cooperazione tra i popoli. Le idee di allora sono divenute realtà trovando concreta realizzazione nell’Unione Europea, punto di arrivo di quella volontà di rinascita.
“Quei tanti soldati caduti, non caddero vanamente, perché l’Europa, dopo quelle prove, ha superato gli egoismi nazionalistici. Attingiamo, dunque, alla loro memoria la spinta per progredire nell’edificazione di un mondo di pace. Traiamo spunto dal loro sacrificio per rinnovare il senso di devozione che ci lega alla Patria.” Roma, 26 gennaio 2003
Ma il Sen. Emanuele Fiano non può lasciare la sua opera a metà: se intende purgare il calendario civile della Repubblica, deve imporre anche che non si celebri più ogni anno la Festa dei paracadutisti, della Brigata Folgore il 23 ottobre, anniversario della Battaglia di El Alamein, anch’essa, per riprendere le parole del Senatore, “combattuta nell’ambito di una guerra di aggressione voluta dal regime fascista, alleato dei nazisti”.: non possono esserci due pesi e due misure.
Ma prima di procedere in questa direzione, di nuovo gli suggeriamo la lettura dell’intervento che ancora il Presidente Ciampi pronunciò, il 20 ottobre 2002, alla cerimonia internazionale per il 60° anniversario della battaglia di El Alamein. Lo riportiamo integralmente, altissima testimonianza di quello “spirito repubblicano” che ha caratterizzato tutta l’azione del Presidente Ciampi e che, purtroppo, manca assai di sovente oggi, a tutti i livelli di responsabilità istituzionale e politica.
Autorità civili, militari e religiose, Eccellenze, Signore e Signori, Reduci di ogni nazione,
E’ un onore essere oggi qui con Voi.
Ho la vostra età: classe 1920. Come Voi, ho vissuto la mia gioventù in armi, su un altro fronte di quella tragica seconda guerra mondiale che sconvolse il mondo intero. In questo deserto si affrontò per anni la migliore gioventù dei nostri popoli.
In tre epiche battaglie, tra il luglio e il novembre 1942, qui a El Alamein, ogni duna, ogni metro di deserto furono aspramente contesi.
Vicino a noi, un’altura che a malapena si nota, quota 33, divenne una montagna conquistata, difesa, vinta e persa.
Vi combatteste con eroismo, con l’onore delle armi. Tra i memoriali, al km. 111, una lapide italiana ricorda “mancò la fortuna, non il valore”. A nessuno mancò il valore.
In migliaia caddero in quelle tre battaglie. Tanti compagni d’armi, tanti amici della mia gioventù non sono tornati.
Oggi siamo qui, fraternamente uniti, a rendere onore a tutti i caduti di El Alamein: con commozione, con animo riconoscente.
Per anni i loro resti straziati sono stati cercati e ricomposti con religiosa pietà. Siamo grati a tutti coloro che si sono dedicati a questa pietosa opera, che hanno costruito i cimiteri, che hanno innalzato i monumenti per onorare il sacrificio dei caduti.
Qui si sono affrontati oltre 300 mila giovani. Non sapremo mai quanti hanno lasciato la vita in queste battaglie. Molti giacciono senza sepoltura, ma non dimenticati. Oltre 16 mila sono stati raccolti nei sacrari del Commonwealth, italiano e tedesco, eretti alla loro memoria.
Saluto tutti i reduci: avete visto i vostri compagni cadere, avete combattuto e sofferto al loro fianco.
Ogni anno Vi riunite in questa terra d’Egitto, movendo anche da Paesi lontani, come l’Australia e la Nuova Zelanda, dimentichi di essere stati avversari sul campo di battaglia, affratellati dalla memoria viva del dramma allora vissuto.
La guerra divise nazioni e popoli con comuni radici di civiltà e fitti legami di sangue e di amicizia.
Dopo quelle epiche battaglie la guerra durò ancora a lungo.
I totalitarismi furono sconfitti.
Sono trascorsi sessant’anni. Il mondo è cambiato profondamente.
Lo ha cambiato la stessa generazione che si era combattuta a El Alamein. Noi, i sopravvissuti, lo abbiamo giurato nei nostri cuori: mai più guerre fra noi.
Abbiamo cercato di costruire un mondo diverso e migliore, più libero, più giusto.
Le generazioni che non hanno vissuto la guerra devono avere piena consapevolezza delle conquiste di libertà e di democrazia. E difenderle col coraggio e la dedizione che Voi mostraste su questo campo di battaglia.
Molti dei paesi che si affrontarono a El Alamein hanno dato vita, in Europa, al grande progetto di unità e di integrazione dell’Unione Europea.
La Carta delle Nazioni Unite ha recepito l’anelito di pace e la consapevolezza della necessità di un impegno comune.
Ha stabilito le regole di una comunità internazionale che crede nel diritto e nella collaborazione fra gli Stati.
Nei Balcani, in Afghanistan, nel vigilare su una pace talvolta precaria in varie parti del mondo, i soldati delle nostre nazioni assolvono – insieme – compiti difficili e pericolosi.
Oggi siamo ancora una volta insieme in questo deserto, uniti da un comune ideale di civiltà, ad onorare, in questi luoghi che il sacrificio di tanti nostri compagni d’armi ha reso sacri, la memoria di quanti, di ogni Patria e di ogni Nazione, caddero qui combattendo.
Possa il loro sacrificio, la loro memoria assistere noi e le future generazioni nell’affrontare con coraggio e con spirito di pace le prove che ci attendono.
Roberto
Grazie a Luciano Pallini che, riportando integralmente i discorsi del Presidente Ciampi, ci ha spiegato che anche dagli episodi più tragici della Storia gli uomini possono trarre lezioni di alto valore etico. Chi ha combattuto coraggiosamente e non si è macchiato di crimini va sempre ricordato e onorato.
Carlo Nicolai
Nel caso concreto, oltre a quanto opportunamente riportato da Luciano Pallini non sarebbe male ricordare il fatto storico e la geografia dei luoghi.
La battaglia di NikolajewKa fu combattuta non nell’ ambito della avanzata (verso est) delle truppe di occupazione in terra di Russia, ma nell’ ambito della ritirata del corpo di spedizione italiano, che dopo la rotta del fronte del Don ad opera dell’ armata rossa ( siamo ai tempi della controffensiva russa che libera Stalingrado) procedeva in senso inverso, e perciò verso ovest, rispetto alla precedente occupazione.
I russi tentarono di sbarrare la strada alla ritirata italiana e si schierarono davanti a Nikolajewka: dietro lo sbarramento russo non c’ era perciò per gli italiani territorio russo da conquistare, ma un sensibile arretramento delle linee dell’ Asse e, nella speranza dei soldati italiani, la via per il ritorno verso l’ Italia
Gran parte degli alpini erano disarmati e allo sbando nella neve.
Solo una delle tre divisioni alpine, la Tridentina, aveva conservato armamenti e una qualche organizzazione e fece con valore da apripista alla valanga umana degli italiani che si ritiravano.
Molti si sacrificarono con coraggio aprendo la strada alla salvezza dei compagni.
Una vittoria citata dai bollettini di guerra russi, ma del tutto atipica in una guerra -certo deprecabile – di invasione.
Come raccontato in vari libri (mirabile “Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi) si assisteva alla caduta della retorica militare del fascismo e alla crescente voglia di abbandonare un’ impresa insensata e tornare a casa.
Grazie a quella “vittoria” risulta siano rientrati circa 13mila alpini su 60mila. Vi erano poi
altri reparti dell’ esercito. Molti morirono più per fame e freddo che in combattimento. Dei prigionieri solo pochi tornarono secondo le statistiche generali sul corpo di spedizione italiano.
Bedeschi narrando all’ inizio del libro dell’ impiego nella sciagurata campagna di Grecia della divisione alpina Julia, di cui faceva parte, riporta il canto “Sul ponte di Perati bandiera nera: l’ è il lutto degli alpini che va a la guerra. L’ è il lutto della Julia che va a la guerra, la meglio gioventù che va sot’terra.”
Non retorica bellicista, ma profonda umanità.