Una favolosa “biografia intellettuale” di Albert Hirschman, in cui avventure al limite del fantastico si mescolano a pensieri e ricerche sul campo, quest’opera di Michele Alacevich (Albert O. Hirschman. An Intellectual Biography, Columbia University Press, 2023). Scritta benissimo, si legge d’un soffio, una saga personale in mezzo alle tempeste dell’Europa, nel periodo più arduo del secolo breve. Lo sfondo di tempeste è andato a formare una miscela unica tra più componenti che si intrecciano: vita e ricerca lottano contro il caos delle possibilità del mondo. Una vita speciale, dubbi, idee originali, lavori sul campo, come in un gioiello prezioso con più facce che si riflettono e arricchiscono a vicenda.
Hirschman non è stato uno studioso come quelli della mia generazione e delle generazioni successive alla mia. Accademici le cui avventure non sono andate al di là di migrazioni da un ateneo all’altro, da un Paese all’altro, però sempre negli stessi ambienti, come capita nei circoli britannici che sono gemellati con altri circoli frequentati da personaggi simili, anche se si trovano dall’altra parte del mondo. No, Albert Hirschman ha fatto una vita speciale. Era lui speciale o lo sono state le circostanze della sua giovinezza? Entrambe le cose.
Come altri ebrei della sua generazione, si è trovato da adolescente nel turbine della persecuzione nazista. Ma Hirschman non andò a cercare rifugio e salvezza in uno dei Paesi non travolti dalla barbarie. Soprattutto in Gran Bretagna – l’unico Paese che fin dalla fine degli anni Trenta accettò, tra mille difficoltà, diecimila bambini ebrei allontanati dai genitori per sfuggire alla crudeltà nazista –, ma poi anche negli Stati Uniti, in Svizzera e in Sud America.
Hirschman si oppose e lottò. E così, a trent’anni, non aveva un dottorato. In compenso era passato attraverso cinque identità diverse, tutte vere e tutte fasulle, aveva combattuto due guerre e nella resistenza, conosceva cinque lingue avendo peregrinato in sette Paesi diversi. Hirschman iniziò un lungo viaggio, dopo aver dovuto lasciare la famiglia, le origini, la cultura tedesca della sua formazione. Non un cosmopolita ma un cittadino del mondo. Lo divenne per forza, e poi lo fu per scelta, tutta la vita.
Quello che rende eccezionale la figura di Hirschman è che lui non ha mai creduto che il suo viaggio avesse un senso, un po’ come capita all’Uomo senza qualità di Robert Musil, dove il protagonista è l’unico a non essere vittima dell’illusione di “essere quello che si è diventati grazie alle proprie qualità personali”. Non è neppure il viaggio di Ulisse, periglioso ma con una destinazione: per Hirschman contava il viaggio in sé, le osservazioni possibili nelle realtà più diverse. Proprio perché si teneva aderente ai fatti, alla realtà, grazie a profonde capacità di osservazione e alle sue pétites idées, egli era libero di analizzare le conseguenze non intenzionali di scelte e azioni che erano state fatte con scopi diversi, riconoscendo così il ruolo del caso nelle nostre esistenze. La maggioranza di noi s’illude, una volta diventati adulti, che il futuro sarà sotto il nostro controllo, una serie di ripetizioni del presente, pur rendendosi conto che il mondo non funziona così.
Per Hirschman contava il viaggio in sé, proprio perché si teneva aderente ai fatti, alla realtà, grazie a profonde capacità di osservazione e alle sue pétites idées
Poco plausibile immaginare che questo accavallarsi di drammatiche esperienze giovanili non si sarebbe trasformato in uno stile di vita. Hirschman si era abituato a sfidare la morte e visse sempre all’insegna del coraggio dato che, ottuagenario, si inerpicava sulle Alpi francesi (bellissima la foto del 1991). Purtroppo, nel giugno del 1996, cadde, ebbe un ematoma cerebrale, perse forze e capacità mentali. Resistente, sopravvisse fino al 10 dicembre 2012 (era nato nel 1915) con il dolore di aver dovuto subire la perdita delle figlie Lisa e Sarah.
Chi era lo studioso Albert Hirschman? Nulla lo definisce meglio dell’esergo scelto da Alacevich nella sua documentata, meditata e insieme appassionata biografia. Più riuscita, nella sua compattezza, di quella fluviale (768 pagine) di Jeremy Adelman, che utilizzai nella presentazione di Shifting Involvements, Private Interest and Public Action, un saggio del 1982 poi tradotto dal Mulino: “I riformatori si comportano come il Paese o il giocatore di scacchi che lotta accanitamente quando ‘obiettivamente’ ha già perso – e occasionalmente gli riesce anche di vincere” (1963).
In queste parole c’è tutto Hirschman: il giovane che lotta perché è giusto così, pur con poche speranze di vittoria. L’incertezza, il dubbio, il riconoscimento obiettivo delle forze in campo e, quindi, la possibilità, solo remota, di vincere sebbene tutto sembri ergersi contro. Eppure, occasionalmente, si vince.
Non si possono riassumere in poco spazio il pensiero e i contributi di Hirschman, perché procedeva con strumenti nuovi, interdisciplinari, e sconfinava spesso dall’economia alla scienza politica, dalla storia del pensiero a quelle che oggi si è soliti chiamare scienze cognitive. Forse per questo non ebbe mai un Nobel per l’Economia, ma è stato ripagato da più di mille pagine di biografie.
Il Nobel non gli fu dato anche perché era troppo in anticipo sui tempi. Per esempio, durante il suo lungo soggiorno in Sud America, soprattutto in Colombia, il suo era considerato un approccio poco ortodosso rispetto all’economia dello sviluppo di allora. Oggi, invece, verrebbe considerato l’esito di una fruttuosa interazione tra gli studi d’area, i cosiddetti “language based area studies”, e le singole discipline sociali: economia, antropologia, sociologia, scienze politiche, psicologia e così via.
Andrea Ruggeri, professore di Scienza politica a Oxford, in È semplicemente più complesso, un contributo semplice e insieme profondo pubblicato su questo stesso sito, si domanda:
“Dunque, è la complessità la soluzione contro la parsimonia esplicativa? Molti hanno criticato la parsimonia: Albert O. Hirschman intitolava un suo saggio Contro la parsimonia (1985) e attaccava gli assunti troppo riduzionisti dell’economia ortodossa, notando che una caratteristica fondamentale degli esseri umani è che sono esseri autovalutanti . Dunque, gli oggetti di studio – anche nella guerra – essendo soggetti (e non meri oggetti) si adattano, cambiano comportamento e strategicamente dissimulano propositi. Ma chi conosce Hirschman sa anche che si possono creare schemi parsimoniosi per comprendere proprio la complessità della politica, si pensi alla sua imperitura triade analitica “lealtà, defezione e protesta” per spiegare diversi comportamenti all’interno di organizzazioni complesse”.
L’imperitura triade ricordata da Ruggeri è il titolo e l’oggetto di un libro del 1970 che, divenuto celebre, evoca Hirschman al punto che, il 22 dicembre 2012, dopo la morte di Hirschman, l’“Economist” scrisse: Exit Albert Hirschman. Fu sufficiente riferirsi con una sola parola alla sua opera più famosa: Exit, Voice and Loyalty, come ricorda Alacevich. Exit è la voce più corposa dell’indice analitico della biografia e rende omaggio all’uomo e alla sua eredità.
Dicevo che Hirschman era in anticipo sui tempi. Molti elementi di cui sono intessute le sue opere sono stati poi approfonditi dagli appartenenti a quella tradizione di ricerca che oggi si chiama “economia comportamentale”. Per esempio: quando abbiamo intrapreso un programma d’azione e vi abbiamo dedicato molte risorse economiche, psicologiche o anche organizzative, quanto è difficile scegliere l’uscita (Exit: uno dei tre vertici dell’imperitura triade) al fine di optare per un programma alternativo in apparenza più conveniente? Quanto dobbiamo ripetere, continuare a ripetere, protestare senza stancarci (Voice: altro vertice della triade)? Fino a quando rinnovare la nostra lealtà (Loyalty: il terzo vertice della triade), prima di uscire e abbandonare il campo? Quanto restare fedeli accompagnando la nostra lealtà con richieste, critiche, lagnanze, prima di perdere le speranze di cambiamento? E, viceversa, quanto insistere con i comportamenti più volte ripetuti che hanno generato e alimentato la nostra e la fiducia altrui?
La famosa triade si traduce in problemi empirici che sono stati affrontati in vari campi. Dalla psicologia dei consumi (che cosa succede quando un cliente non trova il prodotto a cui è affezionato o quando viene introdotto un nuovo prodotto sul mercato?), fino ai più complessi dilemmi politici (per esempio: quanto deve pazientare il leale elettore di sinistra prima di decidere di stare a casa oppure di cambiare?).
Il limite di Hirschman non è stato solo quello di anticipare i tempi. Non gli venne perdonato dagli scienziati sociali ortodossi la preferenza per le critiche basate sulle sue categorie rispetto a esperimenti replicabili e a metodologie di controllo rigorose. Quando queste verranno adottate, le critiche verranno accettate. A partire dal 2002, anno considerato spartiacque perché venne dato il premio Nobel allo psicologo Daniel Kahneman, il modello economico standard verrà rivisto e integrato con molte delle osservazioni che Hirschman aveva avanzato con taglio più speculativo e metaforico.
Uno solo tra i tanti esempi: un bel giorno Hirschman si accorse che gli automobilisti intrappolati in più file nel tunnel dell’aeroporto di Boston inizialmente gioivano del fatto che la fila parallela si mettesse in moto. Passato un certo tempo, però, gli automobilisti bloccati suonavano arrabbiati domandandosi: “Come mai loro sì e noi no?”. Egocentricamente, si sentivano risarciti del danno solo se anche gli altri erano parimenti danneggiati. Non è la quantità di benessere che conta, ma la differenza percepita rispetto agli altri. Hirschman anticipa così quello che poi sarebbe stato approfondito e misurato da Kahneman e collaboratori, e cioè gli effetti dei sistemi di riferimento e il senso di benessere soggettivo. Non è rilevante il valore assoluto, ma la differenza con il nostro benessere del passato e con quello degli altri con cui ci confrontiamo.
Come ricorda bene Alacevich, Hirschman soleva criticare gli economisti che cercavano di ridurre i problemi politici, sociali e cognitivi a schemi formali, come avviene per esempio nella teoria dei giochi. In una lettera del 1993 a Daniel Bell Hirschman osserva: “I costruttori di modelli talvolta mi criticano perché non trasferisco le idee in modelli matematici. Io rispondo che la matematica non riesce a fare quello che si fa con il linguaggio e con le metafore, entrambi più inventivi!”.
Come ricorda bene Alacevich, Hirschman soleva criticare gli economisti che cercavano di ridurre i problemi politici, sociali e cognitivi a schemi formali, come avviene per esempio nella teoria dei giochi
Per questa libertà pagò un prezzo. Hirschman però era impermeabile non solo al tradizionale stile accademico ma anche ai riconoscimenti che gli studiosi spesso sono soliti aspettarsi dalla loro comunità (da vecchio, come ricorda Alacevich, ammise che in molte occasioni le sue posizioni erano state provocatorie).
Albert Hirschman non fece il suo viaggio da solo ma insieme a (non con) Sarah Shapiro. Nel 1941 era arrivato a Berkeley in treno e partecipava al vivace circolo intellettuale di Jack Condliffe, dopo aver lasciato Marsiglia e la rete di soccorso che aveva organizzato per aiutare le persone perseguitate. A Berkeley trovò amici del suo passato europeo e Sarah Shapiro, figlia di ebrei lituani da poco rifugiatisi negli Stati Uniti. Si parlavano in francese, per entrambi la seconda lingua, vivevano in una casetta ai margini del bosco. Non aveva bisogno d’altro: Sarah e i libri, come scrisse a sua sorella Ursula, un perno della sua esistenza. Da allora Sarah e Albert vissero sempre insieme. Sarah collaborò con Albert nelle ricerche sul campo ma, appena poté, svolse in autonomia i suoi progetti di ricerca. Per esempio, quando nel 1964 Hirschman divenne professore di politica economica a Harvard, Sarah iniziò un programma per insegnare alle donne portoricane come leggere testi letterari. L’iniziativa, chiamata Gente y Cuentos si espanse nel New Jersey, in Florida, Texas, New York e Portorico e si rivolse anche a persone svantaggiate, carcerate, o in condizioni precarie.
Il 29 dicembre 2022, sul filo di lana, l’università italiana ha raggiunto il target del Pnrr sui giovani ricercatori (per i dettagli cfr. “Il Sole – 24 Ore”, 29.12.2022, p. 5). L’Unione europea, oltre ai progetti di ricerca interdisciplinari – quelli che piacevano a Hirschman – ha finanziato direttamente 312 posti di ricercatore e altri ne bandirà in futuro. Sarebbe stata la collocazione accademica perfetta per Hirschman, lo studioso appartenente all’internazionale sionista secondo “La Difesa della razza”. Aveva appena finito gli studi all’Università di Trieste, sotto la guida di Eugenio Colorni, marito della sorella Ursula. Il Pnrr è il simbolo più maturo della collaborazione tra i Paesi europei progettata da Altiero Spinelli quando era confinato a Ventotene insieme a Eugenio Colorni. Dopo che quest’ultimo venne assassinato dalla famigerata banda Koch il 28 maggio 1944, Ursula sposò Altiero. Passata la guerra, Hirschman riuscì a vedere le prime realizzazioni concrete del progetto europeista concepito a Ventotene, a dimostrazione che talvolta si vince anche quando tutto sembrava giocare contro, proprio come nell’esergo scelto da Alacevich.
Alla fine – anche se con Albert Hirschman non è mai finita – il messaggio che mi sembra emergere da questa eccellente biografia è quello di un insieme di vita e opere improntate a una religiosità laica, proprio in concomitanza alla crisi delle forme religiose tradizionali. Quale forma ha preso questa religiosità laica in Hirschman? Direi il conatus suum esse servandi di Spinoza, cioè lo sforzo di conservare il proprio essere, il sentimento della vita che vive: “Essa avanza nella gioia, è ad ogni nuovo passo emozione, ma poi si deposita sul fondo […] al di là di questa felicità non si dà un bene metafisico”, come ha osservato Emanuele Dattilo nel suo recente La vita che vive (Neri Pozza, 2022).
(questo articolo, già pubblicato dalla rivista Il Mulino, https://www.rivistailmulino.it, è ripreso con il consenso dell’autore)
Lascia un commento