A Bruxelles ha vinto l’Europa: la volontà, la necessità di stare insieme per insieme affrontare le sfide economiche, politiche ambientali e sanitarie che si manifestano con crescente intensità.
Diversi leader salutano il risultato raggiunto come una vittoria di propri approcci strumentalmente aggressivi, con lo scopo di utilizzare la cosa ai fini del confronto politico interno ed in questo sono agevolati, come nel caso dell’Italia, da un totale ossessivo controllo dei sistemi radiotelevisivi pubblici.
La verità è che, nella consapevolezza di quanto pesanti siano le conseguenze della pandemia da coronavirus, è stato compiuto un significativo avanzamento nella costruzione della casa comune europea: d’altronde, come ha scritto Yves Meny qualche anno fa, è da grandi tragedie che l’Unione ha trovato la volontà per progredire.
La sconfitta dei sovranisti nei diversi paesi europei è evidente ma non si può dimenticare che restano aperti problemi sui quali occorre progredire sul rafforzamento dell’Unione come attore unitario della politica internazionale e su una difesa comune.
In questo decisivo è stato il ruolo di Francia e Germania: questi paesi si sono fatti carico di una proposta saldamente tenuta fino alla conclusione, nonostante l’agitazione di tanti comprimari che hanno ottenuto soltanto modeste concessioni.
L’Italia ha ottenuto risorse importanti, oltre 80 miliardi di contributi a fondo perduto e oltre 120 miliardi come prestiti, una massa importante di risorse che deve essere impiegato per rilanciare la competitività del paese e ammodernare i propri servizi, con il divieto di impiegarli per riduzione delle tasse o aumento della spesa corrente.
Il problema è che a noi manca, unico paese tra i ventisette dell’Unione, il Piano Nazionale di Rilancio e che i nodi irrisolti della inefficienza della pubblica amministrazione possono comprometterne la realizzazione.
Le scelte fatte fino ad oggi vanno nella direzione esattamente opposta. È quindi necessaria una radicale inversione di rotta nell’azione di governo se si vuole che il risultato ottenuto produca risultati positivi per il futuro del Paese.
Assieme alle risorse poi, l’accordo prevede meccanismi di controllo da parte degli altri paesi che con il 35% della popolazione possono bloccare il piano di spesa di un paese. I controlli sul modo come verranno impiegati i fondi per chi, come noi, è un convinto sostenitore dell’Europa non rappresentano un’ingerenza nel nostri affari interni o un inaccettabile vincolo esterno ma un primo passo, importante, sulla strada di una progressiva cessione di sovranità che è cosa essenziale per la costruzione europea e che è anche l’unico modo per ridurre quelle asimmetrie, come ad esempio sulla politica fiscale o sul rispetto dei diritti umani, che sono causa di molti problemi e incomprensioni fra i partner europei.
Nel tripudio nazionale bisogna infine ricordare che rimane sempre la necessità di impostare un piano di rientro graduale dal debito pubblico per alleggerire le prospettive future di carico fiscale, tranquillizzare i mercati e aumentare la credibilità nei confronti dei nostri interlocutori internazionali.
Lascia un commento