Non mi ha stupito la vittoria della Elly Schlein alle primarie del PD. L’avevo prevista così, a parte la debacle nella città di Firenze della componente riformista che immaginavo più ampia e forse più mobilitata. Ha vinto la mobilitazione della componente più di sinistra del PD che si è avvalsa anche di un qualche aiutino del mondo esterno grillino, di sinistra e ambientalista. Ci sta, nessuno scandalo. E’ evidente che un PD maggioritario può “sopportare” queste incursioni esterne. Un PD in crisi, e non a vocazione maggioritaria, rischia invece un’Opa da parte di forze esterne. Così è andata. L’asse PD, grillini e sinistra alternativa è fatto. Si delinea nello scacchiere politico italiano e non tarderà a manifestarsi anche con atti e comportamenti formali.
La sinistra in Italia si situa storicamente fra il 25% dell’elettorato. E su questo livello più o meno starà, con diverse quote fra le tre componenti costitutive. Nulla di nuovo, se non negli slogan e nell’approccio alla politica. Direi che si tratta di una sinistra un po’ più populista ed assistenzialista, un po’ più attenta ai diritti civili e alla difesa dei più deboli e meno all’innovazione e alla produzione di ricchezza e, in politica estera, più seguace di posizioni terzomondiste e multipolari, e meno vicina ai principi e ai valori dell’occidente democratico.
Direi che, per quanto mi riguarda, cioè per un elettore e militante dell’area liberaldemocratica, la storia finisce qui. Non c’è molto da aggiungere. Solo il disagio per un paese che sceglie, ancora una volta, di fare della sinistra un patrimonio “statico e chiuso”, che si crogiola di presunte superiorità morali e di palingenesi sociali, e che trova invece difficoltà a schierare la sinistra in uno scacchiere politico aperto, capace di compromessi e di strategie, in grado di dialogare ad ampio spettro con tutti per il miglioramento del sistema economico, sociale e istituzionale italiano. Ancora una volta si è preferito, a sinistra, l’identità al gioco politico. Un tipico atteggiamento dell’adolescenza.
A questo punto diventa rilevante il “che fare” nell’area di centro e centrodestra che può ambire a rappresentare il 65% dell’elettorato. Anche a destra c’è un elettorato che non è uscito dalla fase adolescenziale. C’è una destra che ambisce alla propria identità, intesa come forza e nettezza di valori. Ovviamente superiori di quelli professati e proposti dalla sinistra. E che è continuamente alla ricerca di atti, fatti e comportamenti della comunità in cui inserirsi con le proprie proposte identitarie capaci di dividere il paese e quasi mai adeguate a risolvere i problemi. E’ una destra speculare alla sinistra ideologica. Tutta slogan e chiacchiere.
Diciamo che questa destra identitaria e sfascista, non solo fascista, potrebbe arrivare intorno al 15% dell’elettorato. Ed è quella componente, forte nelle campagne elettorali tutte giocate sugli slogan e sulle divisioni morali, che alza i toni e la voce dell’intero scacchiere del centro destra.
E poi c’è il 60% di elettorato moderato, riformista, democratico, e chiamatelo come volete che non crede nelle rivoluzioni, né a parole né in senso reale, che non crede agli slogan facili, che non segue guru e santoni ma che ama dialogare sui contenuti, che ama una dislocazione del paese all’interno di un asse geopolitico occidentale e democratico, e che crede di poter agire dentro il sistema misto, tipico dei paesi capitalistici avanzati, per portare avanti crescita, sostenibilità ambientale e sociale. E che cerca continuamente di raggiungere il massimo possibile di giustizia sociale senza scadere nell’egualitarismo che blocca ogni tipo di spinta innovativa della comunità.
E’ evidente che un sistema elettorale che divide queste tre componenti in due, con la logica dello scontro ineliminabile fra destra e sinistra, agisce criticamente su due punti. Il primo deriva dalla sopravvalutazione degli schieramenti estremi. Pur minoritari e dannosi per lo sviluppo equilibrato della società, gli estremi riescono a contare molto, direi troppo, nella politica di ogni polo. Distorcendo le pratiche riformiste e di sviluppo. Il secondo è che quel sistema elettorale sminuisce il grosso blocco del mondo dialogante costringendolo alla rottura in nome di una “coerenza fasulla” sugli aspetti identitari delle componenti estreme.
Ed invece se vogliamo lo sviluppo del paese occorre rinforzare la componente dialogante e lasciare ai margini le componenti identitarie e, per questo, estreme.
Ed allora che fare? Diffidare di chi ci vuole rinchiudere la politica attuale nello scontro fra i poli. Quindi rivedere la legge elettorale che tenga conto di questa esigenza. Ed infine, a seguire, l’organizzazione, all’interno del blocco dialogante, di una forza chiaramente liberaldemocratica in grado di portare nel nostro paese valori, esperienze e pratiche che in tutto il mondo avanzato hanno innalzato il tasso democratico, di sviluppo e di innovazione del “capitalismo reale”.
Con due ali estreme statiche e chiuse nella loro battaglia identitaria, si apre un grande spazio per chi vuole approfondire temi, per chi vuole dare soluzioni innovative ai tanti problemi del paese. Avanti col dialogo. Avanti con l’approccio sperimentale. C’è tanto da fare. Astenersi perditempo e raccontatori di balle.
Marco Mayer
non so Mauro se una nuova DC sia possibile?
MARCO POGGI
Riflessioni corrette e condivisibili, il problema è che una buona fetta di italiani si fanno convincere dagli affabulatori di turno e ragionano con la pancia anziché attivare la materia grigia. Mah, il grande centro sarebbe auspicabile, purtroppo Calenda e Renzi sono due galli in un pollaio e il primo (Calenda) non è propriamente “skillato” per il ruolo che ricopre, mi sembra che inciampi spesso in contraddizioni, mentre il secondo, quello sì un vero politico, purtroppo è un “toscanaccio” e non riscuote particolari simpatie al di fuori della sua regione (sono riusciti in qualche modo a “bruciarlo”). All’orizzonte non vedo chi possa sostituire Renzi, ma, personalmente tifo ancora per lui.