A fine luglio Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno firmato e pubblicato una lettera[1] in cui denunciano l’introduzione del Green Pass come lasciapassare per vari luoghi pubblici potenzialmente affollati. Essi ricordano che “ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti”, e citano i passaporti interni all’Unione Sovietica, e l’intenzione del governo cinese di continuare con tracciamenti e controlli della popolazione anche dopo la fine della pandemia. Infine, aggiungono che i vaccinati non per questo non sono contagiosi, e portano un paio di dati statistici, in Inghilterra (volendo dire Gran Bretagna, suppongo) e in Israele. Non è chiaro però se questi dati vogliano dimostrare che non c’è poi tanta differenza tra vaccinati e non vaccinati (dato che entrambi sono contagiosi), oppure se chi non si vaccina ha solide ragioni per non farlo, dato che le case farmaceutiche non hanno avuto il tempo di effettuare tutti i test che escludano danni a più lunga scadenza.
Questa lettera ha innescato una serie di risposte polemiche, tra cui quella di Paolo Flores d’Arcais[2], a cui accennerò.
1.
Il J’accuse di Agamben-Cacciari sostanzialmente riprende il classico discorso libertario e liberal(in senso americano, non “liberale” nel senso di free market theory) che denuncia ogni privazione di diritti civili e libertà individuali come atti di regimi dispotici (è questo il termine che essi usano). Agamben è noto in tutto il mondo, da decenni, per le sue denunce dei pericoli dello “stato d’eccezione”, ovvero della sospensione dei diritti civili da parte dello stato, simile a quello emanato dal governo nazista dopo il 1933 per limitare i diritti costituzionali dei cittadini.
Ma di fatto, che cosa intendiamo oggi per diritti civili?
Se analizziamo attentamente l’evoluzione della legislazione e giurisprudenza dei paesi “occidentali” (includendo Giappone e Australia) autodefiniti liberal-democratici, vedremo che questa evoluzione risponde ai principi di una filosofia particolare, che ha finito col soppiantare le filosofie precedenti per quanto riguarda il nostro sistema giuridico e politico antico regime[3]. Pensiamo alle leggi che puntano alla perfetta eguaglianza tra uomo e donna sul piano giuridico e familiare, all’eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche razziali e linguistiche, alla depenalizzazione quindi alla de-patologizzazione dell’omosessualità fino al riconoscimento giuridico della coppia omosessuale come simile al matrimonio eterosessuale… Pensiamo anche ai diritti della persona folle, il “diritto alla follia”, di cui la legge Basaglia (180) in Italia è un episodio noto. L’eliminazione della censura (soprattutto quella “morale”) sulle opere d’arte e sull’informazione. La decriminalizzazione del suicidio[4]. Ecc.
Di solito si mettono queste conquiste degli ultimi decenni sul conto della “democrazia”, ma la democrazia non porta necessariamente a un allargamento dei diritti in particolare delle minoranze. La democrazia, che si basa sul principio “un individuo, un voto”, ha una falla su cui in genere il pensiero democratico (forse lo stesso che Agamben-Cacciari vedono alla fonte di quella che chiamano “propaganda di regime”) tace: che la democrazia rischia di autorizzare il dominio o l’oppressione della maggioranza sulle minoranze. Non si ricorda quasi mai che buona parte dei regimi dispotici in Occidente sono giunti al potere attraverso elezioni democratiche: così fu in Italia nel 1922, in Germania nel 1933, e poi Putin in Russia, Orbán in Ungheria, Erdogan in Turchia, Modi in India… Nessuno dice che, dando una maggioranza parlamentare schiacciante al partito nazional-socialista nel 1933, il popolo tedesco di fatto decise per l’oppressione e in prospettiva l’eliminazione fisica della minoranza ebraica al proprio interno![5] Quanti “regimi dispotici” sono di fatto, storicamente, il frutto della volontà non certo di tutto un popolo (mai tutto un popolo la pensa in modo uniforme) ma della sua maggioranza?
Mi chiedo: se oggi in Italia sorgesse un partito anti-semita, che volesse ristabilire le leggi razziali del 1938, e questo partito vincesse le elezioni, chi impedirebbe a questo governo democraticamente eletto di perseguitare, di fatto, la minoranza ebraica in Italia? Non ci sarebbero vincoli costituzionali che tengano… Lo sappiamo tutti benissimo. Di fronte al cambiamento radicale dell’etica di massa, le Costituzioni – anche se molto belle come la nostra – sono solo pezzi di carta.
2.
L’indubbio avanzamento dei diritti negli ultimi decenni quindi – a dispetto delle tante denunce filosofiche dell’imporsi del dispotismo nei paesi liberal-democratici – non è quindi un corollario del sistema democratico di decisione politica, ma della filosofia utilitarista[6].
Questa filosofia è fiorita soprattutto in Gran Bretagna e si associa in qualche modo all’empirismo e poi al positivismo (Hume, Bentham, Mill…), e trova tuttora nel mondo anglo-americano le sue roccaforti. I principi utilitaristi, sull’onda del grande prestigio di cui godono da un paio di secoli i sistemi politico-giuridici anglo-americani, hanno poi massicciamente investito anche l’Occidente non anglofono.
L’utilitarismo si basa su un principio fondamentale, molto semplice, che Bentham ha espresso nel modo più limpido:
La natura ha posto l’umanità sotto il dominio di due padroni sovrani, dolore e piacere. Sono questi a indicare cosa dovremmo fare, così come a determinare quel che faremo[7].
Ovvero: è bene tutto ciò che aumenta il piacere (e diminuisce il dispiacere) di un essere umano, è male tutto ciò che aumenta il dispiacere (e diminuisce il piacere) di un essere umano. Questa ottimizzazione del piacere è chiamata utilità. Molti interpretano utilità nel senso di “maggior felicità”. Perciò il diritto a cercare la propria happiness, sancito dalla Costituzione americana non è altro che una variante della filosofia utilitarista. Trasportato questo principio sul piano sociale, esso diventa: massimizzare la felicità di ciascuno e di tutti. Questo è il precetto dominante della nostra epoca. Ovvero, siccome devo tener conto continuamente dell’utilità degli altri (ovvero, quel che gli altri pensano utile per se stessi), questa altrui utilità (o supposta utilità) è un limite invalicabile alla mia libertà. Una buona società utilitarista cercherà di armonizzare al meglio le utilità di ciascuno e di tutti. Impresa impervia, come la storia ha dimostrato.
Resta però questo principio fondamentale: che solo l’individuo (con qualche limitazione: individuo maggiorenne e in possesso delle proprie facoltà mentali) è l’ultimo giudice se qualcosa è utile per lei o lui, oppure no. Ovvero, non lo Stato, né una chiesa, né l’ONU o l’OMS, possono conoscere meglio di me il mio proprio Bene. Quindi, nessuna istanza superiore, trans-individuale, può imporre qualsiasi cosa a un individuo come proprio Bene. Questo punto è capitale per capire il fondo del dibattito sul Green Pass, come vedremo.
3.
Questo spiega perché nel giro di qualche decennio è completamente cambiato il nostro modo di considerare l’omosessualità, per esempio. L’utilitarismo rigetta ogni etica-politica fondata su principi aristotelici come “secondo natura” e “contro natura”. Per l’utilitarismo tutto è naturale, quindi non ha senso dire che rapporti omosessuali sono condannabili in quanto “contro natura”. Quel che conta, per l’utilitarismo, è se perseguendo il mio piacere – per esempio, facendo sesso con una persona del mio stesso gender – infliggo dispiacere a qualcun altro. Ma se due adulti consenzienti godono sessualmente in un modo non riproduttivo, sono faccende loro.
In Gran Bretagna gli atti omosessuali sono stati depenalizzati solo nel 1961. La criminalizzazione dell’omosessualità colpì a morte, possiamo dire, Alan Turing qualche anno prima la sua depenalizzazione… Qualche anno dopo, nel 1973, l’American Psychiatric Association votò a maggioranza l’eliminazione dell’omosessualità come patologia psichica[8]. Come si vede, depenalizzazione e de-psichiatrizzazione dell’omosessualità quasi si sovrappongono storicamente, e illustrano l’affermarsi dei principi utilitaristi sia nel campo giuridico che in quello medico-psichiatrico[9].
E sarebbe molto facile mostrare come gran parte delle conquiste di diritti negli ultimi decenni siano sempre corollari dei principi utilitaristi.
Il marxismo invece non è una teoria utilitarista, ma di matrice rousseauiana ed hegeliana. Rousseau affermava che c’è una “volontà generale” che trascende la “volontà di tutti”, per cui il Partito comunista è stato concepito ben presto come incarnazione di questa Volontà Generale (mentre per l’utilitarismo c’è solo l’intreccio tra volontà individuali). Hegel vedeva lo Stato etico come momento fondamentale della storia dello Spirito, e lo Stato non è mai la somma di volontà individuali: da qui l’idea di un Socialismo che trascenda le opinioni individuali (leggi: non si giunge alla società socialista attraverso elezioni). Le derive staliniste e dispotiche del socialismo erano quindi già inscritte, in qualche modo, nella matrice filosofica del bolscevismo.
4.
Questo non toglie che le società attuali abbiano aspetti non-utilitaristi. Agamben e Cacciari non sono utilitaristi, anzi, il loro Hintergrund è mitteleuropeo (oggi si dice: continentale), per cui non credo che prendano l’utilitarismo filosofico in seria considerazione. Tuttavia essi stessi sono intrisi di etica utilitarista come lo siamo tutti noi, perché viviamo in questa epoca, dominata dalla cultura anglo-americana. Essi dicono allora che la nostra società è piena di tentazioni dispotiche, che c’è del “nazista” insomma nelle nostre società liberal-democratiche. Ma non concordo[10].
Quel che loro vedono come dispotismo da parte dello stato, per l’utilitarismo è piuttosto paternalismo.
Uno stato è paternalista quando, come un padre o una madre nei confronti di un figlio minorenne, pretende di imporre ai cittadini il loro Bene. Come abbiamo visto, questa eventualità è rigettata dall’utilitarismo: solo io posso sapere quale cosa sia il mio Bene. Ma questo non vale per i minori: in questo caso si dà per scontato che i genitori (e lo stato) sappiano meglio del bambino ciò che è bene per lei o lui. Così, per esempio, un bambino non è libero di non andare a scuola fino all’età dell’obbligo: i genitori gli impongono di andare a scuola per il suo Bene. E se i genitori non lo volessero, lo stato glielo imporrebbe al loro posto[11].
Possiamo fare un elenco dei tratti paternalistici dei nostri stati liberal-democratici: scolarizzazione obbligatoria fino a 15-18 anni; imporre programmi scolastici omogenei per tutti gli studenti della scuola primaria; sventare i tentativi di suicidio; proibire l’uso di sostanze dette stupefacenti, perseguire gli spacciatori di queste sostanze; obbligare al casco sulle moto, alle cinture di sicurezza sulle auto e sugli aerei; vietare il favoreggiamento della prostituzione, l’adescamento dei clienti da parte delle prostitute, in certi paesi punire i loro clienti; proibire il gioco d’azzardo; vietare di andare nudi in pubblico; obbligare alle ferie i dipendenti; proibire il voyeurismo pedofilo; in molti paesi, proibire l’incesto tra adulti.
Quasi ogni Stato ha qualche specifica legge paternalista. Basti pensare che in ben otto stati US è proibita la commercializzazione dei vibratori elettrici. Se andassimo a spulciare i codici civili e penali delle nazioni più liberali, troveremmo molte norme non liberal[12].
Resta da vedere se questi tratti paternalistici delle nostre legislazioni siano retaggi che l’avanzare impetuoso dell’utilitarismo spazzerà via prima o poi, oppure se questi lati non-utilitaristi delle nostre società sono sintomi dell’inadeguatezza dell’utilitarismo: ovvero, che esso non può essere applicato oltre un certo limite. Ma la discussione su questo punto ci porterebbe lontano. (Scanso equivoci: non sono un filosofo utilitarista. Ma riconosco che storicamente la filosofia utilitarista ispira sempre più la regolazione dei rapporti sociali.)
Si prenda il caso dell’uso di sostanze dette stupefacenti (anche se molte sostanze psicotrope – come tabacco e alcool – sono del tutto legali perché il loro consumo è parte della tradizione storica dei nostri paesi). La loro proibizione cozza con i principi utilitaristi nella misura in cui il loro uso non danneggia altri. Ma lo stato in questo caso vuole anche il Bene di chi si droga, da qui la criminalizzazione di chi commercia in queste sostanze: questi, per massimizzare la sua utilità, danneggia chi acquista le sue merci. Ma qui tocchiamo un altro dei punti sensibili in cui la logica utilitarista entra in tilt, per dir così[13].
In ogni caso, l’imporre qualcosa ai cittadini in nome della Salute collettiva, in nome di una Sanità di ordine superiore, è del tutto estraneo alla logica utilitarista: la Salute pubblica è la somma di quelle individuali.
5.
Quando lo stato impone il Green Pass, si comporta davvero da stato dispotico? No, da stato paternalista, il che è molto diverso.
Con il Green Pass lo stato vuole spingere tutti a vaccinarsi, dando per scontato che questa spinta sia per il Bene di chi resiste alla vaccinazione. Da qui la distanza immane, che Agamben non vede (mi riferisco alla sua campagna di decenni), tra sospensione dei diritti di tipo nazi-fascista e sospensione dei diritti di tipo utilitarista. Quando Hitler ha privato i cittadini tedeschi ebrei di certi diritti, non era certo per un atteggiamento paternalistico nei loro confronti! Potrebbe dire Hitler: “era per il bene dei tedeschi ariani”. Ma questo bene dei tedeschi ariani derivante dalla persecuzione degli ebrei è tutto da dimostrare. Quando invece lo stato oggi vorrebbe obbligare (ma non osa) tutti a vaccinarsi, lo fa in nome del Bene di questi “tutti”. Mi pare che Agamben e Cacciari mescolino atti politici e amministrativi molto diversi sulla base della loro forma esteriore – si tratta comunque di “divieti” e “restrizioni” – senza considerare la logica da cui discendono, e fanno così di ogni erba un fascio.
Ora, la seconda parte della lettera di Agamben-Cacciari – quella in cui gettano dubbi “scientifici” sull’efficacia dei vaccini – non va letta, in modo superficiale, come parte di una propaganda anti-scientifica no-vax. Di fatto, anche se Agamben-Cacciari non lo esplicitano (perché non sono utilitaristi), essi cercano di dimostrare il senso paternalistico del Green Pass.
Questo è evidente nel caso dell’imposizione dei vaccini fondamentali a tutti i bambini. Si dice “i bambini non vaccinati sono un pericolo per i bambini vaccinati”, ma questo allora getta seri dubbi sull’efficacia del vaccino: se un vaccinato ha da temere dalla vicinanza di un non-vaccinato, a che pro averlo vaccinato? Ma i bambini sono bambini, privi di certi fondamentali diritti civili, per cui il paternalismo nei loro confronti pare accettabile. Ma nei confronti di adulti?
Va detto perciò che certe obiezioni fatte ad Agamben-Cacciari, sull’onda di una certa facile indignazione che quella lettera in tanti suscita, sono deboli. Per esempio, Paolo Flores d’Arcais si chiede, sulla base dei presupposti della lettera, perché Agamben-Cacciari non denuncino la patente di guida, i divieti dei locali pubblici ai fumatori, e il permesso per il porto d’armi come intollerabili discriminazioni nei confronti di chi non ha la patente, di chi fuma e di chi vuole possedere un’arma. Sarebbe molto facile ad Agamben-Cacciari rispondere a queste obiezioni, se mai volessero rispondere: se guido senza patente, ovvero senza saper guidare, metto a repentaglio non solo me stesso ma anche gli altri; se fumo in pubblico, impongo il fumo anche a chi mi sta vicino; se vado in giro con armi pur essendo uno squilibrato, metto in pericolo la vita altrui. Ma non è questo appunto il caso del vaccino, secondo Agamben-Cacciari, dato che – essi dicono – non è affatto dimostrato scientificamente che chi non è vaccinato sia più contagioso di chi è vaccinato. In effetti, sulla base di una logica utilitarista, io sono libero di non vaccinarmi e di morire di Covid, ma non sono libero di contagiare gli altri. Appunto, notano gli autori della lettera, è tutto da dimostrare che il vaccino spezzi il contagio. Il vaccino mi tutela nel senso che se mi vaccino è più difficile che io mi ammali di Covid e muoia, ma finora non è dimostrato che il vaccino impedisca di contagiare gli altri. Ergo: il Green Pass vuole costringere i non-vaccinati al loro Bene, e questo è paternalistico (dico io, non loro).
Come si vede, però, proprio la facilità con cui Agamben-Cacciari potrebbero rispondere ai loro oppositori smonta il tono drammatico e catastrofista della loro lettera: in fin dei conti, si tratta solo di una questione scientifica, da risolvere solo sapendone di più sugli effetti dei vaccini. Se la sperimentazione dimostrasse che i non-vaccinati contagiano molto di più dei vaccinati, allora la Green Pass sarebbe del tutto legittima (dal punto di vista utilitarista).
Per esempio, ho detto prima che l’obbligo della cintura di sicurezza sulle auto è una norma paternalistica, perché impone a chi viaggia il proprio Bene. Ma basterebbe che una ricerca scientifica dimostrasse che chi viaggia accanto al guidatore rischia di essere proiettato fuori dell’auto contro i passeggeri dell’auto di fronte e di colpirli, e allora già l’obbligo cesserebbe di essere paternalista[14]. Per esempio, il divieto del fumo in locali pubblici si è affermato quando si sono accumulati dati scientifici sul danno del fumo passivo su chi non fuma, non perché il fumo fa male a chi, nonostante tutto, decide di fumare.
6.
Perché non posso concordare con l’accusa ai nostri stati di essere discriminatori? Perché non basta fare un elenco dei tantissimi divieti che condizionano la nostra vita sociale, divieti a cui siamo talmente abituati che quasi non ci facciamo caso, per concludere al dispotismo dei nostri stati. La nostra libertà è continuamente coartata. Quando ero bambino, in Italia negli anni 1950 e 1960, c’era una maggior libertà rispetto a oggi. Ovunque si poteva fumare, anche a teatro e a cinema. A Capodanno si potevano gettare oggetti dalla finestra seguendo la costumanza. Genitori e insegnanti potevano picchiare i bambini quando volevano senza incorrere in qualche denuncia, un marito poteva battere la moglie senza avere noie. Si poteva quasi-stuprare una ragazza senza che questa pensasse di denunciare il maschio. Le regole del traffico venivano ben poco rispettate, si parcheggiava dappertutto, anche sui marciapiedi. Un’industria poteva liberamente inquinare l’ambiente senza andare incontro a nessuna contestazione. Tanti bambini del popolo evitavano l’obbligo scolastico per lavorare. Le norme igieniche che ristoranti e bar dovevano rispettare erano approssimative e poco rispettate. Si gettavano cose nell’immondizia alla rinfusa, nessuno pensava a differenziale. Si potevano mangiare piatti oggi proibiti, come il sanguinaccio. Si poteva andare in musei e altri luoghi senza prima dover prenotare. E potrei continuare a lungo. Ma chi oggi difenderebbe queste libertà di un antico regime, anche se alcuni lo rimpiangono?
L’importante è capire fino a che punto un divieto sia
- un atto discriminativo nei confronti di un sotto-gruppo sociale (esempio classico: limitazione di certe libertà degli ebrei nei paesi cristiani),
oppure
- un atto paternalistico dove lo stato impone all’individuo quel che lo stato pensa sia il suo (dell’individuo) Bene (esempio classico: penalizzare il consumo di una sostanza considerata dannosa, come la cocaina)
oppure
- un atto utilitaristico dove lo stato protegge la popolazione contro chi potrebbe arrecarle danno (esempio classico: proibire di guidare a chi non è in possesso di una patente di guida).
Quel che non mi convince affatto quindi delle denunce agambeniane – lo “stato di eccezione” come stato permanente, la privazione di diritti dell’homo sacer ridotto a nuda vita, la denuncia dello stato concentrazionario – è che esse danno un’immagine alquanto semplice del rapporto tra stato, società e individui. Esse partono dall’idea che lo stato sia come una sorta di autorità esterna alla società, che sia catapultato nella società e la domini, come se il Potere insomma – in particolare quello politico, quello che interessa di più questi filosofi[15] – venisse da Marte e si imponesse a noi poveri terrestri.
Non me la caverò dicendo che nelle società democratiche lo stato è pur sempre espressione delle volontà (al plurale), anche se terribilmente contorte, degli elettori. E’ vero che ogni paese democratico ha il regime che si merita, in fondo, quello che il paese stesso si è scelto. Si ripete, come un disco rotto, che i politici oggi sono molto lontani dai loro elettori, chiusi nel Palazzo. Ma è vero esattamente il contrario, purtroppo: i politici ascoltano fin troppo la massa, e si fanno portavoce delle sue esigenze spesso anche più abiette, stupide e autolesioniste. Per esempio, in quasi tutti i referendum sull’Europa, la classe politica e dirigente di un paese è pro-europea[16], mentre l’elettorato invece va sempre più in direzione anti-europea. E politici senza scrupoli come Boris Johnson vincono perché si fanno portavoce dell’esigenza anti-europea, sovranista, isolazionista, xenofoba, della gran massa degli inglesi[17].
Colpisce come filosofi che si pongono come campioni della democrazia – ma di una democrazia ideale, filosofica, che non corrisponde alle democrazie reali, costituite per lo più da persone anti-democratiche – non diano alcun valore alla democrazia reale. Denunciando le nostre società come sempre più discriminatorie, sorvegliate, come nel Panopticon di Bentham[18], di fatto essi negano che la democrazia funzioni. Sembrerebbe che la massa voti sempre più per politici che l’opprimono – il che è verosimile, lo aveva detto già nel XVI secolo Etienne de la Boétie. Ma allora questi filosofi denunciatori non ne traggono la conclusione che dovrebbero trarne: che i popoli non vogliono essere liberi. Per esempio, è evidente che le tante donne mussulmane che votano per partiti islamisti non solo vogliono portare il velo islamico, ma soprattutto vogliono che questo velo sia imposto anche alle donne che non vogliono portarlo!
Quindi, se un popolo in maggioranza sceglie per il dispotismo, questo significa che forse il dispotismo non è qualcosa che dall’esterno cade su un popolo, ma è qualcosa di voluto dal popolo. Paradossalmente, il dispotismo è un effetto della democrazia[19].
Da qui il modello, lanciato da Putin, di una “democrazia illiberale”. Per illiberale intende una limitazione dei diritti civili, soprattutto nei confronti di certe minoranze (omosessuali, minoranze etniche, dissidenti, ecc.). I nuovi despoti sentono che la vera minaccia non viene dal voto popolare – che anzi li conferma e li sostiene – ma da minoranze eccentriche, da devianti anche intellettuali. Nella stragrande maggioranza delle società, qualunque sia il loro regime, la dissidenza è minoritaria, marginale.
7.
Ma andrei anche oltre, e direi che anche in regimi non democratici – ovvero, nei regimi della stragrande maggioranza delle società umane complesse e non primitive – il dominio di un certo gruppo o classe sull’intera società non è frutto di un atto di forza, di un abuso originario, ma sgorga dalla società stessa. E’ accaduto così che i liberi comuni italiani del Medioevo nel giro di un paio di secoli siano divenuti principati dominati da Signori, e questo con grande soddisfazione, pare, di gran parte del popolo minuto. In un certo senso, in ogni società c’è un tacito contratto sociale, per cui la massa si lascia dominare – da qualche parte ne ha un tornaconto.
Per esempio, sono convinto che l’oppressione e poi l’espulsione dei Rohingya (mussulmani) dal Myanmar non sia una decisione politica dall’alto, ma prodotto del disprezzo che la maggioranza buddhista nutre nei confronti di questa minoranza. Talvolta sono i popoli stessi a suggerire ai loro dominatori le persecuzioni più feroci.
Non sempre questo è vero, ci sono tirannie sgradite alla maggioranza. Ma non credo di dare un’immagine rosea della storia se dico che queste tirannie non durano a lungo. Ogni despota è convinto di fare il Bene del proprio popolo – lo erano Mussolini, Hitler, Stalin, Brejnev, oggi Kim Jong-un, Trump, Lukaschenko… Ogni despota è “democratico”. Ma può succedere che la gente non sia d’accordo, e il despota che vuole il Bene del popolo venga fatto fuori dal popolo. Ogni tanto questo accade.
Per esempio, i miei amici russi o ucraini abbastanza anziani da sapere com’era l’Unione Sovietica, mi dicono tutti concordi che il regime comunista godeva del consenso di massa dei popoli russofoni fin verso il 1980. Prima di allora, i dissidenti erano derisi e disprezzati. Poi, per ragioni che nessuno è riuscito a spiegare, questo consenso si è rapidamente annullato. Una diecina d’anni dopo, il regime comunista è crollato. La “propaganda di regime” (come la chiamano Agamben-Cacciari) non lo dice mai: il comunismo ha resistito tanto perché l’homo sovieticus pensava di star bene. Ho conosciuto tanti anziani che avevano e hanno nostalgia del modo in cui si viveva sotto il PCUS[20]. Qualcosa di analogo accadeva nell’Italia fascista e nella Germania nazista. La storia che ci è piaciuto scrivere finora – come storia della lotta dei dominati contro i dominatori – andrebbe francamente riscritta.
Credere quindi, come sembrano credere Agamben e Cacciari, che un despota (lo stato) ci controlli e domini tutti, è un’idea che va bene per un populismo anti-stato, non per chi vuole capire in profondità la caotica storia del mondo.
[1] https://www.iisf.it/index.php/progetti/diario-della-crisi/massimo-cacciari-giorgio-agamben-a-proposito-del-decreto-sul-green-pass.html
[2] P. Flores d’Arcais, “Ma quale dispotismo! Il green pass è libertà”, Micromega,
[3] Per filosofie dell’antico regime intendo in verità narrazioni ancora molto attuali: quella confessionale, quella hegelo-marxista, quella communitarian, quella nazionalista “identitaria”.
[4] In area cristiana il suicidio e il tentato suicidio erano considerati un crimine gravissimo, talvolta anche più dell’omicidio. Cfr. M. Barbagli, Congedarsi dal mondo: il suicidio in Occidente e in Oriente, Il Mulino, Bologna 2009.
[5] In effetti, il partito hitleriano non aveva mai nascosto il suo programma anti-semita. E’ stato stravotato anche e soprattutto per il suo anti-semitismo.
[6] Contrariamente a quel che pensava Marx, sono anche i filosofi a cambiare il mondo. Talvolta in peggio.
[7] J. Bentham (1970) An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, ed. J.H. Burns and H.L.A. Hart, OUP, Oxford, p. 1.
[8] Ormai l’omosessualità e la bisessualità non compaiono più come mental disorders, disordini mentali, in nessuno dei manuali diagnostici in psichiatria diffusi nel mondo industrializzato. Appare come disturbo invece la “disforia di genere”, ovvero il voler appartenere all’altro sesso biologico.
[9] Questi principi passano nella mentalità comune come principio secondo cui “ognuno nel proprio letto può fare quel che vuole”.
[10] Anche se so che una società molto avanzata – com’era la Germania negli ani 1930 – possa diventare nazista anche da un giorno all’altro. Se l’America ha eletto Trump nel 2016, qualunque paese potrebbe eleggere un Trump, persino i paesi scandinavi.
[11] I casi in cui la volontà dei genitori e quella dello stato divergono a proposito del Bene di un minorenne, hanno una rilevanza politica straordinaria. Gran parte del dibattito giuridico-politico oggi è sulla sovrapposizione di due paternalismi: quello dei genitori e quello dello stato. Di solito la sinistra appoggia la volontà dello stato, mentre la destra, in particolare cattolica, appoggia la volontà dei genitori naturali. La tutela dei minori è uno di quei campi critici per l’utilitarismo, in cui cioè la filosofia utilitarista mostra la corda.
[12] In Italia, il partito politico più liberal, che con più coerenza si è battuto contro i tratti paternalistici dello stato moderno, è quello radicale di Pannella e Bonino.
[13] Per esempio, la logica utilitarista non sa cosa dire nel caso dell’aborto, che vede il contrapporsi di due diritti, quello della madre sul proprio corpo, e quello del feto di poter vivere. Due soggetti di diritti si trovano incresciosamente a vivere nello stesso corpo.
[14] Questo però non vale per il guidatore, il quale non può essere catapultato fuori. Una norma coerente con i principi utilitaristi sarebbe allora di obbligare la cintura per chi viaggia alla destra del guidatore, ma di renderla opzionale per il guidatore.
[15] Il successo della filosofia di Agamben nel mondo accademico, in molte parti del mondo, segna la fine dell’egemonia marxista. A tutto vantaggio del pensiero libertario e quindi “liberale” in senso lato, e oggi domina nel ceto intellettuale. Il grande nemico non è più il capitalismo, ma lo stato che ci impone lo stato d’eccezione.
[16] La lista di tutte le cose in cui la classe politica si mostra molto più lungimirante e saggia dell’elettorato sarebbe lunga. Dico “più lungimirante e saggia” dal punto di vista di intellettuali come Agamben, Cacciari, Flores d’Arcais e anche me. Per dirne una, per decenni tutti i partiti italiani sono stati contrari a introdurre la pena di morte in Italia (tranne l’MSI), mentre tutti i sondaggi dicevano che la maggioranza degli italiani era a favore. Ovviamente, se si considera l’esclusione della pena capitale cosa saggia e lungimirante.
[17] Dico bene inglesi, perché gli scozzesi la pensano diversamente.
[18] Reso celeberrimo da Michel Foucault in Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976.
[19] Questa tesi, in apparenza provocatoria, era in fondo quella sostenuta da Platone in La Repubblica.
[20] Quest’analisi non vale per i paesi dell’Est europeo sottoposti al dominio sovietico, che hanno per lo più sempre rigettato il comunismo. Ma l’odio per il comunismo si confondeva con l’odio per l’URSS, e poi per la Russia: si sentivano dominati da un altro paese, più che da una filosofia politica.
Gabriele
Nonostante molti punti siano condivisibili non viene data la giusta rilevanza alla potenza tecnica , in particolare all’ enorme capacità del sistema mediatico, TV, internet ( il quale nei suoi funzionamenti è molto meno democratico e libero di quel che sembra) e all’ unilaterale appropriazione della verità, con tanto di comitati per il reperimento di fake news, direi sia evidente la scivolosità di questa prospettiva. Un ipotesi è che anche alcune riflessioni dell’ articolo avrebbero sfumature diverse se considerato l’ impatto di quanto sopra citato.
Gabriele
Nell’ articolo, pur condivisibile, non viene forse data la giusta rilevanza alla potenza tecnica, in particolare alla massiccia capacità mediatica, TV, internet( se si analizzano i suoi funzionamenti è molto meno libero e democratico di come sembra), farlo credo sarebbe sfumature differenti ad alcune delle cose che afferma.