I fatti di Washington, dove un presidente in carica rifiuta l’esito delle elezioni e aizza la folla contro il parlamento, dovrebbero preoccupare anche il nostro paese. Forse bisognerebbe ricordare, oggi, che per Trump l’Italia ha spesso mostrato avventurose simpatie. Grillo salutò la sua elezione come “un pazzesco VaffaDay”, vantandosi delle somiglianze fra il tycoon e i cinquestelle. Salvini plaudí alla “rivincita del popolo” su banchieri e speculatori. Quanto a Trump, abbracciò “Giuseppi” come “a very talented man”. Non è un caso che ancora ieri, malgrado le violenze, i messaggi italiani di condanna (a partire da quello del premier) apparissero a dir poco reticenti.
Ma più in generale la sommossa di Capitol Hill ricorda a tutti che il populismo non è una tigre di carta. Si dilata a macchia d’olio nelle istituzioni e nelle opinioni pubbliche fino a calpestare stato di diritto e democrazia. Ed è di tutta evidenza che in Italia, più che negli altri grandi paesi europei, ha preso corpo, all’indomani del crollo della cosiddetta prima repubblica, una sorta di “nocciolo populista” di cui fanno parte importanti partiti e vasti settori di opinione. Un fenomeno che esprime una cultura antipolitica, antielitaria, giustizialista, securitaria. Usa il linguaggio della demagogia mediatica. Ha grandi numeri nei sondaggi e grandi numeri in parlamento. Governa il paese, ma lo governerebbe anche se con le elezioni vincesse una diversa maggioranza.
(questo articolo con il consenso del blog è ripreso dal sito www.ragionepolitica.it)
Giancarlo
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