Lei ha studiato il comparto dell’automotive, dei produttori e della componentistica alle diverse scale geografiche: quali sono le tendenza del mercato dell’auto a livello globale? Quali cambiamenti sono in atto nella mobilità delle persone? Come si modifica la geografia delle produzione?
Le principali tendenze del mercato delle auto a livello globale sono l’elettrificazione, con un’attenzione crescente per le Phev (Plug-in hybrid electric vehicle) e la convergenza tra settore automobilistico e settore del software. Entrambe le tendenze richiedono forti investimenti e una crescita dimensionale delle case automobilistiche come i recenti casi di fusione hanno dimostrato. Queste tendenze implicano anche un nuovo rapporto con i fornitori, in particolare l’elettrificazione potrebbe richiedere una trasformazione delle competenze richieste ai fornitori con implicazioni importanti per il nostro Paese che è leader nell’industria dei macchinari e della componentistica.
Lo scenario che si intravede è la progressiva contrazione del comparto accompagnato da trasferimento della produzione vicino ai grandi produttori e verso aree a più basso costo del lavoro in Europa. La pandemia ha mutato questo scenario? Si sono avuti casi concreti di reshoring? Oggi si punta sulla autosufficienza europea in materia di chip
La pandemia ha reso palesi i costi e i benefici dell’integrazione della produzione all’interno delle catene globali del valore. Ha fatto anche crescere la consapevolezza che la dipendenza da partner distanti geograficamente e con relazioni politiche meno strette possa costituire un rischio. L’Europa si è posta il problema dell’autonomia strategica. La tendenza per gli anni a venire sarà quella di un accorciamento delle catene (nearshoring), ma non è realistico pensare alla concentrazione geografica della produzione all’interno di singoli Paesi. Ci saranno casi di reshoring, ma non sarà la tendenza prevalente.
In Toscana c’è caso recentissimo della chiusura dello stabilimento GKN di Campi Bisenzio (FI), in Gran Bretagna è stata annunciata la chiusura a fine anno dello stabilimento GKN, vicino a Birmingham, dopo aver chiuso Offenbach in Germania. Quali fattori giocano nel decidere dove chiudere e dove rafforzarsi? E come è possibile contrastarli? I tavoli al MISE appaiono come una triste ritualità, un passaggio nella liturgia che poi conduce alla chiusura, avendo male impiegato intelligenze, tempo e risorse.
Questo caso è emblematico della mancanza di una governance europea che tuteli i lavoratori di fronte agli interessi delle imprese multinazionali. Non è chiaro se la chiusura degli stabilimenti della GKN (impresa multinazionale di proprietà del fondo britannico Melrose) in Italia, Gran Bretagna e Germania preluda a una delocalizzazione verso Paesi dell’Est Europa al fine di ridurre il costo del lavoro o se sia realmente dettata da una crisi del settore della componentistica. In ogni caso, la legislazione attuale a livello europeo non tutela sufficientemente i lavoratori rispetto alla facilità delle imprese multinazionali di sfruttare le differenze nel costo del lavoro, nelle condizioni di lavoro e nella tassazione tra Paesi “concorrenti”. Di fronte alla globalizzazione, che come abbiamo detto continuerà anche dopo la pandemia, i singoli Paesi non hanno gli strumenti adeguati per risolvere le crisi aziendali e serve una governance coordinata almeno a livello europeo. Ci sono poi i problemi legati alla riconversione del settore automobilistico con il passaggio all’elettrico che devono essere affrontati con politiche appropriate sia a livello nazionale che europeo.
Le istituzioni, i sindacati, la politica spingono per politiche di chiusura protezionistica, non solo in Italia: si vede la faccia sempre visibile della luna, quella dal lato della produzione, con stakeholder organizzati e dotati di voce, mentre non si considera mai l’altra faccia della luna , il consumatore, invisibile e senza voce. Ma esistono stime su quanto costerebbe di più produrre un’auto tutta in Italia? E i consumatori sarebbero disponibili a pagare gli extracosti?
Non penso che sia questa la strada, ritengo che l’organizzazione internazionale della produzione abbia dei vantaggi e la dimensione media dei Paesi europei è troppo piccola per pensare a politiche di chiusura protezionistica che portino all’autosufficienza, sarebbe estremamente costoso e inefficiente. Penso che sia arrivato il momento di regolamentare meglio i processi di globalizzazione con una maggiore attenzione alla tutela dei lavoratori e dei consumatori e, se ci sarà veramente un accorciamento delle catene del valore, l’Europa potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo importante in questa direzione.
—-
Valentina Meliciani è Professore ordinario di Economia applicata presso il Dipartimento di Impresa e Management dell’Università LUISS Guido Carli di Roma e Direttore del PhD in Management presso la stessa università.
Lascia un commento