Ho più volte espresso la speranza che il Sindacato Confederale assumesse un ruolo di partnership nell’elaborazione del PNRR e nella realizzazione delle riforme in esso previste, piuttosto che quello di controparte ringhiosa e rancorosa, per il quale negli ultimi tempi pare particolarmente versato. Per la verità già risposte e giudizi di CGIL CISL e UIL in materia di pensioni e di politiche del lavoro mi avevano levato la maggior parte delle speranze. Ma il confronto che si apre oggi in materia di fisco, a meno di inaspettate sorprese, mi sembra una pietra tombale sulla salma di quello che fu un Sindacato capace di essere un partner e non un nemico del governo del Paese, quando era necessario.
E questo neanche tanto perché in materia di fisco sia portatore di rivendicazioni irragionevoli, ma perché proprio non porta proposte giudicabili, ma soltanto slogan, formule logore, suggestioni che alla fine si riducono a stati d’animo. Diceva moltissimi anni fa un famoso dirigente della CISL che la UIL era “uno stato d’animo”; definizione allora discutibile (e non necessariamente spregiativa) ma che ora calzerebbe benissimo a tutte tre le Confederazioni, molto più attente ormai alla sonorità dei messaggi e agli applausi che ricevono piuttosto che ai loro contenuti concreti.
Ma veniamo al confronto sulla “riformetta” fiscale prodotta dal Governo: il punto forte dello scontento sindacale sta nel fatto che non ne sia derivato nessun vantaggio per i redditi sotto i 15.000 euro annui lordi. La ragione, però, dovrebbe essere ben nota ai Sindacati: in questa fascia di contribuenti, cui si applica l’aliquota teorica del 23%, stanno poco più di 18 mln di contribuenti, che in virtù di esenzioni, detrazioni e bonus (che insistono in gran maggioranza proprio su questa fascia) pagano in numero di 4.782.000 (I rimanenti non pagano nulla)) un’IRPEF annuo che va dai 31 € ai 454 (37 € al mese); ossia il 2,31% di tutta l’IRPEF versata! Ma poiché il Sindacato dichiara con forza che la riforma avrebbe dovuto privilegiare lavoratori dipendenti e pensionati, vediamo quale trattamento riserva a costoro la “riformetta”.
I dipendenti con reddito fino a 15.000 € sono circa 8.250.000 e versano, nella quasi totalità, IRPEF pari a 0, grazie al “Bonus Renzi”. Abbassare l’aliquota del 23% a questa fascia avrebbe esito nullo, ovviamente. I pensionati sono 6.135.000: tra questi soltanto 3.200.000 pagano un’imposta mediamente di 387 € annui (32,25 € al mese). Inoltre i rimanenti 13.215.000 lavoratori dipendenti beneficiano, in varia misura, del taglio delle aliquote (e tra questi circa 1.500.000 nella “famigerata” fascia tra i 40.000 e 50.000, additata dal Sindacato come la massima beneficiaria dell’operazione sulle aliquote), così come ne beneficiano 7.372.000 pensionati appartenenti alle fasce di reddito superiori ai 15.000 annui. I Sindacati citano tra i dimenticati della riforma le piccole partite IVA: omettono però di ricordare che al di sotto dei 15.000 di reddito pagavano nel 2019 almeno 1 € di IRPEF soltanto 398.000 contribuenti su 946.545, e la gran parte di costoro usufruisce ormai della flat tax al 15% al posto dell’aliquota del 23%.
In sostanza, nel “ceto medio” che è il dichiarato beneficiario principale della riforma, troviamo un numero enormemente superiore di dipendenti e pensionati rispetto ad autonomi e professionisti. Dunque perché lamentare le offese alla propria constituency quando la verità è così evidentemente diversa? Perché, temo, nel Sindacato l’incapacità di leggere un mondo del lavoro che cambia rapidamente rispetto a quello nel quale la maggior parte dei sindacalisti ha fatto la propria esperienza, la poca voglia di innovare il sistema di relazioni industriali, le normative sul lavoro, la propria professione, porta a rifugiarsi nella retorica, nella riproposizione di formule note e confortevoli, e scegliere la rappresentazione scenica (un nuovo canone: la sceneggiata sindacale..?) come sistema per essere sulla scena senza dire niente. Da questo punto di vista autonominarsi protettori degli ultimi funziona dai tempi di Zorro e Robin Hood. Anzi, a proposito del secondo, ho sentito con piacere dal TG che è stato (correttamente) citato a sostegno della posizione sindacale.
Eppure la “riformetta” è, per esplicita ammissione dei suoi autori, soltanto un primo passettino: ci sarebbe tutto lo spazio e il tempo per avviare una discussione seria su quale fisco vogliamo, ma al netto di slogan e luoghi comuni. Si potrebbe per esempio discutere se la curva delle aliquote possa essere ridisegnata sul modello tedesco, che elimina i gradini tra un’aliquota e l’altra. Si potrebbe seriamente discutere di catasto e imposte sugli immobili. Si potrebbe ragionare di un equilibrio più funzionale tra tassazione diretta e indiretta. Ma, almeno ad oggi, CGIL CISL e UIL non sono neanche state capaci di riprendere l’assist di Confindustria, che propone di usare le risorse non per le aliquote IRPEF ma per tagliare i contributi, intervenendo così con decisione sul cuneo fiscale-contributivo: un’ipotesi discutibile ma certamente di grande peso strategico. Ma niente: il Sindacato resta saldamente ancorato alla lamentazione che chiede inutili riduzioni di carico fiscale per gli “ultimi”, che di tutto possono aver bisogno tranne che di meno tasse, che già non pagano!
Tutti i dati qui riportati sono frutto di elaborazioni di Itinerari Previdenziali su dati MEF e Agenzia Entrate.
(Articolo pubblicato il 30 novembre 2021 sul blog personale e ripreso con il consenso dell’autore)
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