Ci siamo. Finalmente. Si finalmente. Perché il Governo gialloverde, a prescindere dalle cose fatte che magari un giorno valuteremo in maniera meno “tranchant” di oggi nel merito, è stato il peggior governo mai visto negli ultimi decenni. Lo ripeto. Non tanto nel merito quanto nel modo di presentarsi. Nel suo modello comunicativo populista e volgare. Adeguato al “peggio” che il popolo esprime in termini di rancore, di rabbia, di tracotanza, di incompetenza e di arroganza e per nulla interessato a far emergere dal popolo stesso le qualità possibili. Si, perché oggi con popolare si è soliti far riferimento ad atteggiamenti beceri, egoisti e un po’ incolti e incivili senza pensare che il popolo è capace anche di altri atteggiamenti e comportamenti. Non so se il prossimo Governo sarà peggiore da questo punto di vista. So solo che la battaglia continua fra due culture populiste ha reso, da questo punto di vista, il peggio. Per questo niente rimpianti. Ed ora? Che fare , potremmo domandarci, parafrasando il libro che, bene o male, ha segnato la cultura politica nella nostra giovinezza.
L’ho detto più volte e lo ripeto. Non sono possibili, con i sondaggi che danno la destra ad oltre il 50% dei suffragi, pensare a un Governo del presidente, a governi tecnici o altre diavolerie del genere. Bisogna andare a votare. E il PD, una volta risolto il tema di trovare una alleanza seria e di contenuti, con la galassia “sparsa” di soggetti , movimenti e culture del centrosinistra italiano, deve cercare di darsi una visibilità “reale”. Cioè una visibilità non fatta solo di twitter di capi e capetti, di una comunicazione , ahimè, sempre e comunque arretrata e inefficace rispetto a quella della Lega e dei 5S, e di un “corpus” di slogan più o meno accattivanti che spaziano dalle tasse all’ambiente, dal lavoro al dopolavoro. Una visibilità reale significa definire un “sogno” per il paese, articolarlo per temi di rilievo senza indulgere nelle tecnicalità operative, e quindi chiamare il popolo a condividerlo. Anche attraverso schemi, vecchi ma in questo caso efficaci, di attivazione dall’alto verso il basso ma anche dal basso verso l’alto.
Non c’è molto da inventare, basta guardarsi intorno. E capire quali sono le cose che non funzionano e che ci fanno penare nel quotidiano e che non ci fanno essere orgogliosi di essere italiani.
La prima cosa è il lavoro e la sicurezza economica. Il job act buttato lì come riforma della contrattazione poteva andare. Ma ai tanti giovani e non più giovani che non trovano lavoro, che lo trovano di cattiva qualità o che lo trovano e poi lo perdono interessa poco parlare della flexsecurity. A loro interessa trovare più lavori (e quindi la crescita come primum movens), più qualità (e quindi più investimenti in ricerca e sviluppo), minori ricatti (quindi più diritti nel lavoro)e infine più sicurezza economica quando si perde il lavoro e se ne ricerca un altro. Finiamola con Naspi e sigle incomprensibili. E proviamo a dire che chi perde il lavoro e lo ricerca attivamente e con impegno deve essere sostenuto dalla fiscalità pubblica e dai contributi delle imprese. Fino a che non ritrova un lavoro. Individuando modalità serie di controllo degli abusi ma restituendo sicurezza alle persone. Mai più soli di fronte alla disoccupazione.
La seconda cosa è un territorio, città, campagne e coste, da vivere. Le ferite inferte al nostro territorio sono tante. Alcune anche difficili e lunghe da curare. Le nostre città sono vecchie. Non sfruttano appieno la qualità della vita e la bellezza che si potrebbe godere con le nuove tecnologia, con la nuova cultura urbanistica e con le nuove modalità di trasporto. Le campagne vivono momenti di grande trasformazione ma non si può pensare che siano soltanto dei luoghi di produzione agricola intensiva. Sono anche cultura, paesaggi e difesa del suolo. Valorizziamo i servizi del patrimonio naturale. Che sono ricchezza nascosta da far emergere. Le coste, i mari e i nostri fiumi sono gli elementi critici del cambiamento climatico. Facciamoli diventare un asset positivo per il nostro mondo in trasformazione. E quindi? E quindi tanti investimenti sul territorio. Magari attraverso bond europei a “interesse zero” capaci di rilanciare l’economia e di rafforzare il capitale naturale e sociale dell’Europa.
La terza cosa è il welfare, compreso il sistema pensionistico, che oramai combatte da anni fra la tenuta del vecchio e la costruzione del nuovo. Perdendo pezzi da tutte le parti. E non riuscendo a contentare nessuno. Insicurezza, difficoltà di accesso e qualità declinante sono le percezioni di fronte al vecchio sistema. Sfiducia, instabilità e insostenibilità sono le percezioni di chi cerca di pensare al futuro o giarda ai nuclei di nuovo introdotti nel sistema. La scuola, la sanità, gli strumenti di lotta alla povertà, le pensioni sono argomenti di scontentezza e di insicurezza nel paese. Il ripensamento deve essere più tempestivo e guardare di più al sistema generale. La difesa di piccole isole è oramai venuta al “redde rationem” . E il clima che ha accompagnato “quota 100” e il “reddito di cittadinanza”, parla di questo. Si sono percepiti come “regali” destinati a durare poco piuttosto come prodromi di una riforma per il futuro. Ed invece c’è bisogno di una riforma vera che punti davvero a più salute, a più educazione e formazione e a meno povertà. Gli strumenti non sono un fine. Ma solo degli strumenti.
Ci sono certamente altri punti importanti per la costruzione di un PD credibile e che punta a convincere il popolo di essere di una qualche utilità in caso di vittoria. Ma se il PD riuscisse davvero da darsi una immagine forte su questi argomenti, pensando di più alla vita quotidiana delle persone, un passo in avanti sarebbe fatto.
PS: non ho messo fra i punti l’immigrazione, che pure interessa e non poco la popolazione. Il problema si declina così: come si raggiunge un maggior controllo dei confini, come si integrano i flussi in entrata, come si cura di più l’ordine pubblico e come si riesce ad espellere chi delinque. La linea di Salvini è chiara. La linea del PD è sfuggente, poco chiara e per nulla risolutiva del problema che gli italiani sentono. Cercasi soluzione. Ma abbozziamola di dire che “non è un problema”. Gli italiani la pensano diversamente.
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