Partiamo dalla cronaca politica, dall’esito del voto del Senato che ha bocciato il DDL Zan: come giudica la tattica messa in atto dal PD e dal suo segretario?
Che i numeri non ci sarebbero stati e che si sarebbe andati a sbattere ormai era ben più che una probabilità.
Altrettanto evidente che mandare a trattare uno come Zan, per il quale ogni pensiero diverso dal suo è illegittimo tout court, sarebbe stato un suicidio politico: possibile che non lo abbia visto Letta?
Quindi non pensiamo di cavarcela con: è colpa di Italia Viva.
Chi ha davvero voluto affossare il ddl Zan?
Se una parte delle destre è certamente retriva, la protervia e l’arroganza agite dal Pd e anche dal M5S (riascoltate, se potete, l’incredibile intervento della signora Maiorino) hanno fatto il più del lavoro.
Mi pare che Lei dia un giudizio fortemente negativo sulla proposta Zan
Quel testo di legge non andava bene.
L’abbiamo detto per prime dall’inizio e in tutti i modi possibili, parlando anche ai muri, inascoltate.
Quel ddl era un obbrobrio giuridico ed etico che non andava “salvato”, ma buttato e riscritto daccapo, con ragionevolezza e Costituzione alla mano.
Adesso si facciano i conti veri. Basta balle consolatorie e pensieri unici immodificabili.
Noi rilanciamo la nostra proposta: se si vuole davvero una legge contro l’omotransfobia, si riparta dal “vecchio” ddl Scalfarotto-Annibali.
Ma sembra che , più che la l’omotransfobia, l’obiettivo del ddl Zan fosse l’affermazione della identità di genere
Se la sfida vera è la libera identità di genere, come in Spagna, in Germania e in mezzo mondo -perché qui dovremmo fare eccezione?- si chiamino le cose con il loro nome.
Si proponga, stavolta a viso aperto, una riforma della legge 164/82 che regola il percorso di transizione, si discuta, si combatta, e alla fine si voti, dando legittimità a ogni posizione.
Del resto ovunque va così: la battaglia è sulla libera identità di genere in Spagna, in Germania, in UK, in Giappone, in Perù, eccetera.
Da dove viene l’accusa di transfobia nei suoi confronti?
Perché è un trucco che funziona bene nello squalificare le critiche. Dici fobico e, improvvisamente, un’argomentazione diventa il frutto di una paura irrazionale e incontenibile. Negli anni ottanta, quando gli unici che si occupavano delle trans erano quei tre-quattro militanti radicali, mi sono battuta, accanto a Pina Bonanno, per costringere lo stato italiano ad accettare il cambio di sesso. Nacque così la legge 164 dell’82, grazie alla quale Pina si potè chiamare Pina, anziché Giuseppe, il nome che aveva alla nascita.
Qual’è la novità oggi, sul tema?
Oggi si rivendica il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo. Io autocertifico la mia identità sessuale e pretendo che la comunità lo riconosca, senza fiatare. Così viene intaccata la dimensione simbolica dell’umano. Il maschile e il femminile riguardano l’intera civiltà umana, non soltanto il singolo individuo. Per questo, non è sufficiente un’autocertificazione ed è necessario, invece, un percorso che tenga conto dei diritti del singolo e di quelli della comunità.
Sta dicendo che la biologia conta più della cultura?
Sto dicendo che ogni volta che nella storia è stata negata la realtà del corpo, le donne l’hanno pagata cara. Carla Lonzi ha scritto “Sputiamo su Hegel” per contestare l’idealismo con il quale il patriarcato ha sottomesso le donne. Ora ci risiamo: in maniera nuova e diversa. Per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale. Non lo vede anche lei cosa c’è sotto? C’è il desiderio di cancellare le donne, il loro corpo, la loro differenza.
Chi vuole negare le donne, secondo lei?
Il nuovo linguaggio dell’inclusione, per esempio. Prenda Lancet, uno dei giornali scientifici più prestigiosi al mondo. Anziché donne, ha scritto ‘corpi con vagina’. Ha cioè raso al suolo più della metà della popolazione mondiale per non discriminare una piccola minoranza di persone.: lei ha mai letto ‘corpi con prostata’?
Può definirmi il femminismo, oggi ?
È anche una lotta contro tutti gli stereotipi: a partire da quelle storie secondo cui la femmina deve giocare con le bambole e il maschio a calcio. Oggi, invece, osservo un preoccupante movimento contrario: l’adeguamento chirurgico allo stereotipo. Tu sei maschio e ti piacciono le Barbie? Intorno a te qualcuno si chiederà se non sei nato nel corpo sbagliato. Anche perché, in alcuni casi (bisogna dire anche questo), è più facile accettare il presunto ‘sbaglio’ naturale che l’omosessualità.
Primo nemico di tutte e tutti è la violenza del pensiero unico e del no-debate: mi pare che su di Lei sia stato esercitato, ed in misura pesante, al Festival della Letteratura di Mantova (festival che si stanno trasformando in megafoni del pensiero unico, un po’ ovunque in Italia)
A Mantova la scrittrice americana Rebecca Solnit ha rifiutato di farsi intervistare da me: ha preteso di leggere preventivamente le domande che volevo porle e, ritenendole transfobiche, ha messo il veto su di me”. Erano buone domande, e quasi tutte sull’America di oggi.
Era già successo che Le impedissero di parlare?
È successo che, per alcune delle idee che ho, volevano cacciarmi dall’Università. Ora posso finalmente dirlo. Durante quest’anno accademico era previsto che tenessi un corso di Filosofia ed etica della comunicazione in un master dell’Università Iuav di Venezia, tutt’altra materia rispetto alle questioni femministe. Eppure, quindici giorni prima che iniziasse l’insegnamento, Maria Luisa Frisa, che dirige il corso di laurea, mi chiamò per invitarmi a rinunciare all’incarico, perché, mi disse: “Certe tue idee sono sgradite a me e agli studenti” Le dissi che se lo scordava, e che se voleva cacciarmi dall’Università si sarebbe dovuta assumere la responsabilità, rescindendo il contratto unilateralmente con una lettera in cui spiegava quali delle mie idee erano incompatibili con l’insegnamento e perché. Non ha scritto, ma in compenso ho scritto io, ora che è finito il mio corso: una lettera al Rettore dell’Ateneo in cui racconto i fatti che sono accaduti. Vedremo il seguito.
Non può lamentarsi, poteva andarLe peggio: in America si viene cacciati per queste cose, è all’opera la versione di sinistra del Maccartismo
Si vive sotto una pressione enorme. Io non vivo grazie all’incarico universitario, ho altre fonti di reddito. Ma chi ha solo quello come può resistere alle pressioni? È ovvio: per proteggersi, si adeguerà alle idee che sono ritenute accettabili. Capisce o no che è un’autostrada per il conformismo, questa? Le assicuro che, anche in Italia, ci sono docenti che non dicono quello che pensano veramente per paura di essere presi di mira. Non è un problema mio: è un problema di libertà d’insegnamento e di pensiero.
Ma in Europa come è la situazione?
In Italia, e in Europa, ci si scandalizza ancora di fronte ai bavagli. Credo che il punto sia proprio questo: di fronte alla minaccia che arriva dall’altra parte dell’Occidente, l’Europa deve diventare il continente del libero pensiero, la patria del free speech, lo considero il suo compito storico.
LA LETTERA SCRITTA DAGLI STUDENTI DI IUAV CONTRO IL MIO INCARICO
(è bene che queste cose vengano alla luce, perché testimoniano del clima: alla lettera poi è seguito invito da parte della direzione del master a fare un passo indietro, il fatto davvero grave è stato questo. Io ho detto di no)
Cara Professoressa X
e care Proff. Y e Z (che ci leggono in copia),
inoltro questa mail a nome di tutte e tutti noi studenti del master in Management della Comunicazione e delle Politiche Culturali.
Apprendiamo perplessi della nomina di Marina Terragni come titolare del corso di ‘Filosofia ed etica dell’informazione contemporanea’, previsto per il secondo modulo.
Alla luce delle posizioni reazionarie ed escludenti espresse in molti articoli del suo blog e post pubblici sulle sue pagine social, ci diciamo quindi contrarie e contrari a questa scelta. Rivendichiamo tale opposizione poiché riteniamo le sue posizioni non semplicemente lontane dalle nostre, ma più gravemente offensive e inconciliabili con il progetto di IUAV e di questo master. Basti citare l’apertura dell’ateneo alle carriere con ‘identità alias’, di contro all’opposizione di Terragni verso il ‘self-id’ e l’autodeterminazione delle persone trans, ma anche le critiche infondate alle teorie queer, che siamo invece felici siano state incluse fra i contenuti del master.
Questa scelta minaccia l’integrità di un percorso espressamente legato ai discorsi femministi, intersezionali e queer, e mette potenzialmente in discussione le sue aule come spazio sicuro. Ci spinge a dirlo innanzitutto l’uso fatto da Terragni delle piattaforme di comunicazione, così centrali per questo insegnamento.
Chiediamo spiegazioni per questa scelta, con stima e fiducia nei confronti del suo giudizio, ma sosteniamo con altrettanta convinzione la nostra posizione.
Accogliamo il suo invito a un pensiero e una pratica di trasformazione, ma questa non è la direzione in cui vogliamo che il master proceda.
Cordialmente,
il Corpo Studentesco del Master
(post scriptum mio: non ho accolto l’invito ad andarmene da parte della responsabile del corso. Tutto poi è andato benissimo)
Riccardo Catola
Bravi entrambi. Marina ce l’ha con me per una faccenda banale di tanti anni fa, ma è una donna preparata e intelligente, al contrario di troppe fanatiche gender woke. Su questo non ci sono dubbi.
Graziano Bonacchi
Questa intervista l’ho letta tre volte……le domande ,al solito, molto intelligenti e per la verità un pò tendenziose ( nel senso che “tendono” al risultato …) hanno sorretto risposte che ho apprezzato molto e chemi hanno fatto riflettere . Bella , in particolare , la risposta alla domanda ” Sta dicendo che la biologia conta più della biologia?”
Argomenti sensibili , da non lasciare in mano alle “femministe” di entrambi i sessi ( sic!)
Saluti Graziano
Leggo tutte le note di tutti . In genere con più soddisfazione di molti articoli “simili” del Corriere
Pallini Luciano
Grazie dell’attenzione con la quale ci segui.. Luciano