Ammaccati da tre anni di continui saliscendi sui mercati finanziari (“più discese ardite, che risalite”), pensavamo di avere finalmente un po’ di tregua emotiva, ma soprattutto un po’ di tempo per farci trovare pronti e in ordine, per il gran ballo della ripartenza, stimata dai più, per il secondo semestre 2023.
E invece… E invece il panico ha ancora invaso i mercati finanziari, con una combinazione assolutamente letale. America, Svizzera, Germania, tre capisaldi del moderno capitalismo, in piena sofferenza, colpite dal fallimento di banche regionali in USA, da una banca sistemica in Svizzera e dal crollo dell’emblema del credito teutonico nel mondo (Deutsche Bank).
E come in un infernale gioco dell’oca, si torna indietro di qualche casella temporale, con l’inflazione “giudice e arbitro in terra del bene del male” (cit). (Ri)partiamo da qui allora.
I casi di Silicon Valley Bank e Signature Bank prima, Credit Suisse e Deutsche Bank poi, sono chiari segnali di quanto siano nervosi gli operatori del mercato e di quanto appaia ancora fragile il sistema finanziario globale. Tutto discende dal livello di inflazione, solo che questa volta non scomparirà a furia di massicci rialzi dei tassi (come avvenuto negli anni ’80 per intenderci) e l’auspicio di un “Soft landing” sta sempre più diventando un “hard landing (atterreremo, ma in che condizioni?)
Perché le banche centrali da un lato non possono permettere (pena la loro credibilità) che l’inflazione si radicalizzi, ma dall’altro lato devono anche garantire la piena stabilità del sistema finanziario, compromessa da politiche monetarie ultra-accomodanti negli ultimi tempi.
Le riforme finanziarie avviate dopo il crash del 2008 hanno ottenuto importanti risultati, almeno in Europa: il capitale delle banche si è rinforzato, sono state avviate fusioni e sono stati creati players di dimensioni internazionali (con l’Italia probabilmente la migliore), frequenti stress test della BCE sono stati applicati, per capire la “resilienza” delle banche. Ma a livello internazionale rimangono vaste zone d’ombra. Comportamenti da verificare sono stati tenuti dalla vigilanza americana sulle banche regionali (deregulation) e da quella svizzera sui casi di riciclaggio. Ma questo è già storia. Il problema è che la stabilità finanziaria va preservata o sarà l’intera economia mondiale a soffrirne e i casi Bearn Stern e poi Lehman del 2008, avrebbero dovuto insegnarci quanto i mercati siano strettamene interconnessi. La mancanza di fiducia in uno o più istituti fa presto a trasformarsi in panico generale e se il panico si diffonde, la crisi mondiale è inesorabile.
Gli interventi di salvataggio per ora adottati sono stati opportuni, quanto tardivi e con difficoltà hanno arginato l’incendio, ma non l’hanno spento. Il caso di Deutsche Bank ne è un esempio.
E qui si torna al problema iniziale: come fare allora a disinnescare l’inflazione, senza causare una recessione, o peggio una crisi finanziaria mondiale?
Una banca centrale indipendente con una missione di stabilità dei prezzi è una garanzia per i cittadini di qualunque paese: deve proteggere il loro potere d’acquisto. Ma una banca centrale che forza la disinflazione con continui rialzi dei tassi, rischia di debellare la malattia (inflazione), ma uccidere anche il paziente (sistema finanziario).
Stiamo navigando in mari agitatissimi e pericolosissimi e serve molta cautela, o qualunque intervento delle autorità centrali comporterà un aumento della già estrema volatilità.
Come nel titolo del film pluri premiato agli Oscar, sta succedendo “tutto, dappertutto e contemporaneamente” e un bravo marinaio deve evitare mosse troppe brusche e spostare il timone con molta delicatezza, o la frenesia di affrontare le onde con caparbietà, rischia di trascinarci nei gorghi più profondi del mare agitato.
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