Impossibile sottrarsi ad una riflessione sulle imminenti elezioni italiane, anche se sarebbe forte la tentazione, tanto esse capitano estemporanee, con una accelerazione innaturale e come sempre sono ovviamente divisive nel momento in cui ci sarebbe bisogno dell’esatto contrario, vale a dire una forte coesione nazionale. Ma tant’è. Per farlo dico subito che allora sarò per necessità molto lungo, perché gli argomenti sono tanti e vanno tutti sviscerati e problematizzati. Le sintesi invece si prestano sempre ad equivoci. Chi ha voglia e pazienza mi legga, e se non ce la fa non me la prendo e rimarremo buoni amici lo stesso.
In questa riflessione intendo invece sottrarmi alla deriva che porta a ragionare di politica elettorale parlando solo di alleanze, di coalizioni, di schieramenti composti, scomposti e ricomposti. In questo anno e mezzo c’eravamo abituati a tutt’altro, a temi, a contenuti, al governo della responsabilità, a problemi le cui soluzioni erano senza colore di parte. C’eravamo abituati a un consenso largo, a figure istituzionali alte. Abbiamo vissuto in un sogno e il risveglio è stato brusco e doloroso.
E si deve fare i conti con questa realtà, costretti dalla pistola alla tempia, puntata da una logica elettorale che definirei manichea.
Questa testata da quando è sorta ha sviluppato e poi mantenuto una sempre più netta identità liberale e la valutazione positiva sul governo presieduto da Mario Draghi derivava dal fatto che egli ha rappresentato pienamente questa identità, la stessa della nostra carta costituzionale. Che significa prima di tutto un pragmatismo concreto, non al ribasso, concentrato sulle sfide economiche e di sviluppo globali e di ampio respiro, realizzato o da realizzare con riforme importanti in tutti i comparti socio-economici, a cominciare dal completamento del Pnrr; senza minimamente tralasciare i temi sociali e con una collocazione saldamente europeista e occidentale, manifestata con il sostegno alla causa ucraina nella guerra scatenata da Putin. E’ evidente quindi che il giudizio sui contenuti dei contendenti elettorali e delle loro coalizioni non può muovere che da questa identità, per valutare chi meglio e di più tra essi la rappresenta (e chi no), in linea di continuità con quell’esperienza di governo. Per essere ancora più chiari, soprattutto rispetto alle obiezioni cosiddette ‘da sinistra’, da ora nello scrivere aggiungo al termine liberalismo il prefisso ‘social’, di cui non ci sarebbe bisogno, ma che serve, per mettere in evidenza, e ricordarlo ogni volta che lo si nomina, che il liberalismo ha sempre implicitamente come proprio unico fine l’aspirazione ad una ‘società giusta’, non meno di quanto l’abbiano avuto e l’abbiano ancora le espressioni variamente legate al socialismo e a tutte le sue eredità storiche, che per altro anch’esse del liberalismo sono figlie legittime in linea diretta.
Vediamo.
CENTRO DESTRA Il centro destra è la coalizione in pectore da più tempo costituita, e del resto, con poche varianti, ha una storia consolidata di trent’anni, avendo attraversato di fatto con la stessa formula tutto l’arco della Seconda Repubblica. Proprio per questo non me la sento di condividere quello che non pochi osservatori – ma anche uomini politici in qualche modo interessati – sottolineano come determinanti per loro in negativo, vale a dire le profonde divergenze nella coalizione su alcuni temi, soprattutto di politica estera, tali da non farli governare dal giorno dopo. Il forzaleghismo – efficace e sempre attuale termine coniato da Ilvo Diamanti – insieme agli eredi diretti del Movimento Sociale Italiano, partito ponte col fascismo ‘reale’ novecentesco, rappresentano nel complesso una forza sufficientemente omogenea, da tempo accreditata di essere una maggioranza tra gli italiani e le loro differenze, soprattutto nella base elettorale, le derubricherei a sfumature.
La evidente posizione anti europeista e filo russa, che l’atlantismo di maniera di Meloni e l’europeismo altrettanto di maniera di Berlusconi non riescono ad occultare; la conseguente marcata distanza da una cultura occidentale laica, basata sui diritti/doveri di cittadinanza; e soprattutto l’evidente ostilità verso l’art.53 della Costituzione – per cui ” Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” attraverso un “sistema tributario…informato a criteri di progressività“, criteri ostentatamente identificati , per screditarli, col termine da paura ‘tasse’ – ne fanno una coalizione a cui nessuna coscienza autenticamente social liberale dovrebbe per coerenza poter mai dare un voto. E ancora una volta ci si interroga come possa nel presente, e abbia potuto nel passato, il Partito Popolare Europeo (noto come PPE), che ha al suo interno il partito di Angela Merkel e di Ursula Von der Leyen, per intenderci, e da sempre in prima linea nell’europeismo, continuare a tollerare la reiterata scelta di Forza Italia, cha al PPE aderisce, nelle alleanze politiche, sempre tutte illiberali e, al fondo, quantomeno euroscettiche. Certo, lì dentro in quel mondo, in una parte della Lega, soprattutto, e forse anche tra le pieghe della residuale FI c’è, ai vertici più che nella base militante e degli elettori, una quota, difficile da misurare, di personale qualificato, moderato nei toni e nella prassi politica quotidiana, sufficientemente pragmatico e antiideologico, persino dialogante come per esempio di recente il governatore friulano Fedriga, assegnabile a una qualche sensibilità socialiberale; e che tuttavia rimane consapevolmente in ostaggio in quel fronte visibilmente illiberale per gli evidenti vantaggi di consenso che, soprattutto in certe aree geografiche del paese, offre (anche la DC di Dossetti, di La Pira, di Moro si compattava sempre, garantita dalla croce di Cristo, con Gonella , Scelba e Andreotti..). Sono state, queste, delle sensibilità individuali in grado di imporre a suo tempo il sostegno a Draghi, forti dello spalleggiamento dei ceti imprenditoriali settentrionali. Ma si può star sicuri che nella composizione delle liste elettorali per il 25 settembre i capi della coalizione per non aver altre sorprese future, avranno avuto cura di blindare nelle tre liste compagini parlamentari a loro affini e ostili quantomeno in partenza a una politica bipartisan. Resta poi verissimo ciò che Galli Della Loggia scriveva sul Corriere di qualche giorno fa: non si può in Italia ambire a governare con stabilità e credibilità e a rappresentare le istituzioni se non si passa al vaglio dell’anti fascismo, che il nodoso legno sempre storto della storia ci ha consegnato come ingombrante ma ineludibile bagaglio democratico, per quanto appesantito dalla retorica che lui stesso inevitabilmente ha generato. Questo fosso non solo Fratelli D’Italia, ma anche gli altri partiti della coalizione di destra non l’hanno mai saltato del tutto e per noi resta in qualche modo uno stigma che si portano appresso. E arrivo a dire che le stesse loro proposte di Presidenzialismo, che in linea di principio non sono da bocciare tout court (le prevedeva anche la bicamerale di D’Alema oltre vent’anni fa), non avrebbero quell’alone di sospetto autoritario che invece comprensibilmente mantengono con questo stigma. Potranno saltarlo in futuro il fosso con i fatti, ma per ora l’aspetto formale è anche sostanziale e conferma l’impossibilità di assegnare consenso socialiberale a costoro, senza contare che la testa al ‘Draghi’ l’hanno tagliata di netto ben più dei Cinque Stelle. E basta e avanza anche questo.
COALIZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO Nel suo insieme la coalizione guidata dal PD e da Enrico Letta è di difficile valutazione per la sua eterogeneità, non tanto nelle alleanze, che, in assenza dei pentastellati, sono ridotte a poca cosa, ma per la continua oscillazione interna di un partito che pure ha sostenuto Draghi e il suo programma dall’inizio alla fine; anche se sostenuto, e lo si capisce meglio oggi, con sotterranei mal di pancia di una delle sue componenti che ha molto condizionato la recente scelta ondivaga sulle alleanze, ma anche imposto nel passato recente quelle più stabili e quasi organiche con i Cinquestelle, il famoso ‘campo largo’. Non poi tanto largo, dal momento che era del tutto conseguente il non potersi appunto ‘allargare’ a tutte le forze terzo poliste in pectore, salvo provarlo a fare maldestramente in extremis con un’operazione che, anziché scegliere sulla base dei contenuti, pensava di sommarli agli altri agli antipodi, nonostante le loro evidenti antinomie. Chiaro che il voltafaccia – possiamo anche chiamarlo così in modo del tutto neutro – di Calenda e di Azione, prima dentro l’alleanza e poi subito dopo fuori, ha lasciato scoperta la potenziale componente ‘liberal’ della coalizione, che pure esiste, sin troppo silente, anche nello stesso PD e al suo esterno – minima ma non assente con la dissidente da Calenda + Europa – , senza dargli neppure il tempo di recuperare il rapporto con i pentastellati. Che comunque avrebbe dato nerbo numerico per poter competere, ma non certo equilibrio di immagine, spostando innaturalmente la coalizione ancor di più sul fronte estremo.
Chi è ancorato ai valori socialiberali, anche ricorrendo alla giustificazione per nulla peregrina del voto utile, senza tema può certo votare in quella coalizione + Europa e lo stesso PD; che è un partito nato a suo tempo, attraverso la leadership fondativa del clintoniano Veltroni, con un imprinting netto socialiberale, seppure via via nel tempo scolorito e complicato internamente da altre linee politiche in palese contrasto con l’imprinting originario. E che tuttavia, dovesse anche ipoteticamente vincere, si troverebbe a fare i conti da subito, ben più della destra, con le proprie contraddizioni, interne e soprattutto esterne; essendo i garruli cespugli alleati (Verdi e Sinistra Italiana) dichiaratamente ostili, tanto quanto il fronte di destra, alla catena valoriale socialiberale, ostilità dimostrata con il loro osteggiare Draghi dal primo all’ultimo minuto. Le contraddizioni interne ed esterne le si vede nei programmi di questa coalizione targata PD, che per ora restano poco incisivi e generici, anche per la presenza condizionante dei cespugli radical conservatori. Non si nominano per ora le cose decisive e l’unico elemento fin qui manifestato riguarda proposte sul sistema di tassazione, in questo caso in coerenza e non in dissonanza con il citato art.25. Nulla da dire, il socialiberalismo non ignora l’importanza delle tassazioni per finanziare l’intervento pubblico che le emergenze sociali e sanitarie impongono (oltre al fatto che per lo Stato la tassazione è strutturale e di base, se no non è Stato), né si fa impressionare da termini identificati strumentalmente da destra come vere e proprie angherie, che tali non sono, intendo ‘patrimoniale’ e ‘tassa di successione’; queste, a dispetto del loro nome terroristico, contengono infatti una loro sensatezza anche rispetto al volano dell’economia, visto che in linea teorica non intaccano più di quanto fanno le tasse ordinarie il capitale delle imprese, non riguardandole, e si occupano direttamente e individualmente di ceti più o meno decisamente benestanti che non arretrerebbero sicuramente i loro consumi per questo. E tuttavia allora per non apparire ciò che il PD non è, il partito delle tasse indiscriminate e dell’assistenzialismo, distinguendosi in ciò dai pentastellati, la bontà e la giustezza della proposta sulle tassazioni andrebbe sviscerata maggiormente circa la loro concreta finalizzazione e utilità e soprattutto equilibrata da altri punti programmatici, che non si vedono all’orizzonte, in grado di fugare questo rischio d’immagine. Né un contenuto accettabile, tutto in difensiva, può considerarsi lo spirito da Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e di difesa della Costituzione, nonostante ciò che si è già detto sull’ambiguità delle destre sul tema antifascismo. Anche perché andrebbe ricordato che il vero CLN di ottant’anni fa comprendeva allora anche i conservatori, i monarchici e persino ex fascisti da poco redenti; e andrebbe ricordato che semmai, con Fratelli d’Italia all’opposizione, nel presente un fronte CLN è stato ri-rappresentato al meglio da quel governo Draghi al cui abbattimento i cespuglietti radical conservatori, oggi alleati del PD, hanno dato il loro piccolo ma significativo contributo. Ciò che li rende anche su questo tema CLN non troppo credibili, unitamente ad una loro difesa costituzionale altrettanto poco credibile, se si pensa a come valutano negativamente nel loro intimo caposaldi costituzionali come l’impresa, la proprietà privata e l’uso delle forze armate in chiave difensiva, dando per scontato che nel 2022 la patria da difendere per la Costituzione Italiana è l’Europa Unita. Quindi è un fronte di difesa non della Costituzione ma delle parti che fanno comodo della Costituzione, per loro una Costituzione ‘à la carte’.
Lo si può ben dire: la evidente contraddizione interna, con riflessi all’esterno, del PD, che pure governa in modo efficiente molte zone chiave del nostro paese – in primis direi l’Emilia e Milano e poi molto altro – facendolo in modo ben più vicino ai principi socialiberali di cui sopra, è l’elemento che più blocca il processo democratico del sistema politico italiano, spianando sistematicamente la strada, nelle contese nazionali, alla destra che ha, lo si è già detto, un’immagine politica assai più omogenea.
Se, cosa possibile, non so ancora quanto probabile, sicuramente non auspicabile, la destra dovesse vincere le elezioni e a prescindere dalle dimensioni della vittoria, nel PD si dovrebbe aprire una fase di profonda riflessione politica per scegliere una volta per tutte che mestiere vorrà fare da grande, perché ormai ha quindici anni, l’età in cui si sceglie definitivamente l’indirizzo scolastico. Sarà uno snodo determinante per il paese e sicuramente, qualsiasi indirizzo il PD prenderà, il socialiberalismo italiano conoscerà un momento di maggiore chiarezza applicativa. La scelta più precisa ‘da grande’ del PD, sia chiaro, non vuol dire non essere inclusivi e personalmente quando auspico una politica di unità nazionale, alla Draghi per capirci, l’inclusione ne diventa un corollario necessario. Ma l’inclusione ha senso se ciò che si include è un arricchimento che si innesta su una precisa identità maggioritaria senza annacquarla o sconvolgerla, qualcosa sempre flessibile alle mediazioni; diciamo un inclusione virtuosa, se flessibile.
CINQUE STELLE Anche sui Cinque Stelle, di cui si conoscono le linee programmatiche da tempo, da una decina d’anni ormai sempre le stesse senza grandi variazioni, tali da identificarli perciò facilmente anche per questa tornata elettorale, la valutazione non è così scontata in senso liquidatorio; come sono portati a fare tutti coloro che li osteggiano apertamente. Ho molti motivi per osteggiarli, ma per principio non liquido mai nessuno, soprattutto se questo nessuno ha raccolto milioni di voti in doppia cifra non più tardi di quattro anni fa. Che sono tanti, gli anni fa intendo, e sappiamo che per loro molto è cambiato, ma non troppi per non farne ancora una presenza di un certo ingombro e con cui comunque fare i conti; non foss’altro per il fatto che una forza politica come il PD, in parte di cultura socialiberale, con i Cinque Stelle ci ha fatto – e sta facendo ancora a livello locale – alleanze organiche, attraverso una abnorme rimozione – roba da testo di psicanalisi – degli insulti politici ricevuti dai Cinque Stelle medesimi ai tempi del loro esordio e per molto tempo quasi una loro identità fondativa. D’altra parte, non si può dire che questo movimento non abbia rappresentato, a modo suo, consistenti spezzoni, anche diversi tra loro, di società italiana e basterebbe questo quantomeno a cercare di capire il fenomeno e a considerarne le istanze di partenza. Anche perché certa mala politica di variegata natura, locale e nazionale, trasversale a tutte le altre forze partitiche cosiddette ‘serie’, ha alimentato il fenomeno e ciò inviterebbe a una certa cautela all’insegna del “ chi è causa del suo mal…”. E’ altrettanto vero poi che, sia al governo cha all’opposizione, la politica pentastellata, mossa da istanze giustificate se non proprio giuste, si è spesso manifestata con un radicalismo piuttosto sgangherato, molto incline ad un assistenzialismo totalitario, concepito come riparatore di presunti torti storici subiti da certe parti geografiche d’Italia, il sud soprattutto, e da una sorta di sottoproletariato provinciale e periferico in genere, un mondo che semmai dei torti ne porta la corresponsabilità storica, anche nella cultura diffusa e nelle pieghe sociali.
Non sono tanto i provvedimenti da loro difesi sul comparto assistenziale ad essere, almeno nominalmente come temi, in dissonanza con il socialiberalismo, se è vero che un reddito di cittadinanza riformato e il salario minimo erano in prospettiva anche dentro l’agenda Draghi, ma lo è l’assolutismo con cui vengono proposti. Non uso mai per loro e per altri il termine ‘populismo’, che non so ancora bene che cosa significhi (se è per questo l’ultimo oceanico consenso/sostegno di massa a Draghi prima delle dimissioni proveniva senza intermediazioni direttamente dal popolo e quindi lo si poteva dire anche quello allora di matrice populistica). Semmai rispolvererei per loro – e in genere per tutti gli oppositori interni ed esterni alla politica pragmatica di Draghi – un vecchio termine oggi meno usato: demagogia (per Treccani “la pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili”. Perfetto). Ed è conseguente che la patente di inaffidabilità a loro assegnata è stata meritata sul campo, proprio per la demagogia ideologica di fondo, lontana anni luce dal pragmatismo concreto, sempre concentrato sulle cose realizzabili, del socialiberalismo. In più il movimento Cinque Stelle ha nel suo DNA un ambientalismo espresso con furore dogmatico, risalente al fondatore Beppe Grillo, e al cui cospetto i talebani afgani sono un esempio di laicità. Lo stesso che poi, paro paro, lo si ritrova anche in buona parte dei Verdi, in alcune frange ambientaliste della sinistra più variegata e in non poche associazioni di base, anche nostrane-veneziane. Tutto un mondo in cui, pur essendoci anche qui posizioni più moderate e dialoganti, prevale, con voce più grossa, un misto di fanatismo e faziosità che, ben lungi dall’essere promotore e facilitatore di un processo sensato e progressivo di transizione ecologica, diventa esso stesso una parte di tale problema, costituendo anzi un ostacolo in più per la sistematica irrealizzabilità delle proposte messe in campo; un appunto questo, proprio così formulato ( “sono parte del problema”) dal ministro del governo Draghi, Cingolani, alla testa di quel ministero alla transizione ecologica fortemente voluto proprio dai Cinque Stelle (sic). O irrealizzabilità delle proposte, da loro, oppure, peggio ancora, ostruzionismo di principio a quelle sensate, magari proprio di fronte all’immediata urgenza della soluzione di situazioni di crisi che si pongono ‘hic et nunc’. Un esempio tra tanti è Il famoso tema del termovalorizzatore romano che è stata una delle gocce che hanno fatto traboccare il vaso per cui Draghi alla fine si è dimesso.
TERZO POLO Quanto infine al Terzo Polo il giudizio va articolato distinguendo le modalità con cui si è costituito nelle ultime settimane dall’identità politica che va assumendo. Le modalità con cui si è costituito hanno fatto notizia e hanno posto una tara negativa di partenza forse immeritata rispetto ai contenuti, ma inevitabile, quanto evitabili erano invece le modalità; il leader Calenda sbaglia, a mio avviso, se continua a sottovalutarne le conseguenze. Di fatto c’è stato un marchio quasi d’infamia, che va sotto il nome di ‘voltafaccia di Calenda’. Certo non mancano le buone ragioni di questo cambio repentino, dall’alleanza strategica e di programma con il PD al correre da solo e solo in seguito con Renzi, e che Calenda stesso ha subito dichiarato. Non mancano le ragioni e le sappiamo riconoscere (perché, sia chiaro, anche il PD ha giocato ambiguo la sua parte in questa partita); ma sono anche ragioni ben comprensibili solo a chi maneggia le cose della politica e delle sue sfumature, e invece assolutamente inconsistenti e invisibili per la le masse votanti, che hanno letto l’operazione come uno dei tanti traffici loschi della politica, una volta di più basato sulle poltrone e sui posti da spartire. E paradossalmente questa lettura legata a poltrone o a poco altro nuoce anche per l’ipotetico voto moderato da destra da strappare a Forza Italia, perché viene captato solo un certo cinismo, sicuramente esagerato, ma che alla fine determina un giudizio di inaffidabilità e quindi di diffidenza. Al momento in cui scrivo forse qualcosa si sta muovendo nei sondaggi a favore di questo ipotetico travaso di voti da destra sul Terzo Polo, ma potrebbe non essere sufficiente, troppo poco cioè.
Ben altra cosa, con relativa forza attrattiva, se in tutta coerenza Azione e Italia Viva si fossero da tempo costituiti come Terzo Polo, anche senza calcoli elettorali, con un cammino progressivo, al contrario mai messo in atto dai due leader, se non in fretta nelle imminenze delle presentazioni dei simboli. Avrebbero potuto farlo in tutto il tempo in cui entrambi hanno sostenuto più di tutti gli altri Draghi, contribuendo per altro all’operazione politica per cui Mattarella gli ha assegnato l’incarico. Per questo, se non si fa di ogni erba un fascio confondendo le pessime modalità di costituzione del Terzo Polo con i suoi programmi, i loro contenuti sono sicuramente i più coerenti con una moderna concezione socialiberale su tutti i temi e anche sui risvolti sociali (per esempio, come già detto e va risottolineato, non bocciando e ritenendolo riformabile, come del resto aveva detto Draghi, il reddito di cittadinanza e mantenendo l’idea del salario minimo), con una interessante proposta sulle tassazioni che su questa pagina Lorenzo Colovini ha giustamente citato. (https://www.luminosigiorni.it/2022/08/argomenti-elettorali-le-tasse/)
Sono programmi impostati su un realismo concreto, che non fa gerarchie di priorità quando sono in ballo solo paritarie questioni urgenti, anche legate alle vicende di politica estera sul fronte russo ucraino; ed è anche un responsabile realismo che porta il Terzo Polo a rivalutare l’energia nucleare come la più risolutiva nell’immediato per la crisi energetica che andremo presto ad affrontare.
Calenda e Renzi potrebbero e anzi dovrebbero però riconsiderare alcuni elementi, di cui difettano, nelle relazioni umane: l’empatia e il rispetto per le persone, che prescinde dalle posizioni politiche, la mitezza, da accompagnarsi, senza sminuirla, alla fermezza (anche qui andare alla voce ‘Mario Draghi’), il far prevalere l’interesse generale, quantomeno della propria parte politica, sull’orgoglio individuale; dovrebbero riconsiderare tutto ciò come qualità irrinunciabili per una politica che ambisca al consenso. Allora in un attimo la credibilità dei contenuti che esprimono avrebbe uno scarto in avanti e un riallineamento alla loro validità intrinseca e che va riconosciuta.
Probabilmente l’alleanza, poi rifiutata, con il PD avrebbe reso più contendibile la sfida con la destra, la cui vittoria potrebbe essere ora facilitata dal loro chiamarsi fuori, fatto anche per non essere, come rischiavano di essere con l’alleanza col PD, solo dei ‘portatori d’acqua’. E’ chiaro che, seppure in evidente ritardo, da parte loro c’è stata la scelta di presentarsi da soli per mettere il seme di una formazione politica socialiberale nuova di zecca, senza annacquamenti, forse consapevoli che la partita delle elezioni, alleanza o non alleanza, sarebbe comunque stata tutta in salita e che poteva in ogni caso andar male per tutto il vasto e variegato mondo del centro sinistra e del Terzo Polo, anche se in coalizione tra loro; e che tanto valeva allora cominciare a farsi riconoscere da qui, evitando di confondersi in un mare magnum di sconfitti. Ma la partita vera dovrebbe poter andare oltre l’orizzonte di una sola formazione politica, nonostante questo loro netto e inequivocabile carattere socialiberale.
C’è infatti un’idea di fondo, antica di due secoli, nata dall’illuminismo e prima ancora dal razionalismo, e passata attraverso mille temperie, ma rimasta miracolosamente indenne e che si chiama liberalismo, da potersi dire anche senza alcun aggettivo perché storicamente credibile da sé. Da sempre sono le idee, nel bene e nel male, che hanno fatto la storia, spesso anche piegando e indirizzando le dinamiche economiche. Di conseguenza continuiamo a credere che una politica ispirata all’idea del socialiberalismo e ai suoi valori di fondo non possa essere, se non in una fase embrionale, rinchiusa nella ridotta di un circoscritto partito in formazione, per quanto determinato; a credere che Il patto Repubblicano già concretizzato da Mario Draghi dovrebbe avere in prospettiva una rappresentazione politica e istituzionale molto più ampia, perché di fatto è assai più ampio e trasversale il suo consenso potenziale (e in ciò, devo dire, le persone e i leader fanno eccome la differenza). I governi di unità nazionale fondati su questo patto non dovrebbero cioè essere più quelli delle fasi emergenziali, ma quelli strutturali e pienamente politici che, per esempio, caratterizzano da tempo l’Unione Europea, dimostrando che ciò è possibile ed estendibile.
La missione è allora questa, la si realizzi tra un mese o verosimilmente in un tempo più lungo: fare del socialiberalismo la cultura politica dominante ed egemone in Italia, contribuendo a farlo anche per l’Europa. Se questo processo è in ritardo ciò dipende anche dalle contraddizioni del nostro diviso paese e delle sue speculari rappresentanze politiche, paese sempre in bilico tra occidente moderno e culture anti occidentali arretrate. E dipende anche da un sistema politico, quello bipolare, che, con la scusa, per altro sempre più contraddetta dai fatti, della stabilità, dimostra, e non solo in Italia, tutta la sua crescente e non più tollerabile inadeguatezza rispetto ad una democrazia realmente rappresentativa. Da questo punto di vista il voto al Terzo Polo potrebbe avere anche il sapore, in alternativa all’astensione, della protesta contro gli umilianti aut aut a cui l’elettore è sempre più sottoposto nelle scelte, per indurre la prossima legislatura ad affrontare in modo bipartisan i nodi istituzionali della nostra sempre immatura Repubblica, a cominciare da una nuova legge elettorale realmente proporzionale; e a questo punto non fermandosi solo lì.
(questo articolo è tratto da www.luminosigiorni.it)
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