Il Centro Studi Grande Milano, presieuto da Daniela Mainini, è un’associazione che promuove e divulga l’idea e i valori di una Milano più grande, autorevole e confrontabile con le diverse realtà metropolitane italiane ed europee. In vista del voto per il rinnovo del Consiglio regionale, il Centro ha rivolto ai principali candidati alla carica di Presidente 4 domande su temi di particolare attualità. Per gentile concessione della Presidente, riprendiamo l’articolo.
1- Autonoma differenziata: senza il dibattito sul ruolo e le funzioni della Città Metropolitana le intese rischiano di non cogliere nel segno.
Il dibattito sull’autonomia differenziata manca di un tassello: non basta definire quali materia aggiungere alle competenze regionali, è necessario decidere quali soggetti ammnistrativi debbano poi essere responsabili di attuare le varie politiche che passeranno alla Regione.
Occorre attivare subito una riflessione sul “governo d’ambito”, concentrato sul ruolo della Città metropolitana, anche mettendo preliminarmente mano alla legge statale che organizza le competenze degli enti locali.
Diversamente, la maggiore competenza attribuita alla Regione rischia di trasformarsi nel fallimento conclamato del principio di sussidiarietà.
Quale ruolo vedete per la Città Metropolitana?
Attilio Fontana
La sfida dell’autonomia differenziata pone naturalmente anche l’attenzione sulla necessità di rivedere l’assetto territoriale e locale, oltre all’organizzazione amministrativa dello Stato.
Occorre disegnare un riparto delle competenze che non sia più uguale per tutti, ma sia distinto a seconda delle vocazioni territoriali, delle specificità, dei problemi, che un territorio presenta. Questa impostazione consente di riaffermare i principi di differenziazione e di adeguatezza delle autonomie locali, che da sempre ispirano le riforme amministrative in tutta Europa.
Lo Stato è troppo grande per gestire i territori come se fossero tutti uguali (e non lo sono!): serve un coordinamento “alto” e una possibilità di fare da tramite, di agire in base alle peculiarità dei territori. Le Regioni sono uno strumento eccezionale in questo senso, perché con l’organizzazione sussidiaria possono sia intercettare che rispondere a tutte le esigenze rilevate dai territori. C’è poi la necessità di rivitalizzare enti intermedi che – con poca lungimiranza – sono stati messi da parte dalla riforma Delrio.
La città metropolitana è una di questi: con l’attuale assetto amministrativo, le province esistono solo per nome, così com’è purtroppo anche la Città Metropolitana non può far molto; occorre invece recuperarne la funzione per riassegnare i compiti a chi davvero può gestirli, cioè le province come erano ante 2014.
Il processo di autonomia deve essere basato sul riconoscimento di un vero decentramento amministrativo a responsabilità “diffusa” e quindi effettivo, evitando da subito forme di centralismo regionale; Comuni, Città Metropolitana e Province devono essere considerati partners istituzionali imprescindibili ed affidabili con riguardo all’intero ciclo della programmazione, progettazione, realizzazione e gestione delle politiche stesse, in tutti i settori nei quali sarà possibile acquisire competenze dallo Stato centrale; ed anzi, prima ancora, deve essere garantita, tramite un confronto costante, coerente e costruttivo, la partecipazione degli enti locali al percorso per l’attribuzione di maggiore autonomia come previsto dall’art. 116 della Costituzione. Una nuova AUTONOMIA basata sul merito, di tutti gli enti che possono lavorare in chiave sussidiaria.
Pierfrancesco Majorino
Il nostro orientamento sull’autonomia differenziata può essere riassunto con questa formula: autonomia sì, ma non così. Il disegno di legge approvato pochi giorni fa dal Consiglio dei Ministri è dannoso in alcune sue parti, prima di tutto perché rischia di aumentare le disuguaglianze all’interno del paese, mettendo in pericolo il principio di unità nazionale. L’idea di autonomia ha senso ed è utile quando porta con una maggiore prossimità al cittadino, ascoltando chi opera sul territorio. Diventa dannosa in ambiti come ad esempio la scuola, che pare si vorrebbe regionalizzare, andando ad ampliare ancora di più un divario già presente nel paese. E poi, come giustamente sottolineate nella vostra domanda, c’è il tema di come far “atterrare” nei territori le competenze regionali. Da questo punto di vista la riforma è carente, perché non è chiaro come verrà garantito il sostegno attivo delle comunità locali e delle città metropolitane. Non basta, infatti, trasferire competenze alle regioni e quanto accaduto in Lombardia negli ultimi anni dovrebbe essere un monito. La Regione non è stata capace di immaginare una suddivisione al suo interno che garantisse efficienza ed efficacia ai propri servizi e quindi, in ultima istanza, ai bisogni dei cittadini. Non dimentichiamo i molteplici annunci di questi anni sulle numerose riorganizzazioni (a partire dalla suddivisione del territorio lombardo in cantoni), ma nulla è stato fatto.
Letizia Moratti
Le Aree metropolitane furono concepite dalla riforma degli enti locali del 1990, la stessa che istituì le Comunità montane, i consorzi fra Comuni e altro ancora. Era una legge di riordino, che solo in parte servì allo scopo. Le dieci aree nazionali, indicate nella riforma, sono sempre rimaste lettera morta, soprattutto per l’opposizione della Lega. In anni più recenti, è stata l’abolizione delle province ad aver generato la cosiddetta ‘Città metropolitana’, che però è un organo elettivo di secondo livello, di mera rappresentanza e privo di poteri reali. In generale, i rapporti fra Lombardia e Milano sono sempre stati positivi, anche quando hanno avuto amministrazioni di colore diverso. Tra noi lombardi prevale lo spirito del fare e il senso di collaborazione istituzionale: è una delle nostre grandi risorse. Come voi dite, serve mettere mano alla legge nazionale che regola gli enti locali, ma questo non è nelle disponibilità della Regione. Faremo pressione sul governo, non possiamo promettere molto di più. Noi siamo schiettamente favorevoli all’autonomia differenziata, perché valorizza i nostri territori e le qualità della Lombardia, a condizione che siano garantiti i livelli essenziali di assistenza e prestazioni. Se non partiamo da questo presupposto, non si andrà da nessuna parte. Rimarrà forte e doverosa, quando saremo al governo, la collaborazione fra la Regione e il Comune di Milano, così come con altre regioni economicamente affini alla nostra, come il Veneto e l’Emilia-Romagna. Ma questo è un impegno politico. Per i risvolti istituzionali, bisognerà aspettare le riforma.
2- Olimpiadi: un progetto culturale per Milano e un’azione di rete nei territori locali, con attenzione ai rischi dei grandi eventi.
Le Olimpiadi sono un importante evento culturale per Milano, che, con la sua reputazione in Italia e all’estero, è decisiva nel “brand” Olimpico.
Nel giro di pochi anni, in Italia, la questione dell’assegnazione e dell’organizzazione dei Giochi Olimpici è passata dall’essere quotidiano e onnipresente motivo di tensioni e strumentalizzazioni politiche a grande assente del dibattito pubblico locale e nazionale.
Per governare al meglio i processi attivati da Milano-Cortina 2026 occorre una visione programmatica e di scenario, che la recente evoluzione dei Giochi olimpici in “evento diffuso” e incubatore di nuove esperienze di partecipazione, educazione e relazione ha reso, se possibile, ancora più necessaria e urgente. Su queste basi, il Centro Studi Grande Milano considera indifferibile un impegno strategico-programmatico mirato alla valorizzazione di tutti i territori della nostra Regione e al coinvolgimento in particolare delle sue aree periferiche.
Nei confronti di quest’impostazione di fondo e di queste considerazioni, qual è il suo punto di vista?
Come pensa sia possibile governare, dal particolare osservatorio della presidenza della Lombardia, l’impatto dei Giochi sul territorio regionale?
Attilio Fontana
Condivido la necessità di avere una visione programmatica d’insieme. Ecco perché è stato studiato un masterplan olimpico che non sono prenda in considerazione la realizzazione di ciò che è necessario per i Giochi Invernali del 2026 – infrastrutture sportive e di collegamento viario in primis -, ma anche e soprattutto che identifichi l’eredità materiale e immateriale di questo grande evento che ospiteremo sul nostro territorio.
Si tratta di un evento che può creare un indotto stratosferico: come Expo nel 2015, gli investimenti sul territorio devono evolverlo e renderlo più attrattivo, ma anche vivibile e accessibile: da una parte occorre affermare a gran voce che questi interventi miglioreranno la nostra terra a beneficio di tutti i cittadini; dall’altra occorre bilanciare le esigenze delle Amministrazioni e saper raggiungere un compromesso condiviso sulle modalità di raggiungimento e utilizzo degli spazi.
Noi guardiamo ai Giochi come ad un percorso lungo un quinquennio e che è già cominciato. Come ad una delle grandi opportunità (la più grande?) che il Paese ha davanti per ripartire. Un treno che passa forse ogni cinquant’anni e che non possiamo perdere.
Penso ovviamente alla promozione dei nostri territori. A cominciare da quelli Olimpici, che questo mega evento hanno voluto ospitare con determinazione; ma arrivando a tutti i territori anche quelli più lontani dalle venues. La condizione è che tutto abbia un flavour italiano, consentita dalla possibilità di accedere alle sponsorizzazioni anche a produttori del territorio, consentirà alla Fondazione di promuovere il turismo nelle regioni Olimpiche, in tutto il Paese e anche all’estero. Il risultato è che i territori Olimpici, ma non solo, potranno utilizzare un operatore globale per proiettare la loro offerta anche Oltreoceano.
Non c’è solo quello che i Giochi possono fare per il territorio, c’è anche quello che il territorio saprà fare per cogliere le opportunità rappresentate dai Giochi. Facendo sistema, facendo innovazione, offrendo la qualità che in tanti, troppi, si sforzano di imitare.
Il privilegiato osservatorio di Regione permetterà di arrivare a monitorare tutte le zone del nostro territorio, ascoltandone i bisogni, garantendo la presenza dell’Istituzione che ha ruolo di programmare e collaborando con tutte le altre amministrazioni per raggiungere gli obiettivi di crescita per tutta la Lombardia.
Pierfrancesco Majorino
Senza dubbio, i Giochi Olimpici e Paralimpici invernali 2026 devono rappresentare un’opportunità per tutta la Lombardia, devono essere il fulcro della promozione turistica del nostro territorio nei prossimi anni. Vogliamo realizzare questa impostazione attraverso la costituzione di una società ad hoc per la gestione del grande evento, assieme a Fondazione Milano Cortina 2026 e ai comuni di Bormio, Livigno e la Provincia di Sondrio, pensata per rimanere sul territorio con il compito di attrarre e gestire altri grandi eventi futuri, come per esempio la Coppa del mondo di sci, ospitati dalle nostre montagne. Accanto a questo vogliamo potenziare programmi educativi e culturali che Fondazione Milano Cortina 2026 creerà sul nostro territorio per raggiungere e coinvolgere ancora di più i ragazzi e le ragazze lombarde, così da avere una reale diffusione e valorizzazione dell’evento. Serviranno anche strategie turistiche integrate, che utilizzino i Giochi Olimpici per promuovere il nostro territorio, a partire dalle nostre splendide valli e montagne.
Tutto questo sarà possibile, però, solo se si recupererà in fretta il ritardo. Il centrodestra lombardo, infatti, ha accumulato ritardi ingiustificabili sui tempi e modi di realizzazione delle opere per Milano-Cortina 2026, fondamentali per la buona riuscita dei Giochi. La Lombardia rischia di compromettere la sua reputazione a livello internazionale se quelle opere inserite nel dossier olimpico non saranno realizzate in tempo. È necessaria la massima chiarezza sui tempi di realizzazione, con un ascolto attento e preciso dei territori interessati, diversamente da quanto compiuto sino a oggi. I Giochi Olimpici invernali sono una straordinaria opportunità di rilancio dell’immagine della nostra Regione, non possiamo permetterci errori. Con la nostra Presidenza cambieremo passo, proprio come si fece a Milano con la Giunta Pisapia, che raccolse le indecisioni e gli errori dell’Amministrazione Moratti su Expo 2015.
Letizia Moratti
Sono in completa sintonia con la vostra premessa, e se avrete la pazienza di leggere il nostro programma, vi troverete ben espressi gli stessi concetti, accompagnati da proposte molto concrete. Milano-Cortina è un’occasione straordinaria, da non perdere: dobbiamo bissare il successo di Expo 2015, che io riuscii a conquistare da sindaco di Milano. Le ricadute positive saranno enormi, non solo per lo sport e il turismo, ma per tutta l’economia regionale, proprio perché saranno un ‘evento diffuso’. Aggiungo che per me cultura e turismo sono un binomio inscindibile.
È da quando ho annunciato la mia candidatura, con una lista civica, che continuo a ripetere: trovo scandaloso che la prima regione italiana per abitanti e Pil, sia in coda alla classifica nazionale per la spesa destinata alla cultura. Il nostro programma prevede di almeno raddoppiare questi stanziamenti, portandoli dal misero 1,5% attuale al 3 per cento del bilancio regionale, cioè da 50 a 100 milioni di euro. Vogliamo fare di Milano una delle ‘capitali mondiali’ del cinema, rendendola attrattiva per i registi di tutto il mondo, non solo italiani. Ma noi non guardiamo solo a Milano. Vogliamo creare in Lombardia, d’accordo con i Comuni, i 12 Capoluoghi della Cultura, valorizzando di ciascuno le caratteristiche specifiche. Su questo progetto, lanceremo un grande piano di marketing territoriale. Organizzeremo dei “Road Show” nelle più importanti città del mondo, per lanciare le nostre imprese e i nostri prodotti, e attirare turisti e investimenti, senza aprire costosi e inutili ‘uffici in Asia e in America’, con più burocrazia, come propone Fontana.
3- Rigenerazione territoriale: come costruire la complementarità dei livelli di governo per cogliere appieno le opportunità di sviluppo della Lombardia.
La rigenerazione dei territori della Regione passa attraverso una politica di sistema che deve muoversi tra gli indirizzi strategici statali e regionali, oltre che considerando le esigenze della Città Metropolitana, che, a loro volta, hanno bisogno di trovare sinergie con gli altri rilevanti centri urbani e con la necessità di integrazione dei Comuni di cintura.
Ad oggi, il progetto di legge dello Stato sulla rigenerazione urbana è fermo; la Corte Costituzionale, a fronte di una questione di costituzionalità prospettata al TAR Lombardia dal Comune di Milano, ha bocciato la legge Lombarda per non aver dato sufficiente spazio alle autonomie locali.
La questione istituzionale è centrale per sbloccare le norme e le azioni che servono a cogliere le opportunità di crescita dei nostri territori.
Come pensate di costruire la complementarità delle varie aree di governo?
Attilio Fontana
RL si è già data una “politica di sistema” fatta di un complesso di normative e di un Piano Territoriale Regionale che dialogano tra loro, secondo obiettivi e definizioni condivisi. A livello statale non solo la norma sulla rigenerazione urbana è ferma, ma anche quella sul contenimento del consumo di suolo, quella che vorrebbe riordinare in generale la materia urbanistica e la pianificazione territoriale, per non parlare di quella che dovrebbe riordinare la materia edilizia, vedi la vera riforma del dpr 380/2001 della quale si parla da anni. Sarà necessario dunque dialogare con un Governo oggi più attento alle richieste delle Regioni e degli altri enti, cosa che fino ad oggi non è stata possibile.
Nel complesso della propria strumentazione normativa, ma anche nell’ambito di specifiche intese, la sinergia tra i vari attori istituzionali che operano sul territorio lombardo è un fatto determinante, perseguito e da sempre al centro dell’attenzione; senza questa sinergia sarebbe impensabile vedere attuata, dalla Città Metropolitana di Milano fino al più piccolo dei comuni lombardi, la strategia disegnata a livello regionale.
Sul tema specifico della legge lombarda sulla rigenerazione urbana (l.r. 18/2019) è quanto meno impreciso affermare che è stata “bocciata” dalla Corte Costituzionale. La parte oggetto di attenzione della Corte è costituita da un unico articolo (il 40 bis, introdotto nella l.r. 12/2005 dalla citata l.r. 18/2019) che per altro Regione ha già provveduto a modificare proprio per eliminare i profili di criticità legati alla autonomia degli enti locali, e precisamente dei comuni, costituzionalmente garantita. Ad oggi tutte le altre misure introdotte dalla legge 18, ma anche lo stesso art. 40 bis come modificato, sono pienamente operative e hanno già dato importanti risultati, certificati anche da studi e ricerche (quali ad esempio quelli recentemente pubblicati dal Sole 24 Ore), che hanno messo in evidenza come RL sia la prima regione italiana in termini di territorio rigenerato e capitali attratti.
Noi siamo costantemente impegnati sui tavoli nazionali che trattano le materie sopra ricordate, convinti che la complementarietà delle varie azioni di governo sia un grande valore aggiunto, non solo per RL ma per la Nazione intera.
L’obiettivo, dunque, ora è dialogare in maniera fattiva con il livello statale affinchè sia adottato a tutti i livelli il principio di perseguire la complementarietà, abbandonando la contrapposizione che finora i governi di sinistra ci hanno opposto.
Pierfrancesco Majorino
Lo dicevamo anche prima parlando di autonomia, non basta trasferire competenze, bisogna anche entrare nei dettagli di come sono gestite le ricadute concrete sui territori. Noi siamo convinti che le scelte strategiche non si possano imporre ai territori, senza coinvolgerli, magari seguendo logiche di interessi clientelari più che le esigenze effettive delle comunità toccate. Le scelte vanno fatte insieme, coinvolgendo sindaci, amministratori e territori interessati. Il metodo del nostro agire sarà questo, in tutti gli ambiti. Per questo abbiamo previsto nel nostro programma di realizzare patti d’area, provincia per provincia, con Enti Locali e parti e forze sociali accademiche e così via, riguardanti finalità, scelte strategiche e obiettivi dello sviluppo territoriale. Questo riguarderà anche il fondamentale tema della rigenerazione urbana, che occupa un ruolo importante nel nostro programma. Nella legislazione lombarda sulla rigenerazione urbana manca qualunque riferimento al governo urbanistico unitario della così detta rigenerazione diffusa. Noi vogliamo cambiare questo approccio e introdurre uno strumento operativo di gestione unitaria e integrata delle operazioni di rigenerazione in ambiti urbani complessi, che preveda linee guida per la progettazione dei singoli interventi e norme che vincolino le operazioni di rigenerazione sui temi dell’accessibilità e della mobilità dolce, del sistema degli spazi aperti e verdi, dei servizi pubblici. In una prospettiva di contenimento del consumo di suolo, si può incentivare la conversione di parti di patrimonio privato attraverso politiche di garanzie e sgravi.
Letizia Moratti
Se restiamo prigionieri fra aspettative di una nuova normativa nazionale, ricorsi al TAR e questioni di costituzionalità, non credo che la politica riuscirà a fare molta strada. La sussidiarietà verticale deve (o dovrebbe) essere la strada maestra, nei rapporti istituzionali. So che molte cose non funzionano, la risposta da parte nostra sarà nella ‘accountability’, cioè nel seguire i processi in corso e nel rendere pubblici i risultati sullo stato di avanzamento dei progetti e relativa spesa. Un esempio: il “ciclo di utilità” delle infrastrutture deve essere completo, dalla progettazione ai tempi di realizzazione, alla manutenzione, ai costi di gestione, alla governance, con una rendicontazione trasparente e continua dei risultati ottenuti. Aggiungo che queste opere devono necessariamente essere realizzate attraverso la partnership fra pubblico e privato e gestite secondo il principio di sussidiarietà, appunto. Quanto ai rapporti con gli enti locali – un tema certo importante, che io non voglio sottovalutare – credo che ai cittadini interessi soprattutto una maggiore efficienza della pubblica amministrazione. Noi vogliamo una Lombardia completamente informatizzata nei servizi, a tutti i livelli, con una drastica delegificazione, sburocratizzazione e semplificazione delle procedure, sia per le imprese che per il pubblico. I Comuni hanno ancora molta strada da fare in questa direzione e la Regione, con noi al governo, sarà al loro fianco.
4- Nuovi bisogni sociali, disuguaglianze e solitudine. Quale aiuto dalla Regione?
Da dopo il covid si è smesso di parlare di solitudine. Eppure i dati dimostrano la crescita continua di diverse problematiche sociali (relative, per esempio, a: istruzione, natalità, rapporto educativo genitori-docenti, depressione giovanile diffusa e malattie psichiatriche in aumento, avversione al lavoro, etc.).
Si registra anche una preoccupante crisi dei corpi intermedi (politici, religiosi, associativi, realtà sociali di gruppo in senso lato), a cui consegue la mancanza di punti di riferimento e la dispersione dei rapporti autentici tra le persone.
Quali politiche di Welfare può mettere in campo Regione Lombardia a riguardo?
Attilio Fontana
Per quanto riguarda il sistema di welfare, posso dire che faremo tanto. Nessuno deve essere lasciato solo, soprattutto chi è più fragile o in situazioni di fatica: le politiche di welfare e di sostegno alle famiglie continueranno perciò ad essere un tema centrale per la Lombardia che guarda al futuro senza dimenticarsi delle difficoltà del presente, valorizzando tutte le forze più attive nella rete sociale della nostra regione.
Nel programma elettorale mi impegno a contrastare l’esclusione sociale con investimenti per promuovere progetti che coinvolgano reti di attori pubblici e privati – profit e no profit – accompagnarne e favorirne l’inclusione sociale e lavorativa, dando piena attuazione al Piano Regionale Povertà.
Proseguendo e rafforzando i percorsi che hanno già dato prova di efficacia e capacità di risposta ai bisogni, l’azione si concentrerà, dunque, su: il rafforzamento delle reti di prossimità, valorizzando il capitale relazionale e favorendo l’interconnessione dei cittadini con la comunità e con l’offerta del territorio, così che ogni cittadino si senta chiamato in causa, secondo logiche di community building, nella costruzione del benessere della propria comunità, e di inclusività rispetto alle situazioni di fragilità, disabilità ed emarginazione; la valorizzazione delle risorse esistenti all’interno delle diverse comunità (volontariato, terzo settore ecc.) con l’assegnazione di contributi ai distretti sociosanitari per interventi di coprogettazione con le realtà associative locali; lo sviluppo di punti unici di accesso, fisici e virtuali, sia come luoghi di fruizione che di condivisione e socializzazione, per consentire, anche attraverso le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, di intercettare i bisogni dei cittadini, potenziando così la comunicazione e l’informazione nei confronti della cittadinanza. Inoltre, abbiamo pensato specificamente all’aspetto del supporto psicologico puntando già su maggiori assunzioni di personale specializzato in psicologia nelle Aziende sanitarie e inserito la figura dello psicologo nelle Case di Comunità.
Di più, crediamo che l’eccezionale periodo pandemico abbia davvero scardinato i sistemi di socialità come li abbiamo sempre intesi e – i dati lo dicono – sia aumentata la domanda di servizi psicologici a tutti i livelli. Ecco perché abbiamo proposto un progetto di legge, che intendiamo riprendere all’inizio della prossima Legislatura, che consente di garantire con risorse SSN ulteriori servizi da parte degli psicologi.
Per quanto riguarda quella che definite “crisi dei corpi intermedi” il discorso è un po’ differente: la mia opinione è che la comunicazione social imponga una riflessione anche sul ruolo di quei soggetti intermedi che prima facevano da riferimento per i gruppi di persone o categorie. La politica ha iniziato a parlare direttamente al cittadino e questo non è un male, anzi, ha consentito di far arrivare messaggi in modo più veloce ed efficace; i contenuti – spesso iper semplificati – rischiano di livellare verso il basso il ragionamento che la politica vuole fare con i cittadini che li elegge a rappresentanti dell’interesse comune. Credo che da una parte occorra più socialità e meno schermi; dall’altra ritengo che i corpi intermedi possano e debbano recuperare il loro ruolo magari cambiando anche un po’ metodo, favorendo un’intermediazione più moderna e adatta al tempo attuale, che è sempre più orientato alla tecnologia.
Pierfrancesco Majorino
È una domanda molto ampia, innanzi tutto perché la nostra prospettiva è quella di un welfare che tocca tantissimi ambiti, seguendo il principio della centralità e dell’indivisibilità della persona. Per questo siamo convinti che serva un ridisegno organico del sistema di welfare regionale e la messa in atto di azioni orientate a ricucire il tessuto sociale tramite interventi finalizzati a garantire condizioni di sicurezza economica, contrastare la precarietà, ampliare le opportunità di vita individuali, rafforzare il capitale sociale e culturale, promuovere salute e benessere. Il welfare lombardo deve essere capace di concentrare l’assistenza per contrastare le situazioni di maggiore sofferenza, sviluppando, al contempo, la sua funzione emancipatoria e promozionale quale fattore di crescita e sviluppo. Le sue due funzioni, quella protettiva/compensativa e quella promozionale/di investimento sociale, infatti, non sono per nulla in contrasto, bensì devono entrambe caratterizzare i sistemi di welfare contemporanei, operando in maniera sinergica al fine di perseguire congiuntamente efficienza, efficacia ed equità. Perché ciò accada è necessario rilanciare il ruolo dell’attore regionale pubblico non solo come erogatore di prestazioni e servizi sociali, ma anche come regista e coordinatore degli interventi del privato sociale, del privato for profit oltre che delle azioni introdotte a livello municipale affinché il principio di sussidiarietà non si traduca in aumento delle disuguaglianze e le necessità vengano coperte in maniera omogenea ed equa. Anche per questo è indispensabile che la Regione riconosca e promuova il ruolo del Terzo settore come soggetto decisivo nella identificazione dei bisogni, nella programmazione delle politiche e nella implementazione delle innovazioni in ambito sociale e non come mero attuatore di decisioni assunte in assenza di un confronto autentico con i policy maker regionali.
Letizia Moratti
Seguo la traccia degli esempi e rispondo punto per punto. Nel campo dell’istruzione, noi intendiamo condurre una lotta senza quartiere alla dispersione scolastica e al fenomeno dei NEET, giovani che non studiano e non lavorano; nessuno più deve uscire dalle scuole della Lombardia senza almeno un diploma di apprendistato, per superare il mismatch fra domanda e offerta di lavoro. Per contrastare la denatalità, metteremo le donne – ma anche i loro mariti o partner – in condizione di conciliare la vita lavorativa con quella familiare, finanziando gli asili nido; vogliamo aiutare le giovani coppie con un fondo speciale e con agevolazioni fiscali, e anche intervenendo sui costi di immobili e locazioni, che nei centri urbani hanno raggiunto livelli insostenibili. Vogliamo incrementare le risorse per il servizio di pedagogista e psicologia scolastica nelle scuole primarie di primo e secondo grado. Il sistema sanitario dovrà tassativamente garantire la presa in carico dei disabili, in particolare delle persone con problemi di salute mentale. Aiuteremo l’associazionismo a tutti i livelli, sostenendo il turismo religioso, ciclistico, di montagna, enogastronomico e così via. Il nostro welfare sarà basato sul rilancio della medicina territoriale e di base, in particolare nelle zone più isolate e disabitate della regione. Con la informatizzazione dei servizi e la telemedicina, nessuno in Lombardia dovrà più sentirsi solo.
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