Un’importante branca della teoria economica, che va sotto il nome di Political economy, studia gli effetti delle elezioni politiche sulla finanza pubblica di un paese. Una delle proposizioni più significative sostiene che, quando in un governo di coalizione con due partiti uno guadagna molto in un’elezione e l’altro perde, sono dolori per il bilancio pubblico. Il partito vincente si sente legittimato non solo a rispettare le promesse fatte in campagna elettorale, ma anche a sostenere le proprie idee fondanti, se pur esclusive; il partito perdente sente di dover recuperare la base elettorale perduta con prese di posizione identitarie forti. Da tutto ciò può derivare un’esplosione della spesa pubblica in deficit se non scattano meccanismi e regole di salvaguardia.
Questa è la situazione che potrebbe emergere dell’esito delle elezioni europee in Italia. Lega e Cinque Stelle hanno entrambi nel cassetto una serie infinita di interventi che interessano i loro elettorati potenzialmente esplosivi, in termini di spesa pubblica, che verranno rivendicati e proposti, non appena terminati i festeggiamenti della Lega e le guerre interne del Movimento 5S. Unaflat taxmolto costosa e un federalismo differenziato poco prudente, da un lato, improvvide nazionalizzazioni e una pioggia di sussidi alle famiglie, dall’altro, saranno a breve termine all’ordine del giorno. E a nessuno verrà in mente di dire dove saranno trovate le risorse per finanziare questi provvedimenti, come a nessuno verrà in mente di tirare fuori, in sede di trattative, la questione dell’ineluttabile aumento dell’IVA che incombe. Salvini, ricordando gelido a Tria che ora non è il momento della prudenza ma del coraggio, ha chiarito che non sarà troppo influenzato dai vincoli di bilancio e di indebitamento fissati dai trattati europei. Al momento non è possibile sapere quale sarà l’atteggiamento della nuova Commissione rispetto ai paesi che violano le regole di disciplina fiscale. D’altra parte, Salvini si sentirà legittimato a non dare troppo credito alle indicazioni che vengono dalla Commissione attuale, nelle more del passaggio delle consegne. Quindi da dove potrà venire un po’ di freno alla smania spendereccia dei due partiti di governo, considerato che né il Presidente del Consiglio né il Ministro del Tesoro avranno gran voce in capitolo? Innanzitutto, dall’art. 81 della Costituzione, sugli equilibri di bilancio, con il presidio del Presidente Mattarella che certamente non mancherà. E’ vero che negli anni scorsi il vincolo è stato eluso, evocando le cause di eccezionalità con un voto delle camere a maggiore assoluta, ma si trattava di sforamenti contenuti e sempre al di sotto del 3% del deficit su PIL. Una violazione del pareggio di bilancio sopra il livello fissato dal Trattato di Maastricht sarebbe verosimilmente anticostituzionale, a prescindere dai voti che potrebbe avere in Parlamento. In secondo luogo, non dobbiamo dimenticare che i mercati si sono astenuti di prezzare in tempo reale il rischio sovrano dei nostri titoli, aspettando le elezioni. Non appena si scatenerà la rincorsa alla spesa pubblica faranno sapere il loro parere, moltiplicando le conseguenze che abbiamo imparato a verificare già con uno spread di 270 punti base. I due campioni della spesa vorranno sfidare le inesorabili leggi dei mercati finanziari? Queste seguono i numeri e la credibilità di governanti, guadagnata con i fatti e non con gli slogan
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