In una situazione economica così intricata è fondamentale disporre di previsioni economiche indipendenti il più possibile affidabili. Il 23 settembre, a termini di legge, l’Ufficio parlamentare del Bilancio (UPB), struttura indipendente non governativa, ha validato previsioni del governo sul quadro macroeconomico tendenziale (QMT) del NADEF 2022, quello a legislazione vigente. Il quadro programmatico (QMP) sarà stilato dal nuovo governo con la legge di bilancio. I rilievi di UPB scaturiscono da un’analisi complessiva dell’economia italiana basata su stime proprie e su stime di un panel di 4 Centri di ricerca indipendenti. Emerge che le previsioni del governo Draghi sulle principali variabili, segnatamente il PIL reale e nominale, da cui discendono anche le stime sull’andamento della finanza pubblica, non mostrano un disallineamento eccessivo rispetto alla mediana del panel UPB e quello specifico dell’UPB. Questo al netto degli elementi di incertezza, non facilmente quantificabili nei modelli econometrici. Si tratta dell’evoluzione della guerra in Ucraina (i modelli non contemplano interruzioni drastiche di forniture di gas), l’evoluzione della pandemia (nelle previsioni il Covid-19 è supposto endemico), interruzione delle catene del valore internazionali e la non integrale e tempestiva attuazione del PNRR.
La stima del governo sulla crescita del PIL reale nel 2022, 3,3% (3,1% nel DEF 2022), è quindi affidabile. Per il 2023 la stima NADEF, 0,6%, sconta 1,5 punti in meno rispetto al dato del DEF 2022, a causa dell’indebolimento del ciclo internazionale ed europeo che ha prodotto un sensibile peggioramento delle ragioni di scambio (aumento del prezzo delle materie prime e deprezzamento dell’euro) e dell’inflazione anche al netto di quella importata. La dinamica dei prezzi è contemplata nelle stime UPB sulla base di alcune ipotesi sulle variabili esogene e sulle proiezioni delle quotazione dei mercati delle materie prime, come noto molto volatili. Non si esclude che si aprano scenari per i quali il rientro delle dinamiche nominali previste per il 2023 non siano del tutto rispettate.
L’elevata dinamica dei prezzi induce ad una variazione sostenuta del PIL nominale, calcolata dal panel UPB in circa il 10% cumulato nei due anni del profilo NADEF 2022-23. Questo ha effetti significativi sulla dinamica del debito. Il debito su PIL passa da 145,4 nel 2022 al 143,2 nel 2023, con una riduzione quindi del 2,2%. Con un deficit primario del 1,1% e una spesa per interessi di 3,9% (un peggioramento complessivo quindi del 5%), ciò significa che, al netto delle trascurabili partite finanziarie, il contributo della crescita del PIL nominale alla riduzione del debito su PIL è stato del 7,2% in un anno. Considerando che il tasso di crescita reale è stimato nel 2023 di poco superiore allo zero, la gran parte del contributo viene proprio dall’inflazione. Con una crescita dei tassi di interesse repentina per contrastare l’inflazione questo contributo verrebbe vanificato, per il balzo della spesa per interessi. D’altra parte non è neppure produttivo lasciare scivolare in alto l’inflazione che riduce i redditi reali e quindi i consumi. Questo delicato equilibrio sarà però compito delle autorità monetarie internazionali, BCE in testa. Il nuovo governo dovrà, invece mantenere il tendenziale del saldo primario che prevede un surplus dello 0,5% nel 2023, cosa che non potrà essere conseguito se si darà corso a tutte le promesse elettorali delle compagini che hanno vinto le elezioni.
Altra stima interessante validata da UPB riguarda il contributo dei recenti aiuti a famiglie e imprese al livello del debito sul PIL. A partire dal 2022, il rapporto debito/PIL sconterà un incremento a regime di circa 3 punti percentuali di PIL. Mantenendo però il profilo tendenziale del saldo primario, il debito su PIL (al netto dei sostegni) andrebbe sotto il 140% nel 2023 e continuerebbe a scendere. Sono indispensabili avanzi primari moderati, intorno allo 0,5%-1% per mantenere questo sentiero, che non impongono eccessivi sacrifici, in specie se saranno determinati dal controllo della spesa pubblica improduttiva (spending review). Questa è l’eredità del governo Draghi che non andrebbe dissipata.
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