Lunedì 7 dicembre è stato presentato in Consiglio dei Ministri il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNNR) che prevede la destinazione all’Italia di 193,1 miliardi del Recovery and Resilence Facility (RRF), la parte principale dei 208,6 miliardi di cui si compone il programma NexGen EU. L’approvazione è stata rinviata per il mancato accordo per quanto attiene la governance di questi fondi.
Quale giudizio sui contenuti? Qualche economista ne ha cantato le lodi.
Come Federico Fubini ha a più riprese, quasi in solitudine, messo in luce sul Corriere, solo i sussidi a fondo perduto (65,5 mld) e circa un terzo dei 127,6 miliardi di prestiti (40 mld) sarà destinata ad investimenti e interventi autenticamente addizionali. Questa rinuncia è finalizzata a non gravare troppo sul già enorme livello del debito pubblico (158,5% del PIL) che così aumenterà solo per l’ammontare dei nuovi prestiti. La parte restante dei prestiti (87,6 mld) verrà utilizzata per investimenti già impegnati e altri interventi, anche di spesa corrente, che sarebbero stati finanziati da risorse nazionali, cioè con titoli già emessi o da emettere. In altri termini, è come se il Governo “ristrutturasse” il debito del Tesoro, sostituendo il creditore più caro, il mercato, con uno meno costoso, il RRF. Tuttavia, la spesa in conto capitale di 87,6 miliardi è già nel bilancio tendenziale della pubblica amministrazione, per cui per i prossimi sei anni la spesa programmata, da cui deriva la spinta più propulsiva all’economia, non è più di 193,1 miliardi, ma di 105,5.
In sostanza si può dire che non si punta sugli investimenti per accrescere la produttività ma solo sulla spesa corrente per la sopravvivenza immediata? Ma in questo modo si azzera la possibilità della UE di approvare la destinazione degli investimenti, l’Italia presenta la richiesta di copertura a piè di lista
In effetti la possibilità di destinare parte dei fondi dell’RRF alla “sostituzione” del debito vecchio e costoso è stata concordata con la Commissione, preoccupata anche lei per la crescita abnorme del nostro debito. Unica condizione è che siano interventi inseriti nei sei settori di cui si impone il nostro PNNR, perché così l’effetto sulla produttività è sperabile che ci sia. Quello che si perde è l’effetto sul PIL degli 87,6 miliardi già inseriti nel tendenziale e quindi già “incamerati”. Quanto alla spesa corrente (o alle minori entrate) nell’NexGenEU non va demonizzata in quanto tale ma va considerata dove è destinata. Se è destinata alle riforme (giustizia, istruzione, efficienza P.A., rimodulazione dell’imposizione diretta) è meglio di una tangenziale inutile.
Cosa si può dire sulla destinazione della quota residua degli investimenti? E chi sarà chiamato a gestirli?
Non è dato sapere quali siano gli investimenti addizionali, in quali dei sei settori del NexGen EU siano allocati e nemmeno se siano tutti dell’amministrazione centrale o anche locale, in particolare regionale. Mi auguro che nei tavoli organizzati dalle numerose task-force di Conte non passi, più o meno surrettiziamente, il disegno di ristrutturare gran parte del debito delle regioni con il RRF, lasciando le briciole per le azioni espansive. Al riguardo, il ministro Amendola, in Conferenza Stato Regioni, ha tranquillizzato sul ruolo che saranno chiamate le regioni a svolgere.
E cosa si può dire delle azioni per accelerare l’impiego delle risorse e la realizzazione degli investimenti? L’UE chiede che accanto alla destinazione delle risorse si approvino riforme per migliorare la competitività del paese e la capacità di spesa: ce la faremo? Dopo un anno dal decreto Semplificazioni non abbiamo ancora i commissari per le opere strategiche
È lecito dubitare. Tra le riforme preannunciate vi è naturalmente quella della pubblica amministrazione, del resto mai mancata come annuncio in tutti i DPF degli ultimi anni. Qualcosa di più c’è sulla giustizia, ma il fatto che non ci sia ancora stata la levata di scudi delle bellicose categorie coinvolte non depone bene
Cosa si prevede per la Toscana dal PNNR?
Anche in Toscana si attende con ansia l’avvio della parte applicativa del PNNR, perché da questa deriva l’effettiva localizzazione sul territorio degli interventi in sei settori: digitalizzazione, green economy, infrastrutture, istruzione e ricerca, parità di genere e salute.
La nostra regione dovrà contrattare, proporre progetti ben strutturati e convincenti e soprattutto fare presa su una maggiore capacità attuativa a livello toscano degli interventi, tanto già stanziati quanto addizionali. Sulle infrastrutture le idee sono piuttosto chiare: l’assessore Baccelli ha presentato in Commissione un lungo elenco che riproduce tutte le opere che la Toscana attende da decenni, ma che dovranno essere però completate entro il 2026 stante il NexGenEU. È nella verifica dell’attuazione (tempi previsti, scadenze periodiche, stati avanzamento) che infatti si giocherà la vera partita sui fondi NexGen EU. In questo contesto la Toscana troverà la sua fondamentale missione per i prossimi anni.
Per calarsi nel concreto, che significato ha, come si colloca in questa strategia la scelta della superholding regionale dei servizi pubblici in Toscana?
Si tratta del più grande progetto di riassetto economico del settore dei servizi a rete mai formulato nella nostra regione, che si avvia forse in ritardo di un decennio. I benefici economici saranno notevoli in termini di tutela ambientale, investimenti, livello delle tariffe. I cittadini, avveduti e non ottusi da ideologie, faranno bene a segnare su un foglio i politici che per beghe loro lo avverseranno per comportarsi di conseguenza col voto alle prossime amministrative.
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