E così Draghi si è dimesso. Poche parole. Asciutte come è nello stile dell’uomo. E’ saltata la maggioranza di unità nazionale. Si può dire che ha ripreso il sopravvento il blocco gialloverde che, in fondo, aveva vinto le elezioni, e che aveva lasciato il campo prevalentemente per errori e incapacità di gestione politica dei propri leader piuttosto che per il venire meno di un “appoggio popolare”. Certo Lega e Movimento 5 stelle, stando ai sondaggi, hanno perso voti e credibilità nel corso della legislatura. Ma la cultura populista da questi rappresentata non sembra aver ceduto né sul fronte culturale nè su quello politico. L’Italia rimane un paese affascinato da slogan immaginifici e da posizioni populiste e sovraniste completamente incapaci di portare il paese fuori da una profonda crisi strutturale e di posizionarlo dentro un ruolo di peso nel sistema geopolitico europeo e internazionale.
Draghi ha cercato, pur fra molte contraddizioni e alcune debolezze nella scelta dei propri più stretti collaboratori di Governo, di dare all’Italia un programma diverso e un ruolo diverso in Europa e nel Mondo. Ma la spinta propulsiva è parsa fin dal primo momento appesantita dalla natura della maggioranza delle forze in Parlamento e, cosa non trascurabile, da una certa idea di paese che tali forze hanno contribuito a rafforzare e a solleticare nell’opinione pubblica.
Un paese ancora troppo alla ricerca del riscatto rispetto ad un’ipotetica colpa della politica, convinto che lo Stato debba essere non tanto un regolatore e un creatore di opportunità e di eguaglianza delle posizioni di partenza quanto piuttosto un elargitore di compensazioni e di risarcimenti per livelli di reddito e di ruolo non raggiunti da gruppi e individui nel gioco dell’economia.
Più volte il Governo nel suo insieme e il primo Ministro in persona hanno tentato di dare una svolta a questa “narrazione prevalente”. Con accenni all’importanza dell’impegno e della responsabilità dei cittadini e dei singoli soggetti sociali per uscire dalla crisi del paese. Ma tutte le volte che c’è stato un appello alla “responsabilità” l’opinione pubblica si è “scollata” dall’indirizzo del Governo per rifugiarsi nella “confort zone” garantita dalla gran parte dei partiti presenti in Parlamento. Sia nella maggioranza che nella opposizione.
Il Paese non cresce perché le forze sociali e i soggetti singoli e collettivi non vogliono crescere. Essendo più interessati a difendere o ad aumentare privilegi o ad inserirsi con più peso nella redistribuzione pubblica piuttosto che nel sostenere il processo di innovazione e di crescita che richiede a tutti responsabilità e cambiamento.
Il tentativo di giocare la carta di un “Governo alieno”, sostenuto dalla credibilità internazionale ma mai fino in fondo “digerito” dal corpaccione nazionale è fallito. E non poteva metterlo in discussione se non il partito più rappresentativo dell’Italia del “disimpegno e dell’incapacità”.
E ora? Chissà, forse sarebbe possibile continuare, anche per sostenere il processo di investimento sorretto dal PNRR, con un altro Governo per arrivare alla fine della legislatura. La “truppa grillina” non sembra così compatta per andare alle elezioni e potrebbe spostarsi in massa verso il Gruppo responsabile capeggiato dal Ministro degli Esteri. Ma avrebbe un senso un nuovo “Governo alieno” senza la forza e la spinta dell’unico politico alieno che in questo momento solca la politica italiana?
Penso di no. Penso che sarebbe una medicina troppo leggera non dico per guarire il paese ma neppure per fermarne la malattia. Immagino l’assalto all’arma bianca alla Legge di Bilancio del prossimo ottobre. Con Salvini che vuole mettere 50 miliardi nelle tasche degli italiani e gli altri partiti che non si farebbero trovare impreparati nel guidare la loro diligenza.
E allora non resta che una possibilità, oltre ovviamente al naturale ricorso alle elezioni. Che sia ancora Draghi a guidare il “Governo alieno” con un mandato forte di seguire in prima persona il processo di avvio del PNRR, di essere il garante che la Legge di Bilancio sarà una legge seria e non una “passerella preelettorale” ed infine che su tre o quattro punti di innovazione l’ultima parola sarà la sua.
Di fronte a questo impegno avrebbe ancora senso un Governo Draghi. Altrimenti che vinca lo sfascio e che ognuno se ne prenda la dovuta responsabilità. Certo non è una grande prospettiva per il paese. Ma le forze in campo sono queste. Chi vivrà vedrà.
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