La crisi è finita. Diciamolo non è durata tanto. Dire che i mesi di ritardo nel mettere a punto il Recovery Plan dipendono dall’apertura della crisi è una cosa senza senso. Altri sono i motivi. Ma lasciamo fare. Nella battaglia finale, al Senato, il Governo ottiene la maggioranza dei voti 156 contro 140. Ed è quindi salvo. Italia viva con 16 astenuti ha la possibilità di dire che il Governo ha tenuto grazie alla propria astensione e quindi ottiene un minimo di riconoscimento. Fine e palla avanti.
Ma non è un pareggio. Il Governo e il suo premier Conte escono rafforzati da questa crisi. Sul piano comunicativo l’uso della pandemia a fini di stabilità è passato. Vedremo nei sondaggi in che misura e verso quali gruppi ma questa lettura della crisi ha avuto effetto nella comunità nazionale impaurita e segnata dalla lunga, e non ancora conclusa, crisi sanitaria che si accompagna ad una durissima crisi economica. Gli interventi di Conte, del M5s e di Leu sono stati da “manuale” in questo senso. Chi ha provocato la crisi è irresponsabile, il Governo deve andare avanti perché non c’è alternativa e il momento è difficile. Il Pd si è allineato su questa linea comunicativa anche se con una diversa, più ampia, impostazione politica.
Renzi e Italia viva hanno parlato a lungo, su tv e giornali, di contenuti. I ritardi nel recovery fund, la gestione non eccezionale della pandemia, la crisi economica fra le più dure nel mondo, una cattiva organizzazione della scuola. Contenuti condivisi in maniera trasversale in tante parti politiche, sindacali e culturali del paese. Ma che hanno fatto fatica ad emergere in quanto offuscate dal messaggio vincente della “irresponsabilità della crisi nel mezzo ad una pandemia”. E qui viene la prima riflessione da fare. Renzi aveva in mano un “sacco pieno di contenuti” che poteva utilizzare per criticare il Governo e per portarlo sulle proprie posizioni. La gestione di tale battaglia, caratterizzata da un forte isolamento (il solito Renzi contro tutti) e da una azione estrema (le dimissioni dei ministri), hanno di fatto reso inutilizzabile il contenuto del sacco. E questo è un male per Renzi, per Italia viva e in primo luogo per il paese. Perché quei temi sono ancora tutti in Agenda. E forse è un male anche per il Governo. Perché dalla messa a punto di quei temi il Governo sarebbe uscito davvero rafforzato con un patto di legislatura vero e credibile. Non come quello che si pensa di fare in seguito alla chiusura, avvenuta nei modi e nei contenuti che abbiamo visto in Parlamento, di questa crisi.
Insomma Renzi con il suo “errore di metodo” ha dato una carta in più a Conte. Ma stiamo attenti. Conte e il Governo possono gioire per aver vinto questa battaglia e per aver costretto Renzi alla difesa ma non sembra che siano entrati in un percorso sicuro, serio e credibile per vincere la guerra. Con i numeri di questa maggioranza e con il tipo di approccio di questa maggioranza, ricordiamolo fondata su una alleanza che ha una forte caratterizzazione statalista e assistenzialista, è difficile prevedere un rilancio sia dell’azione politica sia della ripresa dell’economia. Non basta mettere in maggioranza due o tre parlamentari, definendoli europeisti e liberali, per dare una dinamicità al Governo. Italia viva, nel suo piccolo, rappresentava una pattuglia di impostazione liberaldemocratica. Con una attenzione maggiore all’impresa, al lavoro professionale e allo sviluppo innovativo. E la sua mancanza si farà certamente sentire allorquando si tratterà di gestire i fondi europei per la ripresa. Altra cosa sarebbe stata la ricerca di un allargamento della maggioranza, decisamente di sinistra, verso movimenti e partiti riformisti che, oltre a Italia viva, cominciano ad emergere nel panorama politico italiano come più Europa e Azione e altri ancora che sarebbero stati certamente utili a far fare un “cambio di passo” al Governo. Certo questo allargamento avrebbe presupposto la messa in discussione del premier Conte. Non dico la messa da parte. Ma l’accettazione che su un nuovo impianto politico di maggioranza anche il premier poteva cambiare. Ed invece si è deciso di tenere fermo il premier, di tenere ferma la barra dell’alleanza tutta spostata a sinistra, cercando di arricchirla con qualche vecchio marpione di “centro” (senza nessuna offesa personale), sperando per di più non solo di andare avanti nell’oggi ma di presentare questa configurazione come una possibile alternativa alla vittoria del centrodestra alle prossime elezioni. Auguri.
A Renzi e Italia viva si aprono ora due strade. La prima è quella di giocare per tutta la durata della legislatura, fino a che durerà, il ruolo del “guastafeste buono”. Si votano le cose importanti, che hanno ricadute sui cittadini, ma si blocca tutto il resto a meno di trattative defatiganti. Con l’intento di rientrare, non appena il Governo si fiacca, nella maggioranza. Magari con un potere di trattativa più rilevante. Una prospettiva che può avere un qualche interesse in questa legislatura ma che risulta perdente non appena, con la fine della legislatura, Renzi e IV perderanno l’attuale consistenza parlamentare.
La seconda è invece di prendere atto che, sia in questa legislatura ed ancora di più nella prossima tornata elettorale, il ruolo di Renzi e di Italia viva potrà avere un qualche peso laddove Renzi non sarà più solo contro tutti ma sarà riuscito a creare un’area politica ampia, variegata e plurale di stampo liberaldemocratico ed europeista, insieme e d’accordo con gli altri leader che si muovono in quest’area nel panorama politico italiano. E’ un lavoro più lungo che richiede un approccio federativo, una organizzazione, riti e strumenti democratici e la consapevolezza di non poter essere più un capo assoluto ma piuttosto un leader democratico di un partito democratico.
Molti, abituati a pensare che sia più importante parlare del carattere di Renzi piuttosto che di politica, pensano che questa seconda strada sia preclusa. E non solo per il carattere di Renzi ma anche per quello di tanti leader dell’area liberaldemocratica. Cioè ci sarebbe un bisogno oggettivo nella comunità nazionale di un’area liberaldemocratica, se ne vedono qua e là emersioni e aggregazioni temporanee, ma non esistono ad oggi soggetti in grado di interpretarla e farla crescere. Noi pensiamo invece che la realtà oggettiva abbia la testa dura. E ai “soggetti dal carattere difficile” rivolgiamo la domanda: se non ora quando?
Luciano
Ambo