A metà degli anni Sessanta, Bruno Martino portò al successo “E la chiamano estate”, una canzone in cui dolcemente si doleva per l’assenza del suo amore proprio in questa stagione e perché “il profumo del mare non lo sento, non c’è più”. Ma non era per motivi ecologici che l’autore non avvertiva l’aroma marino, semmai per la lontananza da lei. Ben altre e molto meno poetiche sono le mancanze dell’estate dei nostri tempi, se paragonate a quell’epoca dorata. In un articolo dal titolo “La morte dell’estate” pubblicato da Bloomberg, lo storico Niall Ferguson sostiene che, con il rialzo persistente delle temperature, converrà abbandonare il sogno di abbronzarsi sulle spiagge, provando a reinventare completamente luglio e agosto. Dopo la pandemia, si è verificato un ritorno in massa alle vacanze estive, soprattutto al mare, ed è aumentata “la quota di mercato delle destinazioni al sole e al surf”. Tuttavia, il cambiamento climatico parrebbe annullare questo effetto virtuoso, rendendo rischiosa la villeggiatura o trasformandola in un vero e proprio calvario. A parere del giornalista esperto di dati John Burn-Murdoch, il riscaldamento globale, piuttosto che una una teoria, rappresenta una realtà immanente. Tanto è vero che sta mutando la direzione dei vacanzieri europei, spinti a spostarsi dalle coste alle colline, alle aree interne e a quelle del nord meno torride. Eppure, non si può dire che le montagne siano al riparo dal caldo e neppure che le ultime ondate di afa siano eccezionali, nonostante i nostri patimenti. Per Ferguson, in gran parte dei Paesi europei l’estensione delle superfici boschive arse dagli incendi quest’anno è inferiore alla media del 2006-2022 e le zone più colpite sono quasi tutte nel nord Europa. Questi disastri sono diminuiti del 15% in Spagna, del 21% in Italia e dell’85% a Cipro, mentre l’innalzamento delle temperature riguarda le montagne quasi quanto le spiagge. Si tratta di dati controversi, ma che fanno riflettere. Lo studioso della Hoover Institution dell’Università di Stanford, infine, prevede che “le persone vivranno e lavoreranno dove i posti di lavoro sono abbondanti e/o le tasse sono basse”, a prescindere “dalla crescente probabilità di condizioni meteorologiche estreme”, che, viceversa, condizionano pesantemente la villeggiatura estiva. La differenza tra le due prospettive sta nel fatto che, mentre la vacanza è solo un tempo limitato di svago, una residenza è un investimento a lungo termine e richiede, perciò, scelte meno volatili. Secondo Simon Kuper del Financial Times, l’Europa si sta riscaldando due volte più rapidamente rispetto alla media globale, avendo toccato il picco canicolare più alto di sempre con l’estate del 2022. La villeggiatura può essere modificata dal clima, ma contribuisce ad alterare il clima stesso, attraverso, ad esempio, il trasporto turistico, che è all’origine di circa il 5% delle emissioni nocive. La concentrazione delle vacanze, allora, potrebbe subire non solo un movimento geografico verso territori più freschi, ma pure uno spostamento temporale, passando dai mesi estivi alla primavera o all’autunno. Questi mutamenti avranno effetti traumatici, specie per i Paesi più poveri e i lavoratori del turismo. Ma anche l’Europa corre il pericolo di un ridimensionamento di questo comparto essenziale, che in Italia corrisponde al 13% del Pil e al 9% circa dell’occupazione. Nonostante queste trasformazioni di fondo, è difficile pensare – a parte gli Stati Uniti, unica economia avanzata priva di ferie retribuite per i lavoratori – a un luogo senza vacanze e ricreazione. Tuttavia, come ha rilevato ancora sul Financial Times Pilita Clark, lo scorso anno il 29% dei cittadini europei non si è potuto permettere neppure una settimana di villeggiatura. Ben diversamente dall’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary, che avrebbe dichiarato di andare al mare soltanto per costruire castelli di sabbia con i suoi bambini, ma per non più di cinque minuti! L’altro aspetto che incide sulla propensione alle vacanze è costituito dall’incremento dei prezzi e dalla maggiore difficoltà a godere di un periodo di stacco dal lavoro per ragioni economiche. In Italia, contrariamente alle previsioni, questa estate si registra un calo fino al 30% della domanda interna, che si aggiunge alla contrazione volontaria delle ferie, generando il fenomeno delle “micro-vacanze” limitrofe alla propria regione o una drastica rinuncia. I forti rincari rispetto al 2022 per i trasporti (i biglietti dei voli domestici a luglio sono aumentati del 26%), gli alberghi (maggiorati di oltre il 17%), i pacchetti vacanza (del 17%), i ristoranti e i bar (di più del 6%) hanno determinato una riduzione dei flussi turistici, penalizzando le mete nazionali. Da questo quadro, insieme all’adozione di politiche di impatto immediato, emerge la necessità, a livello europeo e nazionale, di farsi carico più decisamente di una svolta verso la bioeconomia circolare, l’unica in grado di fornire risposte strutturali ai problemi del clima e dell’ambiente, e di riavviare il processo generale di sviluppo. Speriamo, quindi, di non dover concludere – ricordando il motivo di “Estate”, sempre di un grande chansonnier come Bruno Martino – che alla fine prevarrà l’odio per la stagione estiva, perché al posto del “sole che ogni giorno ci donava” e degli “splendidi tramonti che creava”, “adesso brucia solo con furor”. In ogni caso, è chiaro che la dimensione delicata e spensierata di un film indelebile di Jacques Tati, quale “Le vacanze di Monsieur Hulot”, è definitivamente alle nostre spalle, lasciando il passo, anche in un periodo solitamente caratterizzato dalla sospensione dei patemi della vita quotidiana, all’incertezza e all’apprensione per il futuro.
(questo articolo, già pubblicato dal quotidiano Il Mattino, è ripreso con il consenso dell’autore)
Lascia un commento