La riforma Cartabia del processo penale ha ovviamente tenuto banco nelle passate settimane ed è stata al centro delle attività di governo, che è riuscito a superare lo scoglio dell’ala dura del giustizialismo grillino. Ma non è che con questo successo si possa considerare conclusa la partita della riforma della giustizia; ci sono altri obiettivi da raggiungere prima di cantar vittoria: la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti, tanto per dirne uno irrinunciabile. Per questo confidiamo nell’esito dei referendum.
Adesso è arrivato il momento di mettere mano a un’altra questione che non può più essere rimandata, anche perché la pausa ferragostana si avvicina e subito dopo saremo a settembre, quando si dovranno riaprire le scuole e riportare i nostri ragazzi tra i banchi. Possibilmente in sicurezza, se non si vuole rischiare di ripetere il caos dello scorso ottobre, che poi ebbe come logica conseguenza la chiusura delle scuole e la didattica a distanza.
Cosa abbia comportato la Dad per il secondo anno consecutivo lo abbiamo appreso recentemente dai risultati dei test Invalsi, che hanno certificato livelli di apprendimenti generalmente scarsissimi alla fine della scuola media di primo grado, come pure nelle scuole superiori che hanno diplomato studenti con serie problematiche persino nella comprensione di normali testi scritti. E stendiamo un velo pietoso sui risultati dei test riguardanti la matematica.
Non ci sarebbe tanto da scervellarsi su cosa fare per mettere le scuole in sicurezza e permettere di ritornare alla tradizionale didattica in presenza (nonché alla sana socialità e finanche al naturale livello di confusione nelle classi che è sempre meglio dell’asettico rapporto docente-alunni tramite un computer). Ce lo hanno spiegato i presidi attraverso il portavoce della loro associazione; lo ha ribadito il ministro dell’Istruzione Bianchi; e lo avevano già detto autorevoli voci del mondo della scienza e della sanità.
E’ veramente semplice e non bisognerebbe perdere tempo a ripeterlo: occorre vaccinare in primis tutto ma proprio tutto il personale della scuola; e subito dopo gli studenti da una certa età in poi, secondo le indicazioni e le evidenze scientifiche.
Ma siccome esistono nel mondo della scuola (sicuramente anche altrove) molti che continuano a diffidare della scienza e vedono complotti ovunque per cui “i vaccini meglio evitarli tanto a me il Covid non mi fa un baffo”, una significativa porzione di insegnanti non si è ancora vaccinata.
Allora che fare con questi? E con gli studenti? Li si deve obbligare a vaccinarsi oppure no?
Ecco la questione che si porrà necessariamente in primo piano nei prossimi giorni all’attenzione di Mario Draghi e dei suoi ministri.
Intanto si sono già levate le voci dei difensori a tutti i costi della libertà di non vaccinarsi: sia all’interno dei partiti che sostengono il governo (Salvini e molti big dei Cinquestelle), sia nell’opposizione (Giorgia Meloni); i quali parlano della necessità di riportare i ragazzi a fare lezione nelle classi in sicurezza ma non ci dicono come: tenendo aperte le finestre anche a gennaio e febbraio? indossando per sempre le mascherine? spruzzando disinfettante in continuazione?
Aspettiamoci contestazioni anche da parte dei sindacati della scuola, nel caso il governo volesse attuare l’obbligo vaccinale: abbiamo già sentito le dichiarazioni bellicose di Maurizio Landini segretario generale della CGIL, allorquando gli imprenditori di Confindustria lo hanno proposto per i lavoratori delle industrie.
Che farà dunque il presidente Draghi? Affronterà la questione di petto, oppure tenterà una mediazione? Di sicuro, vedendo come si è comportato fino ad oggi, proverà per prima la strada della mediazione; ed è quindi molto probabile che sentiremo una sua accorata raccomandazione al personale della scuola (docente e non docente) a vaccinarsi. Ma sono pronto a scommettere che il suo appello non sarà sufficiente a convincere tutti.
E allora, se davvero si vuole mettere fine alla didattica a distanza e tornare a fare scuola sul serio, garantendo così il diritto fondamentale all’istruzione, bisognerà necessariamente prendere delle decisioni anche se impopolari o duramente contestate. I grandi leader, a volte, è proprio questo che fanno.
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