Ben fatto e documentato il Data Room della Gabanelli sui tirocini, anche se i dati non sono proprio “in anteprima” come dichiara l’articolo: si rintracciano facilmente all’URLhttps://www.anpal.gov.it/documents/552016/587068/n.14-volume_monitoraggio_tirocini.pdf/ebfa7c09-bbb8-2262-b5ae-62061ec5ee8a?t=1622712458639.
Merita comunque qualche puntualizzazione, in relazione ad una “musica di sottofondo” che, evidentemente influenzata dall’opinione del Ministro del Lavoro, tende a regalare al tirocinio una nota pensosa e allarmata nello svolgimento dell’analisi.
In primo luogo non ci troviamo affatto di fronte ad un dilagare incontrollato del tirocinio quale strumento di sfruttamento intensivo, come il sindacato denuncia costantemente. Come mostrano le tabelle pubblicate da Data Room nel 2021 siamo ancora significativamente sotto al numero sia dei tirocini, che dei tirocinanti che delle imprese coinvolte degli anni precedenti il Covid. Nessuna crescita selvaggia, quindi!
In secondo luogo gli esiti occupazionali degli stage (n.b. in questo contesto stage e tirocinio sono termini intercambiabili): gli esiti positivi sono arrivati al 58,5% nel 2018, flettendo leggermente l’anno successivo che però era già influenzato dalla crisi Covid. Non disponiamo dei dati 2021, ma è presumibile che siano in risalita verso la quota 2018. E’ piuttosto raro che una Politica Attiva (tale può essere considerato il tirocinio) abbia una percentuale di successo quasi del 60%. Tanto per dare un’idea, la percentuale di successo di Dote Unica Lavoro della Regione Lombardia, considerata la più efficace tra le Politiche Attive messe in campo dalle Regioni, segnalava nello stesso periodo (monitoraggio di Settembre 20189) una percentuale di successo pari al 60,2%. Con tutte le osservazioni che si possono fare, è difficile negare che i tirocini siano uno strumento efficiente di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Si alza il sopracciglio diffidente però nel rilevare il tasso di “precarietà” insito nei dati: tuttavia i dati cumulati 2014-2019 dimostrano che il 46% delle assunzioni fatte entro 3 mesi dalla fine del tirocinio sono a tempo indeterminato (compresi, ovviamente, gli apprendistati). Ben superiore al 10% presentato da DUL Regione Lombardia. Da notare che è riscontrabile una relazione diretta positiva tra l’azienda che ospita il tirocinio e l’assunzione del tirocinante: nel 30% dei casi l’assunzione avviene presso la stessa impresa, e nella maggioranza dei casi entro i 10 giorni dalla conclusione dello stage. Anche la durata dei contratti non è poi così precaria: dopo 12 mesi dall’assunzione il 52% è ancora occupato, in particolare per oltre due terzi presso la stessa impresa, con lo stesso tipo di contratto. Un altro 22% ha cambiato tipo di contratto, ma è ancora occupato. Un risultato del tutto coerente col dato generale che registra come mediamente un terzo dei contratti a tempo indeterminato si chiuda entro 12 mesi, per dimissioni volontarie o licenziamento.
Un’ultima osservazione pare preoccupare particolarmente il Ministero, e chiamare provvedimenti: gli esiti positivi dei tirocini sono largamente proporzionali al livello di istruzione dei tirocinanti, della durata del tirocinio e dei suoi contenuti formativi. In testa alle assunzioni stanno di gran lunga le imprese industriali e le professioni tecniche e di operaio specializzato. Questo induce il Ministro Orlando ad argomentare che queste assunzioni sarebbero comunque state fatte senza l’esigenza di passare per il tirocinio, e ne conclude che lo stage debba essere riservato a soggetti con difficoltà di inclusione sociale.
E’ abbastanza tipico della mentalità burocratico-dirigista della sinistra italiana pensare che una politica per l’occupazione che funzioni senza bisogno di obblighi o interventi pubblici sia in realtà inutile, e forse perfino truffaldina: se li hanno assunti è perché ne avevano bisogno, li avrebbero assunti comunque. Una visione paleonovecentista, diffidente del mercato confidente nell’intervento amministrativo.
Non soffermiamoci qui su quale modello di politiche per l’occupazione possa produrre questo punto di vista; limitiamoci a segnalare come essa respinga una politica del lavoro proprio perché, paradossalmente, funziona, favorendo l’occupazione delle professionalità, dell’istruzione, dei settori innovativi della manifattura. I tirocinanti potrebbero essere assunti subito, senza passare attraverso il tirocinio? Vogliamo dire che il tirocinio è un surrettizio periodo di prova imposto dalle aziende? Ma l’alternativa, non esistendo un “contratto di inserimento”, è il contratto di apprendistato professionalizzante, che dura molto di più, probabilmente ridondante se non inutile sul piano formativo; e comunque meno appetibile anche per il tirocinante, al quale basta qualche mese per essere assunto.
Come abbiamo già notato, comincia a delinearsi un mercato del lavoro che funziona, con strumenti utili, tra cui anche lo stage, per le fasce di domanda-offerta più alte; meno efficiente per le fasce più basse.
Certamente però l’opzione di penalizzare le fasce più alte, creando difficoltà e ostacoli all’incontro tra domanda e offerta, non produrrà in automatico un miglioramento per le fasce più basse. Come l’abolizione dei voucher non ha comportato alcun miglioramento per i lavori occasionali.
Ma questo purtroppo appartiene ad un antichissimo pregiudizio (e Marx, poveretto, non c’entra) per cui colpire i ricchi significa favorire i poveri…
(articolo ripreso, con il consenso dell’autore da Mercato del Lavoro News n. 131)
Lascia un commento