Ci risiamo. Appena dopo un anno si verifica un forte evento alluvionale in Emilia-Romagna. Un
tempo queste cose accadevano ogni 20, ogni 50, ogni 100 o ogni 200 anni. Ora possono ripetersi
di anno in anno. E’ il cambiamento climatico che, nonostante i negazionisti di ogni risma, sta
facendo lentamente ma inesorabilmente il suo lavoro.
E inesorabile come l’accadimento di eventi estremi è la polemica politica che, in questo paese, ha
sempre di più il sapore degli scontri da bar che si cimentavano sulla contrarietà o meno della
“moviola in campo”. Impressionante, in tal senso, la domanda retorica e ironica del ministro
Musumeci che si è chiesto “en passant” cosa ne avesse fatto l’Emilia-Romagna dei soldi ricevuti
per la lotta contro il dissesto. Intanto quali soldi? Per le opere contro il dissesto, per gli interventi di
ripristino o per la copertura dei danni? Sono soldi diversi che sono gestiti da soggetti diversi e che
hanno effetti diversi in termini di sicurezza del territorio. E poi, il Governo nazionale ha la piena
potestà in tema di dissesto idrogeologico e, anche se il Presidente della Regione è stato definito
dalla legge come Commissario di Governo per la realizzazione delle opere, cionondimeno resta in
capo al “centro” l’obbligo di monitoraggio e di intervento attivo in caso di inadempienza. E quindi la
domanda di Musumeci doveva essere rivolta a sé stesso: a che punto è la realizzazione delle
opere? Ci sono ritardi rispetto ai cronoprogrammi? Dove e di che natura? E in che modo il
Governo si è attivato per superare eventuali ritardi e inadempienze? E poi magari, sempre en
passant, un bel confronto fra tutte le Regioni italiane per vedere davvero se è corretto criticare
l’Emilia-Romagna di fronte alle performance delle altre regioni. Anche la risposta dell’Emilia-
Romagna non è stata pertinente. Dire che il Governo ha nominato come Commissario il generale
Figliuolo è fuorviante. Il Generale è commissario per la gestione degli esiti dell’alluvione del 2023
mentre il Presidente della Regione rimane, per legge, Commissario per la realizzazione delle
opere. E di questa competenza e su questa attività sarebbe tenuto a rispondere.
Insomma, una polemica mal posta, inutile, intempestiva e che allontana sempre di più i cittadini, in
particolare quelli colpiti dalla calamità, dalle istituzioni e dalla politica. In un recente sondaggio in
Europa gli italiani risultano avere le percentuali più alte di sfiducia nelle istituzioni. E questo è un
male. Continuiamo così, il Titanic procede e l’iceberg lì se ne sta fermo e imponente.
Ma, fuor di polemica, cosa si potrebbe e si dovrebbe fare per combattere questi eventi sempre più
ricorrenti. Lo si è detto molte volte. Si è gridato al vento: prevenzione, prevenzione e prevenzione.
Ma prevenzione non significa solo mettere un po’ di soldi, così a caso e in maniera disordinata ad
opera dei diversi ministeri che hanno a che vedere con la risorsa acqua: il ministero dell’ambiente,
quello dell’agricoltura, quello delle infrastrutture e la presidenza del Consiglio con Casa Italia.
Significa rispondere in maniera appropriata all’obiettivo 6.5 dei sustainable goals dell’Onu che
richiede di Implementare entro il 2030 una gestione delle risorse idriche integrata a tutti i livelli e di
adottare il principio, sostenuto in letteratura scientifica, dell’One water che punta a trattare il tema
acqua in maniera unitaria e coordinata, sia la parte siccità che quella alluvioni, da parte delle
istituzioni nazionali e internazionali.
In Italia lo strumento per attuare la prevenzione in un contesto unitario e coordinato esiste. È il
PNACC, ovvero il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. È un Piano gestito, si
fa per dire, dal ministero dell’ambiente e che invece dovrebbe essere preso in carico dalla
presidenza del consiglio con un “alto coordinamento e indirizzo” verso tutti i ministeri e verso tutti
gli enti che hanno una qualche competenza sull’acqua.
Attualmente il Piano è privo di soldi e ha una governance del tutto insoddisfacente. Si tratta di
ristrutturarlo, farlo diventare davvero un Piano, immettendo Governance, Soldi e Monitoraggio
attivo, e di passarlo alla presidenza del Consiglio.
Ma quanti soldi dovremmo mettere? In un libro recentemente scritto a doppia mano con l’amico
Erasmo d’Angelis, La nuova civiltà dell’acqua, Polistampa, in chiave draghiana abbiamo avanzato
per il tema acqua una proposta decennale di 176 miliardi. Sono tanti rispetto ad un volume di
risorse attualmente realizzate dai più diversi soggetti di circa 6 miliardi all’anno, ma sono la misura
giusta per cominciare a prevenire i fenomeni sempre crescenti di siccità e di alluvioni.
Fuori da questo impegno di lungo periodo, con una forte guida unitaria centrale e quindi regionale
e con una gestione attiva di intervento centrale su blocchi, ritardi e inadempienze in tema di opere
strutturali e non strutturali (cioè quelle legate alle allerte, alla informazione e formazione della
popolazione, all’autodifesa dei cittadini, etc) resta la confusione dei ruoli, gli scontri da bar e il
finanziamento a pioggia senza grandi risultati.
Per i politici di basso livello è più facile, e forse anche più redditizio in termini di consenso,
occuparsi delle calamità quando avvengono, promettere rimborsi e ristori per i danni e mettersi,
magari con la fascia tricolore, alla testa dei cittadini giustamente arrabbiati.
Ma la soluzione o, meglio, la mitigazione, del problema acqua sta altrove. Nel Rapporto Draghi si
individua la filosofia giusta. È ora della politica e delle istituzioni di darsi una mossa. Certo non
mirata alle prossime elezioni regionali ma che punta a dare una risposta alle prossime generazioni.
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