“Sia lodato Gesù Cristo!”. Questa fu la prima parola pronunciata da San Giovanni Paolo II (di cui questo 18 Maggio ricorre il 100° anniversario della nascita) nell’affacciarsi alla loggia di San Pietro, quel 16 Ottobre del 1978: una parola di lode a Cristo, il Redemptor hominis[1], che sempre fu da lui posto al centro del suo insegnamento. Anch’io, ragazzino, come milioni di persone ero davanti alla Tv a vedere chi fosse questo nuovo Papa il cui nome, udito poco prima in una pronuncia incerta, mi era sconosciuto. Quindi, come tutti, ascoltai quell’inconfondibile accento con il quale, presentandosi, disse che veniva “di un paese lontano” e, quasi scusandosi, diceva: “Anche non so se potrei bene spiegarmi nella vostra… la nostra lingua italiana, se mi sbaglio mi corrigerete[2]”.
Così conoscemmo Giovanni Paolo II: primo non italiano dopo quasi cinque secoli ebbe da subito un rapporto speciale, privilegiato, con il nostro paese. Ciò non è strano, ovviamente, essendo lui il Vescovo di Roma, ma non scontato: la fecondità del suo Magistero affonda le radici anche in quella empatia che si stabilì immediatamente tra lui e la gente. Questo legame fu generato anche a partire da quello che definirei un Magistero dei gesti; tutti ci ricordiamo delle notissime espressioni che il Santo pronunciò nella sua Omelia per l’inizio del Pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo![3]”. Tuttavia riguardando i filmati d’epoca si è colpiti anche da un gesto che, di tali parole, costituisce come un pendant: alla fine della celebrazione, salutando l’assemblea, egli impugnò con entrambe le mani la sua croce pastorale e la innalzò mostrandola alla folla, in una ostensione che sembrava voler manifestare visibilmente le parole dell’inno antico: Vexilla Regis prodeunt; / fulget Crucis mysterium, / quo carne carnis conditor suspensus est patibulo.
Egli così manifestò da subito quello che sempre sarebbe stato lo stile del suo insegnamento, fatto non solo di parole ma anche di gesti concreti: il primo di questi gesti fu quello di recarsi, il giorno successivo al Conclave, al Policlinico Gemelli a trovare il suo amico malato, il Vescovo Andrzej Deskur. Quella fu la prima uscita del Papa dal Vaticano: molti anni dopo l’ultima volta che varcherà le mura leonine sarà ancora per recarsi, ormai agli estremi, al medesimo ospedale. Quel luogo di sofferenza e insieme di speranza segnò, simbolicamente, il principio e la fine del suo pontificato.
Così anche la croce. Nell’ultima sua apparizione “pubblica”, il Venerdì Santo del 2005, lo vedemmo ripreso di spalle, abbracciato al crocifisso, seguire da uno schermo nella sua cappella privata la Via Crucis al Colosseo, presieduta dal Card. Ratzinger; e come nella sua prima celebrazione liturgica, nel pieno del vigore, aveva mostrato in alto la croce, nel suo ultimo Angelus dalla finestra del palazzo Apostolico, il mattino di Pasqua, ormai impossibilitato a parlare a causa della malattia, egli stesso si fece croce silenziosamente innalzata, muto nella voce, eloquentissimo nella testimonianza.
Questi sono alcune delle immagini indelebili che ho del Papa che ha segnò la mia vita di cristiano e di sacerdote ed anche quella di diverse generazioni di giovani[4].
La pastorale della famiglia, di cui mi occupo da quasi venti anni, deve moltissimo all’instancabile opera di Giovanni Paolo II: su questo aspetto voglio focalizzare il mio contributo. Egli si è speso totalmente per mostrare il ruolo fondante e primario di quella che è non solo la cellula della società civile ma anche il luogo teologico della trasmissione di fede della Chiesa. Quest’opera di rafforzamento della famiglia ha fatto sì che anche la comunità cristiana in Italia abbia risentito in misura minore del processo di secolarizzazione. Le Diocesi italiane, d’altronde, iniziarono a seguire e mettere in pratica da subito le indicazioni e gli insegnamenti del Papa e così, a partire dagli anni ’80, la pastorale familiare andò consolidandosi e sviluppandosi non già come una pastorale specialistica, ma come una pastorale integrale ed unificante. L’istituzione da parte della Conferenza Episcopale Italiana di un Ufficio Nazionale di Pastorale Familiare, le iniziative da esso promosse e la pubblicazione di un Direttorio[5] contribuirono, e tutt’ora contribuiscono, a questo processo. Così le famiglie iniziarono a potersi formare ed a prendere coscienza dell’importanza del loro servizio ecclesiale. Lo stesso Giovanni Paolo II credo avesse avuto consapevolezza di questa evoluzione in atto: così se in Familiaris Consortio l’esortazione era “Famiglia, diventa ciò che sei[6]”, quasi ad indicare un percorso ancora tutto da fare, nell’incontro in Piazza S.Pietro del 20 Ottobre 2001 aggiunse “Famiglia, credi in ciò che sei.[7]”, come per incoraggiarla ad approfondire un dato ormai acquisito.
Un ulteriore aspetto che mi è caro sottolineare è il fatto che grazie al Magistero di Giovanni Paolo II si è andata sviluppando una vera corresponsabilità tra coppie di sposi e presbiteri all’interno della comunità dei fedeli. Ricordo, a tal proposito, che, sebbene già San Tommaso d’Aquino avesse affermato che l’Ordine e il Matrimonio sono due sacramenti ordinati al perfezionamento della comunità cristiana[8], per vedere quest’idea recepita a pieno titolo dal Magistero sia occorso aspettare il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato proprio dal Santo Papa: qui, al n.1534, si afferma che Ordine e Matrimonio sono sacramenti ordinati alla salvezza altrui e che, se giovano anche alla salvezza personale, lo fanno solo in quanto sono ordinati al servizio degli altri. In quest’ottica essi conferiscono una missione particolare e contribuiscono all’edificazione del popolo di Dio.[9] Da un punto di vista ecclesiale questa idea è stata il punto di partenza per uno sviluppo estremamente fecondo: si pensi solamente al fondamentale ruolo che le coppie di sposi hanno ormai acquisito, ad esempio, nei percorsi di preparazione al Matrimonio, dove la loro presenza è fondamentale ed imprescindibile, come si può evincere anche dal recente Direttorio della CEI per la pastorale di preparazione al Matrimonio[10]. Ma anche alla sempre maggiore compresenza di sposi e sacerdoti sia nella gestione ordinaria della pastorale (dalla catechesi alla carità) che nell’accompagnamento di famiglie in difficoltà o separate, dove questa sinergia è portatrice di grandi frutti.
Un ultimo aspetto che mi preme sottolineare è l’apporto dato dagli insegnamenti di Giovanni Paolo II nel far riscoprire agli sposi la grandezza del proprio Sacramento: egli ha mostrato loro come Dio li abbia costituiti faro di bellezza nella Chiesa. Il matrimonio, infatti, illumina il principio della Redenzione così come il ministero ordinato e la vita consacrata illuminano la sua fine: in quest’ottica la sua valorizzazione ci ha permesso anche di andare più in profondità nella comprensione della dimensione ecclesiologica.
In tale dinamismo ha giocato un ruolo fondamentale la teologia del corpo che il Santo ha messo sempre al centro della sua prospettiva teologica, soprattutto nelle celebri Catechesi del Mercoledì: egli si è trovato ad esercitare il ministero petrino in un’epoca in cui gli epifenomeni della cosiddetta “rivoluzione sessuale” degli anni Sessanta del secolo scorso si mostravano ormai in tutta la loro devastante potenza. In una cultura pansessualista il suo Magistero ha rimesso al centro la sessualità veramente umana, rivalutandone il ruolo in ordine alla pienezza d’amore e di dono a cui il matrimonio e la famiglia sono ordinati dal Creatore. Il modo appassionato con cui egli ha letto, interpretato e diffuso il messaggio di Humanae Vitaenon è stata una “difesa d’ufficio” ma, piuttosto, il desiderio di illuminare i coniugi sul significato alto della loro unione[11].
Posso riportare anche qui un’esperienza molto concreta: quando nella mia Diocesi sono organizzati incontri per far conoscere i metodi naturali di regolazione della fertilità, invitando le coppie di fidanzati o di sposi che hanno frequentato i percorsi di preparazione al matrimonio, è sempre sorprendente osservare come, sebbene questi temi siano apparentemente lontani dalla moderna sensibilità e nonostante non vi sia alcun obbligo di partecipazione, come nel banchetto evangelico, la sala si riempie sempre di “commensali”. Queste coppie vengono volentieri, spesso “sacrificando” quel sabato sera che a torto si pensa intoccabile per le generazioni più giovani, per ascoltare parole che sanno alte, ma vere, sul significato autentico che l’atto coniugale rappresenta e sul mistero che vi è racchiuso. Non sono, queste, “supercoppie”, piovute da qualche mondo lontano: come tutti i loro coetanei hanno vissuto o vivono in quelle contraddizioni cui la post-modernità ci ha ormai assuefatti. Molti di loro, se non la maggior parte, sono conviventi (o lo sono stati prima di sposarsi), alcuni hanno avuto figli fuori dal matrimonio e, in genere, prima di iniziare la preparazione al matrimonio erano totalmente distanti da ogni pratica di fede. Tuttavia, ricevuto un annuncio nella verità, in esso hanno riconosciuto la voce di Cristo ed hanno compreso (vorrei quasi dire ricordato) di essere amati da lui attraverso la sua Chiesa, che si muove, sull’esempio del Buon Pastore, per cercare i suoi figli nei deserti dove si sono smarriti (o, come ama dire Papa Francesco, nelle “nelle “periferie esistenziali”). Così questi giovani scoprono la misura alta della vita cristiana[12] e comprendono che per costruire la loro famiglia debbono trovare fondamento sulla roccia di Cristo.
Tutto questo giunge loro grazie agli insegnamenti di San Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia.
Tutto questo Tutto questo giunge loro grazie agli insegnamenti di Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia, il Santo della famiglia.
[1] Questo il titolo della sua prima Enciclica. Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor hominis (4.3.1979).
[2] Giovanni Paolo II, Primo saluto e prima Benedizione ai fedeli (16.10.1978).
[3] Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia per l’inizio del Pontificato (22.10.1978), n.5.
[4] A ben ragione si è parlato di “generazione Woityla”.
[5] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Direttorio di Pastorale Familiare per la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della famiglia”, Fondazione di Religione “Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena”, Roma 1993.
[6] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio (22.11.1981), n.17.
[7] Giovanni Paolo II, Discorso alle famiglie (21.10.2001), n.3.
[8] Cfr. STh., III, q.65, a.2, sol.
[9] Catechismus Catholicae Ecclesiae, editio typica latina, Libreria Editrice Vaticana, Civitas Vaticana 1997, 1534.
[10] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Commissione Episcopale per la Famiglia e la Vita, Orientamenti pastorali sulla preparazione al Matrimonio e alla Famiglia, EDB, Bologna 2012, Cap. III.
[11] Cfr. Giovanni Paolo II, L’amore umano nel piano divino, cit., Sesto Ciclo, Catechesi 14-219.
[12] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte (6.1.2001), AAS 93 (2001) 266-309: “È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione”.
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