Il “dibattito” sul libro del Gen. Vannacci ha se non altro avuto il merito di portare a galla tutta l’infingardaggine, l’apatia, l’insofferenza che nel Paese si respira quando si vogliono affrontare temi che attengono il modo di esercitare le libertà individuali in modo da garantire a tutti l’esercizio di tali libertà in un contesto che tuteli i diritti di ciascuno e il confronto democratico come strumento per prendere le decisioni senza “scorciatoie”.
E’ inevitabile notare come il massimo di strillamento indignato contro ogni ipotesi di censura provenga da coloro che sostengono con forza il diritto di chi vorrebbe censurare ogni diversità. In altre parole: io devo essere libero di dire che gli altri non possono dire o fare quel che a me non piace, altrimenti dove va a finire la mia libertà? Da qui il paradosso ben osservabile nelle polemiche di questi giorni per cui rivendicano il diritto a dire qualunque cosa proprio coloro che grazie a questa libertà da loro fruita vorrebbero mettere a tacere gli altri.
Naturalmente questa constatazione non può che portare ad una domanda: ma la libertà di dire e manifestare è assoluta, senza limiti? Qualunque ne sia il contenuto? Per ipotesi: uno può predicare che la razza ebraica va sterminata come un altro può invocare la flat tax? Evidentemente no: per le idee, checché ne pensi Beppe Grillo, così come per le persone non vale il principio che “uno vale uno”. Pensare che le idee abbiano tutte pari dignità è una forma di relativismo stupido: vi sono idee che cozzano evidentemente col buon senso comune (nella tradizionale vulgata liberale “la tua libertà finisce dove comincia quella altrui”) che evidentemente non fornisce un parametro esatto ma un approccio metodologico alla questione.
Ma, per come la mette il Generale e, con maggior subdola competenza, i suoi sostenitori Il punto è se sia obbligatorio uniformarsi ad un pensiero dominante o se sia possibile manifestare tesi differenti, ed eventualmente se ciò possa rappresentare una semplice manifestazione della libertà di pensiero. Questo non può che riportarci al fatto che il Contratto Sociale (per chi ce l’ha: in Russia p.es. ce n’è uno pirata) ha un fondamento di carattere etico: postula il massimo di beneficio e il minimo di danno per i componenti della comunità contraente. Da questo punto di vista è inaccettabile che un’opinione, un comportamento, vengano penalizzati soltanto perché difformi dalla generalità. Per dirla in modo da fare incazzare qualcuno, il diritto degli alpini a festeggiare le loro ricorrenze è del tutto pari al diritto della comunità arcobaleno a fare i loro pride day! Se qualcuno si sente offeso è lui ad essere fuori dal contratto sociale!
In questo senso è logico ma anche necessario che non abbiano diritto di cittadinanza idee che postulino intolleranza, discriminazione o segregazione.
Tuttavia, sul piano epistemologico, che rudimentalmente sembra essere privilegiato dagli ambienti vicini al Generale con un approccio fortemente sofistico, è opportuno segnalare che non può esserci un’equivalenza sul piano della logica formale tra il mettere al bando un’opinione tollerante e un’opinione intollerante con la motivazione che la tolleranza non tollera l’intolleranza. Infatti è esattamente così: per come la Storia ha plasmato la cultura liberale l’unica cosa intollerabile è l’intolleranza. Il che richiede un atteggiamento non formalmente neutrale, ma ben orientato sul piano culturale: oscurare il Gen. Vannucci che vuole bannare i gay è diverso dall’oscurare i gay che vorrebbero oscurare il Gen. Vannucci solo perché lui li vuole oscurare. Non è uno scioglilingua: è che alla cultura liberale e alla democrazia che ne è l’espressione materiale presiede un principio etico che è ineludibile, quello cui si accennava prima a proposito del Contratto Sociale.
E questo principio fondante, se vogliamo allargarci, è quello che caratterizza la democrazia occidentale rispetto ad altre esperienze (nelle quali suppongo che pochi di noi vorrebbero vivere)
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