Stamani, parlando con un tizio al mercato, stavo per usare il verbo denigrare. Mi sono fermato in tempo, il tempo di un brivido. Non si vive forse nell’era geologica del non si più dire nulla?
Inavvertitamente (ma dove ho il cervello?), con quel denigrare ho corso un pericolo pazzesco: ho rischiato di precipitare nella fossa dantesca degli epigoni di Capanéo (bestemmiatori, Inferno, canto 14).
Sono salvo per miracolo, mi sono detto. Difatti l’etimologia di denigrare porta direttamente al latino niger, l’origine della parola proibita. E al contrario di quanto si potrebbe pensare, quel prefisso ‘de’ non è privativo o sottrattivo come in decaffeinare, derattizzare, diserbare. Denigrare non significa sbiancare o pulire.
Quel ‘de’ è dannatamente confermativo e il significato politico che se ne ricava è scorrettissimo. Doppiamente scorretto.
- A) perché denigro, come negriero, negritudine, negromante ecc, fa uso scandalosamente esplicito della parola proibita.
- B) perché denigrare significa parlare male, di qualcuno o qualcosa. Perciòcquindi la parola proibita diventa sinonimo di male, di negativo, di diabolico, con ciò sprofondando chi anche inconsapevolmente la pronunciasse nelle tenebre più profonde del razzismo.
In sostanza, bisogna stare attentissimi a non offendere nessuno. Ed è per questa semplice e nobile ragione che penso occorra raccomandare ai nostri italianisti la massima prudenza, anche seguendo alla lettera gli ordini, pardon le indicazioni del galateo antirazzista. Come? Facile. Censurando i lemmi suddetti: non più denigrare, ma denirare, non più negriero ma neriero, non più negritudine ma neritudine, no più negromante ma neromante. I neri così riscattati dall’essere negri (ops) gliene saranno grati.
A Nigrizia, la rivista dei frati missionari comboniani, ci pensino loro e facciano un po’ come gli pare. Il Negroni, invece, Negroni era e Negroni resta, salvo interventi della polizia morale.
Daniele Carozzi
Il politicamente corretto è pura ipocrisia. Dobbiamo essere uniti per sconfiggerlo.