Si sente sempre più spesso parlare di de-dollarizzazione, ossia quel processo sostenuto da alcuni Paesi che vorrebbero ridurre e/o sostituire il dollaro come valuta internazionale di riferimento. Dallo scoppio del conflitto ucraino il tema si è infiammato. Ma siamo davvero vicini al crepuscolo del “biglietto verde” come valuta egemone a livello mondiale?
Lo dubito fortemente. Ma non per una imperitura supremazia della economia americana rispetto alle altre, ma per altre ragioni che qui provo a motivare.
Breve tuffo nel passato: già negli anni ’60, il generale francese De Gaulle cercò di contrastare l’egemonia del dollaro, come pure, anche la nascita dell’Euro avrebbe voluto se non soppiantare, almeno ri-equilibrare il peso tra le due valute a livello internazionale.
Sappiamo già come è andata a finire. Ora il coraggioso ardire è soprattutto affidato a un gruppo di Paesi, originariamente identificati nell’acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ai quali si sono aggiunti, di recente, altri 6 Paesi emergenti (Argentina, Iran, Arabia su tutti).
C’è una grossa ragione geopolitica dietro a questo intento: spodestare il primato del dollaro contrasterebbe anche il primato internazionale economico e finanziario degli USA.
Tuttavia, il dollaro, a mio parere, rimarrà ancora egemone per un po’ di anni a livello mondiale almeno per quattro ragioni: 1) è la moneta con maggiore stabilità al mondo; 2) l’economia statunitense rimane ancora la più importante in ambito internazionale; 3) gli USA sono una superpotenza militare ed economica che tutto il mondo occidentale riconosce e 4) una eventuale valuta alternativa risentirebbe ancora troppo della debolezza dei suoi stati sostenitori.
Andiamo con ordine.
Il dollaro è stabile. Rappresenta tra il 60% e il 70% delle riserve monetarie mondiali, il 40% delle transazioni bancarie avviene in dollari; l’88% delle operazioni commerciali è in moneta USA. Se è vero che il dollaro non è più ancorato all’oro (fine del sistema aureo indiretto), la sua quotazione è definita tuttavia in dollari, come pure il prezzo dell’altra commodity di riferimento: il petrolio.
Certo, la Cina è il Paese che sta cercando maggiormente di indebolire questa leadership. Ad esempio, essendo uno dei maggiori importatori al mondo di petrolio (e questo spiega molto dell’appoggio alla Russia nel conflitto ucraino) ha avviato il sistema “Petroyuan”, finalizzato ad aumentare il valore dell’utilizzo del Renminbi cinese nei mercati internazionali. E ha trovato subito nell’Arabia un valido alleato.
Anche la Russia, (ça va sans dire), è direttamente coinvolta nel processo di de-dollarizzazione più per necessità che per volontà: è stata obbligata ad uscire dal sistema di pagamento internazionale SWIFT e ha visto il congelamento delle riserve di dollari detenute dalla sua Banca centrale.
In aggiunta a questi 3 colossi, anche altri Paesi minori hanno iniziato a sottoscrivere nuovi trattati commerciali utilizzando monete sostitutive. E questo non può essere ignorato.
Però, per dirlo con le parole del premio Nobel Krugman, “il dominio del biglietto verde non durerà per sempre, perché nulla è eterno, ma il clamore sulla de- dollarizzazione è molto rumore per quasi nulla: il dollaro domina perché non ci sono ancora alternative valide”. Margaret Thatcher, più pragmaticamente avrebbe sintetizzato il tutto con l’espressione “TINA” (there is no alternatives).
L’egemonia del biglietto verde nel tempo potrebbe allora scemare, non tanto per l’emergere di una nuova super potenza mondiale, (come molti sostengono indicando la Cina), ma più per una normale frammentazione dei sistemi di pagamenti, dove, a seconda dei settori, una valuta potrebbe essere più idonea di un’altra.
Ma questo lo vediamo meglio la prossima volta. Devo andare velocemente a fare la spesa e spendere i pochi euro rimasti prima che definitivamente perdano valore schiacciati da valute che diverranno, nel tempo, molto più importanti…
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