Diciamo la verità. Da un punto di vista teorico se c’è una crisi di governo la soluzione migliore è quella di andare alle elezioni. Soprattutto se, come ora, siamo in presenza di una maggioranza potenziale, nel nostro caso quella di centrodestra.
Il ragionamento non farebbe una grinza se fossimo all’interno di una repubblica presidenziale, o semi-presidenziale, dove gli elettori scelgono, con una legge elettorale maggioritaria, sia il governo che il premier. Noi però, grazie anche ai tanti che si sono sempre opposti ad ogni e qualsiasi modifica costituzionale, siamo all’interno di un sistema parlamentare dove i partiti sono eletti con una legge sostanzialmente proporzionale. Le maggioranze insomma si formano in Parlamento e a poco o niente valgono le forme e i modi con cui i vari partiti si sono presentati alle elezioni. L’esempio l’abbiamo avuto sotto gli occhi in quest’ultimo scorcio di legislatura. Lega e 5Stelle si erano presentati al voto su fronti ferocemente contrapposti. Una volta in parlamento però, avendo constatato che nessuno aveva raggiunto una maggioranza utile per governare, hanno fatto un accordo ed espresso un governo che l’elettorato non aveva minimamente scelto.
Ora a fronte della crisi il Presidente della Repubblica ha il dovere costituzionale di verificare se, in questo parlamento, c’è un’altra maggioranza oppure se ci sono le condizioni perché la vecchia maggioranza si possa ricomporre. Quest’ultima possibilità appare alquanto remota. Potrebbe invece emergere una maggioranza non politica ma istituzionale. La differenza, anche se quasi tutti, più o meno interessati, fanno finta di niente, non è di secondaria importanza. Una maggioranza politica si forma su un progetto di sviluppo condiviso, si guarda insomma al futuro a medio o lungo termine. Uno o più partiti si mettono insieme per collocare un paese in un determinato quadro di alleanze internazionali, per fare alcune scelte di politica economica, per assicurare un determinato sviluppo sociale e così via. Una maggioranza istituzionale invece nasce per affrontare un’emergenza. A fronte di un pericolo imminente le varie forze politiche accantonano le loro differenze e si mettono insieme per raggiungere un determinato obiettivo. Può essere il caso estremo di una guerra oppure di un attacco terroristico oppure il precipitare della situazione economica.
Quest’ultimo è il caso che si sta verificando oggi in Italia. Come ha illustrato con la solita competenza il prof. Petretto nell’articolo di apertura, nel giro di due/tre mesi l’Italia sarà chiamata a fare scelte economiche di vitale importanza. Valuti ognuno se, oggi come oggi, c’è o no l’esigenza di “mettere ordine nei conti pubblici”. Noi crediamo di sì. Naturalmente bisogna poi vedere se fra i possibili sostenitori di questo ipotizzato “governo istituzionale” c’è la condivisione degli obiettivi. Ma questo è un passo successivo, tutto da verificare. Resta comunque, prima di ogni decisione di andare al voto, il dovere costituzionale di esplorare una simile ipotesi.
C’è poi da fare un’altra considerazione di carattere politico. Se forzando la prassi e le norme si andasse alle elezioni in tempi rapidi si avrebbe la quasi matematica certezza di una vittoria schiacciante del centro-destra a trazione sovranista. Il che vorrebbe dire, a proposito della preventivata manovra economica, che assisteremmo all’ adozione di tutte le misure “a debito”, come più volte ha preannunciato Salvini. Il che avrebbe come conseguenza il raggiungimento del tanto sbandierato obiettivo di avere l’Italia fuori dall’euro non perché deciso dal nostro governo, ma perché voluto dai partner europei che ci butterebbero fuori per non essere contagiati dal precipitare della nostra situazione economica.
In questo quadro allora è tanto scandalosa la posizione di chi cerca di vedere se esiste la possibilità di non cadere dalla padella nella brace?
Lascia un commento