Il mestiere delle previsioni è molto difficile, specialmente per gli economisti, che sono riusciti a centrarle in pochissimi casi durante gli ultimi anni. A maggior ragione, di fronte a una vasta incertezza, che riguarda non solo l’avvenire ma pure le fasi più ravvicinate dell’economia globale, è complicato analizzare i fenomeni in corso e trarne indicazioni per un’adeguata combinazione di politiche. La sfida del fare, evocata da Francesco de Core nel suo primo editoriale da direttore, contempla anche la capacità di scrutare oltre i confini di Napoli, del Sud e dell’Italia per comprendere la complessità del contesto attuale e tentare di prevedere il futuro. Questa lunga età di crisi può aprire le porte a nuove occasioni di crescita solo se si colgono le opportunità intrinseche a una transizione e se lo sguardo rivolto ai processi mondiali, come nel racconto quotidiano di questo giornale, diventa possibilità di contaminare la realtà meridionale, seguendo i percorsi più avanzati e rifuggendo da un’antica forma di localismo territoriale. Un Mezzogiorno proiettato in una visione globale, oltre il persistente dualismo nazionale, per invertire il declino e contribuire allo sviluppo italiano ed europeo. Questa impostazione ispirò il miracolo economico, settant’anni orsono, quando venne inaugurato un ventennio e più di convergenza del Sud con il resto del Paese e di sostegno all’aggancio dell’Italia con le aree più progredite del continente. Dopo gli eventi imprevedibili della pandemia e della guerra, che hanno accelerato dinamiche già in incubazione, molti commentatori si interrogano non tanto sul se vi sarà una recessione, ma sul quando. Per l’economista di Yale Stephen Roach, la Federal Reserve è intervenuta con un ritardo incolmabile rispetto a un’impennata dei prezzi dal carattere strutturale ed è ormai troppo tardi per evitare la recessione. Del resto, due rapporti recentissimi, i Global Economic Prospects della Banca Mondiale e il World Economic Outlook biennale dell’OCSE, hanno evidenziato prospettive cupe, con una sempre più stentata crescita e alti rincari pure per il 2023, paventando il pericolo di forti aumenti dei tassi di interesse e di una stagflazione di non breve durata. Su queste colonne, Giovanni Tria ha affermato che l’economia globale sta rallentando e vi è un grado accentuato di sensibilità dei mercati, come dimostrano le cadute preoccupanti di borsa di questi giorni, ma non si è ancora verificata una depressione manifesta. Mentre Giorgio La Malfa ha segnalato dati dell’economia reale che non dovrebbero motivare un pessimismo eccessivo per l’Italia, purché si attui il piano di ripresa e si costruisca un nuovo patto sociale. A sua volta, il premio Nobel Michael Spence ritiene che una recessione mondiale vera e propria sia improbabile, anche se un duro shock, quale una tragica espansione del conflitto o una brusca perturbazione del mercato energetico, potrebbe mutare tale prospettiva. Su un versante equilibrato si è posto un altro premio Nobel, Christopher Pissarides, convinto che, seppure la concomitanza di indebitamento e inflazione rischi di far perdere il controllo del quadro macroeconomico, il miglioramento delle competenze e il passaggio a nuovi tipi di lavoro, da un lato, l’innovazione tecnologica e l’incremento della produttività, dall’altro, possono favorire una nuova fase di sviluppo, senza necessariamente tenere a zero il costo del denaro. Infine, il presidente della World Bank David Malpass, commentando le indicazioni del rapporto, ha osservato che “importanti aumenti della produzione a livello mondiale saranno essenziali per ripristinare una crescita non inflazionistica”, sottolineando, peraltro, che l’inasprimento delle condizioni di finanziamento globale fiacca i Paesi a medio reddito, non solo quelli più deboli. Tuttavia, egli ha anche rilevato notevoli differenze tra la stagflazione degli anni Settanta e la situazione odierna, dato che il dollaro regge, i prezzi del petrolio sono pari a due terzi di quelli del 1980 (mentre, quadruplicarono nel 1973-74 e raddoppiarono nel 1979-80), i bilanci delle istituzioni finanziarie sono solidi e tutte le economie sono più flessibili di allora. Si potrebbe continuare in questa rassegna di valutazioni, ma non cambierebbe la sostanza dei problemi. Infatti, oggi occorre un’analisi dinamica dei fenomeni di riassetto geoeconomico in atto e una capacità adattiva di previsione, facendo ricorso a continue comparazioni nel tempo e nello spazio. Un impegno complesso e affascinante, che può rafforzare le facoltà di attuazione (l’execution), aspetto centrale dell’attività di governo in una transizione epocale. Da un punto di vista generale, la politica monetaria e le strategie di sviluppo devono procedere di conserva, in un virtuoso intreccio, da graduare in base agli eventi, per ridurre debito e prezzi e spingere la crescita. Dal punto di vista del Mezzogiorno e dell’Italia, è indispensabile il successo delle politiche di investimento e riforma, pena un’incapacità di elevarsi a sistema e una ricaduta critica sull’intera Europa. A questo scopo, bisogna agire perché abbiano sempre più campo le politiche del sapere e del fare al posto delle rivendicazioni e degli annunci proclamati al vento.
(articolo già pubblicato dal quotidiano Il Mattino e ripreso con il consenso dell’autore)
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