Come devono sentirsi quel 7-8 per cento di elettori che a settembre li votarono perché finalmente videro appaiati i simboli di Azione e IV sul nome dello stesso leader, per il quale Matteo Renzi aveva fatto il famoso passo indietro o di lato se vogliamo, e Carlo Calenda aveva riconosciuto questo gesto come segno di nobiltà d’animo; elettori ai quali venne poi promesso, parola di boy-scout, che i due partiti si sarebbero presto fusi, visto che gli ideali e la matrice culturale erano gli stessi e allora che senso aveva tenere in vita due partiti liberaldemocratici quando era naturale, opportuno e finanche logico che il Terzo Polo si desse una forma-partito unica, per posizionarsi saldamente al centro e raccogliere il consenso degli italiani stanchi dei populismi di destra e di sinistra?
Se mi è concesso, lo dico io che sono uno di loro: delusi, amareggiati, depressi, anzi di più: siamo incazzati. Perché ci fa veramente male vedere andato in frantumi un edificio praticamente (quasi) fatto e nella cui costruzione avevamo investito energie e sperato e sognato; un edificio nuovo ma che in realtà si allacciava a una storia precedente che parte da molto lontano: dai liberali lombardi e napoletani dell’Ottocento, e poi prosegue nel secolo scorso con Croce, Einaudi, Gobetti, i fratelli Rosselli fino a Saragat e Craxi e ci metto anche l’indimenticabile Marco Pannella, Antonio Martino di Forza Italia e il Veltroni segretario del primo Pd, che nel suo studio sostituì il ritratto di Togliatti con quello di Bob Kennedy.
A questo punto, quali che siano le ragioni del divorzio dell’anno – si tratti di Ilary e Totti o di Carlo e Matteo – non ne parlo perché non le comprendo e neppure mi interessa saperle. Quello che so di certo è che nella storia del Bel Paese, quando il centro liberale e democratico è venuto a mancare, si sono diffusi i movimenti populisti: prima i combattenti fiumani di Gabriele D’Annunzio e poi le camicie nere, gli scissionisti rossi di Livorno, l’Uomo qualunque di Giannini, i rivoltosi di Reggio Calabria, per arrivare ai giorni nostri con i tifosi della Padania, i sovranisti post-fascisti, i seguaci dell’anti-politica di Beppe Grillo e, dulcis in fundo, i nuovi democrat suggestionati dalla retorica e dal genderfluid di Elly Schlein.
Ma Renzi e Calenda ce la faranno a dormire sonni tranquilli, vedendo che aria tira?
Maria Acomanni
La responsabilità è TOTALMENTE di Calenda, che non so perché aveva una gran fretta di fare il Partito Unico.
O meglio ,penso di saperlo anche se non mi esprimo.