Nel 2000 Putin (racconta il giornalista Alec Luhn) disse alla BBC che la Russia “era parte della cultura europea” e che non avrebbe escluso la possibilità di entrare a far parte della NATO: “Non riesco a immaginare che il mio Paese resti isolato dall’Europa e da quello che chiamiamo il mondo civilizzato”. Il giovane leader era ancora presidente ad interim dopo le dimissioni di Eltzin. Nessuno poteva immaginare che, dopo il suo avvento al potere il 7 maggio del 2000, l’immagine concentrata e determinata che prometteva di trasportare, come aveva apprezzato il cancelliere Gerard Schroeder, la Russia ferita dall’avventura comunista nell’universo liberal democratico, si sarebbe trasformato nel lupo che azzanna la pax occidentale. Su di essa si basa l’Unione Europea, sia pure in maniera zoppicante e contraddittoria; su di essa si è definita l’ONU, in modo però spesso strumentale e vizioso… ma la premessa era la fine della Guerra Fredda, e questo ispirò l’idea della “fine della storia”, ovvero fine delle guerre. Invece il conflitto è qui, il rombo dei cannoni e il sibilo dei missili, i bambini e le madri disperati, la gente in lunghe file carica di inutili residui della propria vita spezzata. E Putin dagli anni in cui, bravo ragazzo ex vicesindaco di Pietroburgo, riportava la Russia sul palcoscenico della storia è il primo attore, della “ripresa della storia”. Indesiderata.
Putin non ha mai mentito sulla sua natura: semplicemente, essa si è rivelata via via che ai suoi occhi un mondo che doveva essere conforme al suo potere e al suo successo si è rivelato complicato, ostile, frustrante. Il mondo non gli ubbidiva, e lui con esso: il suo modo di guardarlo, testimoniato dalle foto che via via che dal KGB passava alla politica, lo ritraggono sempre più ginnico, cacciatore, maschio. Putin diviene sempre più assertivo e antagonista non quando la NATO si avvicina ai suoi confini, perchè c’è sempre stata, ma via via che il respiro del dissenso internazionale e interno si addensano. Boris Eltsin nel ‘97 aveva firmato l’atto di fondazione della NATO; e quando essa andrà in Afghanistan, Putin ne sarà contento, e non reagisce quando l’Estonia, la Lettonia, la Lituania entrano nel progetto di cooperazione.
Dirà persino che anche l’Ucraina può farlo. “Non sono fatti miei”. Ma quello che lo spaventa e lo cambia in guardingo e aggressivo, sono i sommovimenti imprevisti e minacciosi: è qui che la democrazia gli diventa un nemico da battere. Comincia a ragionare secondo criteri di soggezione che implica all’interno ubbidienza, eliminazione del dissenso e della stampa libera, e nei dintorni un rapporto esclusivo e di soggezione verso la Grande Madre Russia. Serbia nel 2000; poi le Primavere colorate, Georgia nel 2003, Ucraina nel 2004, le primavere arabe nel 2011 e negli stessi anni i forti sommovimenti in casa, e poi nel 2013 e 14 di nuovo l’Ucraina… La spina Ucraina, il suo corpo a corpo col suo ex fedelissimo presidente Viktor Yanucovich, fino a forzarlo a ripudiare l’Unione Europa per fare atto di fedeltà all’Eurasian Economic Union, e poi la vittoria clamorosa nel 2019 di Zelensky… tutto questo unito a un dissenso sempre più simile a quello che ha portato alla caduta dell’Unione Sovietica con l’entusiasta sostegno internazionale, lo conduce a un insieme di aggressioni interne, sospetti avvelenamenti in serie fra cui l’ultimo quello nel 2020 di Aleksej Navalny, che ora gli urla il suo odio dal carcere, alla persecuzioni di gruppi avversi, a bande di bulli travestiti da fanatici sportivi.
E accanto a questo, la guerra e il nazionalismo imperialista: non più nella chiave del primo Putin, che legittimamente voleva ricostruire l’economia, restituire alla Russia il fasto e la dignità storica del Paese più grande del mondo, reinstaurare una politica di natalità, ridotta sottozero nel post comunismo. Putin ha portato con se la frustrazione della periferia ferita, che morde perché ha paura del mondo, del dissenso, della democrazia… e questo oggi umilia i russi e porterà conseguenze. Ho avuto l’onore di essere premiata nel 2002 con Anna Politovskaya, giornalista russa che aveva accusato Putin di uccidere la democrazia: la giovane giornalista fu uccisa con due colpi di pistola nell’ascensore a Mosca quattro anni dopo. Oggi quel colpo di pistola è sibilo di missili.
(articolo pubblicato su Il Giornale del 26 febbraio e ripreso con il consenso dell’autrice)
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