Firenze ha paura della contemporaneità? Dopo la provocazione lanciata dai costruttori di Ance Firenze, chi meglio di Silvia Botti, architetto e giornalista professionista, la presidente della Fondazione Michelucci, che custodisce il lascito del grande architetto, può rispondere a questa domanda? “In realtà non lo so – risponde schietta – certo è che ha una quantità notevole di timidezza che colpisce. Io sono milanese. Milano è una città aperta al nuovo, qui a Firenze nemmeno le archistar ce la fanno”. E continua, facendo un salto nel passato: “Se penso allo scontro che ci fu fra Michelucci e i fiorentini dopo i bombardamenti della zona del Ponte Vecchio capisco che questa timidezza viene da lontano’. Colpisce che Firenze, che ama considerarsi internazionale, faccia così. Del resto il Paese ha un rapporto irrisolto con il patrimonio storico del 900. Se penso alla Loggia di Isozaki e all’idea dei muri verdi mi viene da sorridere. I muri verdi non sono architettura. Qui manca il coraggio”.
Il progetto è più importante della bellezza
Ma qual è il motivo per cui siamo così attaccati ad un particolare concetto di bello? “La resa estetica è solo uno degli aspetti di un’opera. Bisogna chiedersi innanzitutto: c’è un progetto o non c’è? Cosa mi seve costruire e perché. Solo così la città migliora”. Eppure ci si preoccupa solo del centro storico, delle periferie sembra si ignorino i bisogni e le emergenze. “Una città non è solo la sua forma architettonica ma è il teatro della vita di una comunità. Il centro storico ha ormai perso i suoi residenti ed è un luogo dove vivono solo turisti e ristoranti. Il tema vero è la capacità di usare gli spazi. È meglio una bella piazza che diventa parcheggio o una un po’ più brutta in cui le persone si incontrano, parlano, vivono? Sono scomparse le panchine, i chioschi, gli spazi verdi. In centro i piccoli negozi sono stati sostituiti da supermercati piccoli creati ad hoc per i turisti degli air b&b: piatti pronti da scaldare, prezzi alti”.
La mancanza di uno sguardo verso il futuro
Il quadro di Silvia Botti non è confortante. Esiste una soluzione a questa deriva? Cosa possiamo fare? “Bisogna innanzitutto chiedersi se esista una visione di questa città. Cosa vuole essere Firenze fra trent’anni? Vuole continuare a farsi consumare da turismo di bassissima qualità o invece puntare su visitatori davvero interessati alla cultura, a respirare uno stile di vita particolare? Mi chiedo: vogliamo davvero abdicare così? Oppure iniziare tutti insieme a fare ragionamenti in cui Firenze si deve pensare come qualcosa di meglio, come un luogo vivo che sappia offrire il suo meglio a tutti, visitatori e abitanti”.
Certo, il fatto che negli ultimi due decenni ci siano stati tagli costanti alla spesa pubblica ha fatto sì che non si investa più denaro pubblico nelle città. “Milano ha cercato di risolvere il problema coinvolgendo i privati ma bisogna fare uno sforzo collettivo con le forze migliori della città. Questa è una chiamata ai volenterosi. Le città sono organismi, per farle vivere bisogna che ognuno faccia la sua parte e l’interesse privato è dannoso senza una regia pubblica”.
“La città deve essere viva per tutti, non solo per i turisti”
Negli anni 60 fu fatta una grande scommessa per far crescere il nostro Paese. Ci fu una migrazione massiccia da sud verso le fabbriche del nord. Quegli operai vivevano in condizioni difficili ma furono in grado di far studiare i loro figli, di far progredire la famiglia. Oggi succede l’inverso e l’immigrato non è visto nel suo potenziale ma come un nemico. Le città sono vive e autentiche quando diffondono il proprio benessere a tutti i cittadini. Oggi non è così. “Michelucci era molto interessato a questo fenomeno. Nelle famiglie che arrivavano dal sud lui vedeva il futuro. La nostra missione deve essere sbloccare l’ascensore sociale, fare in modo che Firenze sia bella per tutti, soprattutto per chi la abita. C’è bisogno di coraggio ma anche della voglia di reimpossessarsi del futuro. Non ci possiamo privare del diritto di progettare il nostro futuro”.
“Impariamo dai giovani, vediamoci come collettività”
Oggi il tema è la sostenibilità, il mondo che lasceremo ai giovani. Il nostro attendismo, la logica dell’immutabilità delle cose è un freno tremendo.
“I giovanissimi hanno dimostrato, attraverso la rete e i social, di avere risposte differenti. Bisogna svincolarsi dai luoghi comuni. Sono ottimista. Niente è perduto ma bisogna immaginare un futuro per la città a partire dai suoi abitanti. C’è tanta intelligenza diffusa e Firenze deve ricominciare a pensarsi come una collettività. Non scordiamoci che il civismo è nato qua, i Comuni sono nati qua. Il sindaco deve essere un regista, accendere speranze, costruire squadre. La riforma dell’elezione diretta del sindaco fu un errore. Depaupera la partecipazione. Firenze è di tutti e tutti devono goderne”.
Silvia Gigli
(articolo ripreso con il permesso del giornale T24 – Toscana economia Il Sole “4Ore)
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