Covid19 ha introdotto una frattura storica nella quale le nostre quotidianità sono scosse profondamente. Al contempo esse possono contribuire a ripristinare condizioni di abitabilità e di convivenza. A tal fine, occorre una visione complessiva dove finalità di sviluppo economico e sociale siano integrate a finalità ambientali per risanare gli spazi favorevoli allo svolgimento delle attività umane. Non basta: lo scenario d’insieme va reso praticabile secondo priorità da definire diversamente per il breve e per il medio-lungo periodo.
Tutte le ipotesi di riforma applicabili ai settori della pianificazione urbanistica e territoriale e dei lavori pubblici sono state spazzate via, come del resto è accaduto e probabilmente accadrà in tutti gli altri campi.
La pandemia da corona virus e più in generale il rischio sanitario che pare essere la chiave del Terzo Millennio impongono la revisione dei parametri di densità, distanza, altezza delle costruzioni per la salubrità dei luoghi di lavoro, dell’abitare, delle pratiche per lo svago, lo sport, la crescita culturale, e il superamento della predeterminazione delle destinazioni d’uso e dello zoning territoriale. Nella ricostruzione delle relazioni sociali è richiesto di ripensare gli standard urbanistici in termini di spazi pubblici fisici e di dotazioni immateriali per l’accesso ai servizi pubblici e ai beni comuni, lo svolgimento delle esperienze collettive, delle solidarietà di comunità e dei percorsi della formazione. Per favorire lo sviluppo di attività economiche che sanno assegnare valore all’offerta relazionale materiale e immateriale fra spazi e servizi nei diversi contesti occorre l’investimento in sostenibilità delle infrastrutture per la mobilità di cose, persone e dati. Per la revisione dei comportamenti legati all’abitare ci vuole un piano per l’edilizia residenziale che permetta di demolire e ricostruire stock pubblici e privati inefficienti dal punto di vista ecologico ma anche scarsamente produttivi in termini di scambi sociali, oggi poco rispondenti alle esigenze di distanziamento e a un tempo di solidarietà.
Ora è il momento di rigenerare tutte le risorse che alimentano la città, riferite non solo alle politiche urbanistiche. Ciò comporta che gli strumenti utilizzabili e la programmazione delle risorse economiche, fra le quali anche i fondi comunitari, convogliabili nella rigenerazione urbana anche a favore delle dotazioni pubbliche (come rinnovati standard urbanistici), possano attingere non più e non solo dai canali tradizionali (attività edilizia, oneri di urbanizzazione, convenzioni, perequazione, compensazione) perlopiù oggi disciplinati dalle leggi regionali, ma dalle politiche nazionali che riguardano tutti i settori dai quali promanano misure per le attività delle persone come sanità, mobilità, casa; dalle strategie nazionali per la programmazione e lo sviluppo; dai fondi per l’attuazione degli obiettivi europei per la crescita e l’occupazione che riguardano cambiamenti climatici, istruzione, esclusione sociale; dai fondi per l’attuazione degli SDGs dell’Agenda 2030; dagli oneri applicabili alle nuove economie o dai benefici che da esse derivano (green economy).
Sul fronte dei lavori pubblici diventa fondamentale attivare rapidamente investimenti a capitale fisso in grado di provocare una scossa all’economia del Paese. Si devono distinguere le misure per un periodo transitorio in cui l’ordinamento in materia di contratti pubblici permetta di operare al meglio convivendo con la presenza controllata e tollerabile del Coronavirus e quelle per uno scenario di più lunga durata. Si rende opportuno mantenere parti del corpus normativo vigente che possono applicarsi secondo criteri di celerità e semplificazione, in nome della necessità e urgenza di tenuta del tessuto economico e sociale, prestando massima attenzione a non creare un vuoto normativo in un settore nevralgico per la ripresa del Paese.
Si potrebbe promuovere un numero definito di investimenti pubblici a capitale fisso, meglio se in modo da agire in contesti che possono fare da leve di ambiti territoriali vasti e interdipendenti (città metropolitane, capoluoghi di provincia, città medie), nei settori della sanità, nell’educazione, nella coesione sociale, della ricerca e dell’innovazione tecnologica. Finanziare strutture e infrastrutture nei settori della sanità, educazione e coesione sociale (strutture sanitarie e socio-sanitarie, parchi, scuole e impianti sportivi, uffici pubblici, social housing) permetterebbe alla sfera pubblica di massimizzare il valore del proprio ruolo aggredendo, con iniezioni pubbliche incisive, ambiti direttamente toccati dalla crisi pandemica.
Un altro passo dovrebbe favorire tanto le azioni pubbliche quanto i partenariati pubblico-privati per rimettere in sesto le infrastrutture fisiche ed economiche di tutti i territori nei diversi contesti, liberando le energie che vi si trovano, quei capitali sociali e culturali che possono sostenere anche un riassetto delle relazioni fra centro e periferie, città e campagna, costa e aree interne. Servono interventi diffusi di manutenzione e risanamento delle città e dei territori per la messa in sicurezza dai rischi geologici, idraulici, sismici e la salubrità degli ambienti urbani; opere di ri-urbanizzazione per la sostenibilità e l’adattamento climatico, la circolarità negli usi e riusi delle risorse; interventi di sostegno all’impresa per la ripresa delle filiere produttive e gli investimenti nell’innovazione; interventi per il sistema della mobilità sostenibile, che aiuta il distanziamento sociale ma non impedisce le attività umane, e interventi per una mobilità funzionale alla rete della distribuzione e alle relazioni fra consumatori e produttori; interventi per dare alta capacità tecnologica a tutti i soggetti privati e pubblici che operano nel campo della formazione e della ricerca, della cultura e del turismo per esperienze e pratiche che sempre più troveranno nella realtà aumentata della rete la soddisfazione alle proprie esigenze sia di crescita che di svago. A tali fini bisognerebbe immettere liquidità per gli enti locali finalizzata a investimenti in conto capitale (un Piano Triennale delle Opere Pubbliche?), con adempimenti per la macchina pubblica che potrebbe anche portare a compimento la programmazione pregressa delle opere pubbliche in un contesto facilitato dal punto di vista tecnico amministrativo. Si fa riferimento per esempio a un’unica indagine di mercato a livello centrale opportunamente articolata per categorie di lavori, servizi, forniture; alla eliminazione di almeno uno dei tre livelli di progettazione; alla costituzione di un registro unico per i controlli in fase di appalto; alla eliminazione della rotazione per le imprese che avendo partecipato a gare non le abbiano vinte; alla semplificazione delle modalità di affidamento degli incarichi e dei lavori.
Gianfranco Bucciarelli
Cara Silvia ho letto con molto interesse il tuo articolo condividendolo appieno in ogni sua parte….concordo molto sul Partenariato Pubblico Privato che anche a mio parere potrebbe risultare in un contesto di assoluta e gravissima crisi economica (..e sociale..) come una giusta declinazione di un modello di sviluppo territoriale fondato su un nuovo ” Patto Sociale ” che metta insieme i due soggetti , il Pubblico ed il Privato , per realizzare investimenti senza necessariamente produrre indebitamento pubblico . Ti cercherò per scambiare a Firenze riflessioni ed approfondimenti su questi temi . A presto .
Gianfranco Bucciarelli