Il 4 novembre, il Governo Draghi ha approvato il “Disegno di legge annuale per il mercato della concorrenza 2021” (dopo, d.d.l. 2021). Il Presidente del Consiglio l’ha presentato non soltanto come uno degli atti dovuti per ottenere i fondi dall’Europa nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma anche come una novità rispetto al passato. In primo luogo, poiché ottempera all’obbligo di una legge annuale sulla concorrenza, previsto dal 2009 (art. 47, L. 99/2009), e osservato dal Parlamento italiano una sola volta nel 2017. In secondo luogo, per la diversa impostazione data alle questioni della concessione di beni pubblici (aree demaniali marittime, distribuzione del gas naturale, derivazione idroelettrica) e della gestione dei servizi pubblici locali e di trasporto. Concessioni e gestioni dovranno avvenire nel rispetto della tutela della concorrenza, secondo i principi ed i criteri della normativa europea. E la normativa europea (artt. da 101 a 106 del Trattato sull’Unione europea) stabilisce che gli Stati membri devono impedire ogni situazione che non consenta la concorrenza all’interno del mercato interno europeo o che ammetta posizioni dominanti da parte di una o più imprese.
Il d.d.l. 2021 non ha destato né unanime condivisione da parte delle forze politiche, né apprezzamento in sede comunitaria. Esponenti politici evocano, ora come in passato, i rischi delle aperture al mercato per gli operatori italiani: scalate straniere al nostro sistema economico produttivo; crisi per la aziende ― particolarmente piccole e medie ― per le difficoltà di competere magari dopo tanti sacrifici fatti per il loro mantenimento. Inoltre, denunciano un’eccessiva condiscendenza alle volontà dell’Europa.
Anche la Commissione europea ha espresso un giudizio negativo sul provvedimento. Stigmatizza che il d.d.l. 2021 lascia ancora insolute questioni più volte censurate dall’Europa: mancata liberalizzazione delle concessioni balneari e continue proroghe delle concessioni che: “violano il diritto dell’Ue e compromettono anche la certezza del diritto per i servizi turistici balneari”. La Commissione allude alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 2016 di condanna dell’Italia per il mancato rispetto delle norme europee sul mercato unico e sulla concorrenza, alla sua procedura d’infrazione avviata nei confronti dell’Italia nel 2020 per tale mancato rispetto, e all’ulteriore proroga fino al 2034 delle autorizzazioni vigenti per le concessioni (decisione del Governo Conte uno, 2019).
Il giudizio negativo della Commissione non stupisce. Il citato Trattato prevede che essa vigili anche sull’applicazione delle regole europee riguardanti la concorrenza. Quindi, non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Quanto alle opposizioni, da parte della classe politica, alla concorrenza e alle liberalizzazioni, si tratta di un copione ampiamente collaudato. A parte ignorare, volutamente, le stesse norme del Trattato ― peraltro sottoscritto dal nostro Paese fin dall’origine ―, un esempio concreto l’abbiamo ricordato prima richiamando la legge del 2009, ovviamente approvata dal Parlamento, ma dimenticata da tutte le forze politiche.
Evidenti le motivazioni di questi comportamenti. Aprire al mercato e alla competitività può far perdere migliaia di voti che vengono da parte di chi beneficia delle concessioni. Scrive Luciano Cazzola a proposito della nuovamente mancata liberalizzazione delle spiagge (In Terris, 15.11.2021): “Come è noto, l’Italia vanta migliaia di Km di spiagge, in larga prevalenza affidate in concessione; ne deriva che tutti i parlamentari del posto, a qualsiasi partito appartengano, non si tirano indietro quando si tratta di difendere il ’patrio suolo’dall’invadenza dello straniero”.
Inoltre, specie nella gestione dei servizi pubblici, le liberalizzazioni sottrarrebbero aree dove si radicano fenomeni clientelari, spesso anche corruttivi. La prova è la rincorsa continua alla costituzione, da parte degli enti pubblici a partire dallo Stato, di società partecipate per la gestione dei servizi pubblici. Creare queste società legate a doppio filo all’ente che le istituisce significa intanto dare luogo ad aree di sottobosco il cui governo viene affidato a soggetti fidati e quasi sempre affiliati a qualche parrocchia politica (lottizzazioni). In queste strutture, il potere politico è esercitato per interposta persona. Secondariamente, si fanno nasceremonopoli pubblici spesso dalle infauste gestioni, con oneri di risanamento economico-finanziario sempre a carico dei cittadini/contribuenti (Alitalia, Monte Paschi, municipalizzate d’ogni sorta, ecc.).
Il d.l.l. 2021 è, prevalentemente, una legge di delega. L’attuazione dei suoi principi avverrà dunque mediante decreti delegati. È auspicabile che siano questi a dare concretezza, anche nel nostro Paese, alle regole sulla concorrenza aprendo alle liberalizzazioni e alla competitività, ed evitandoci censure e procedure d’infrazione da parte dell’Europa. Il tempo non è molto. Il Consiglio di Stato (sent. 17 e 18 del 09/11/2021), contrariamente a quanto deciso dal Governo Conte uno prima ricordato, ha stabilito che comunque le concessioni balneari devono cessare al 31 dicembre 2023. Il riferimento è, in particolare, alla cosiddetta Direttiva Bolkestein del 2006, recepita dall’Italia, e che impone la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno dell’Unione. È da allora che il Governo italiano avrebbe dovuto liberalizzare, mediante gare pubbliche, le concessioni di beni statali (spiagge, spazi per il commercio ambulante, ecc.).
Prima di approvare i decreti delegati, forse gioverebbe una rilettura di quanto scrisse Luigi Einaudi ― 2° Presidente della Repubblica Italiana (1948-1955) e una delle più alte figure del liberalismo economico ― contro i monopoli pubblici o privati. “Il monopolio, anche dello Stato, è sinonimo di stasi, di pigrizia mentale, di prepotere… Il totalitarismo vive col monopolio” (Prediche inutili, capitolo Scuola e libertà).
Alessandro Petretto
Un importante effetto della concorrenza solitamente negletto concerne il ruolo distributivo che deriva dalla dissipazione delle rendite di posizione. Il valore creato dalla produzione si distribuisce da extra profitti (monetari e non in caso di Monopoli pubblici) a salari e al finanziamento degli investimenti. I dividendi remunerano solo il costo di opportunità del capitale proprio. La concorrenza inoltre induce l’innovazione nei processi di produzione organizzazione e distribuzione.
Carlo Manacorda
Gentile dottor Petretto,
La ringrazio per la nota di commento che aprirebbe lunghi discorsi sui “vizi” dei Monopoli pubblici.
Carlo Manacorda