Se i risultati e i costi dell’immigrazione si pagano dopo anni e per anni, le spaccature politiche si evidenziano più velocemente. Sotto pressione il sistema politico, che si polarizza tra pro e contro i nuovi venuti, può facilmente rendersi vulnerabili al ricatto. Al punto da affidare le proprie frontiere a partner dalla dubbia autorevolezza democratica. Fu Gheddafi a darne una dimostrazione nel 2004, quando ottenne la revoca delle sanzioni da parte dell’Unione Europea. La paura dell’immigrazione e dell’arrivo di masse di rifugiati può divenire un’arma per alimentare, manipolare e sfruttare il fenomeno migratorio.
Come almeno dal 2016 sta facendo il presidente turco Receyp Erdogan utilizzando gli immigrati turchi e i rifugiati siriani contro l’Europa.
I flussi migratori da tempo rappresentano “un’arma di guerra” che rientra nel novero di quelle non convenzionali impiegate nella cosiddette “guerre asimmetriche”. Come il terrorismo, la manipolazione dei media. la pirateria informatica.
E il provocatorio libro di Kelly Greenhill (2017) dal titolo Armi di migrazione di massa per la Leg Edizioni, descrive senza tanti filtri emotivi il fenomeno delle migrazioni di massa dal punto di vista strategico. Dalla Convenzione sui rifugiati del 1951 a oggi, la Greenhill analizza una cinquantina di tentativi di migrazione forzata tra quelli creati deliberatamente e quelli manovrati. I boat people cubani verso gli Usa, i conflitti africani degli ultimi trent’anni, la Corea del Nord nei confronti di quella del Sud. E ancora l’episodio emblematico di Deng Xiaoping che silenziò un Carter ansioso per la scarsa libertà di movimento dei cinesi chiedendo quanti ne volesse: un milione, dieci, trenta? E ancora tra l’Italia e l’Albania di Berisha, tra la DDR e la Repubblica federale tedesca.
Il saggio mette in evidenza come le migrazioni siano uno strumento utilizzato in situazione di confronto asimmetrico. E come governi autoritari e deboli , attori non statali e gruppi armati si servono di queste riserve umanitarie per sfidare gli avversari e in particolare le democrazie liberali, quelle teoricamente più dotate di salvaguardie giuridiche per i diritti umani.
Greenhill argomenta che i governi sotto il tiro di armi di migrazioni di massa possono aprire le porte enfatizzando i benefici economici a lungo termine, ma è una strategia poco efficace nel pieno di una emergenza. Oppure possono accantonare i propri principi e chiudere le frontiere vanificando quelle armi ma aprendo una contraddizione interna in termini di valori e rischiando di pagare alla fine un prezzo identitario più alto. Nonostante l’onere di migranti sostenuto dall’Occidente sia minimo rispetto al resto del mondo, è la debolezza politica e sociale dell’Europa a far diventare una super arma i flussi migratori illeciti. E di questa debolezza le classi dirigenti europee (politiche, economiche, accademiche e dei media) hanno gran paura di parlare e di rendere consapevoli i propri cittadini. Che prima o poi finiscono per accorgersene da soli.
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